Nichilismo a Baarìa

Scritto il 25 Ottobre 2014

C’è un passaggio nel film Baarìa di Giuseppe Tornatore che sintetizza molto bene il concetto di nichilismo (passivo) che molti autori da Nietszche a Weber, passando per Heidegger e Sarte, hanno trattato con termini e conclusioni differenti. Verso la seconda metà del film il fratello del protagonista, Nino Torrenuova, interpretato da Salvatore Ficarra, entra in farmacia e chiede al farmacista qualche cosa che lo faccia morire. Il farmacista, senza scomporsi troppo, gli chiede cosa gli sia successo, e lui risponde: «niente, perciò voglio morire». Ora, facciamo un passo indietro. Nino Torrenuova è un uomo sui quarant’anni che nella sua vita aveva vissuto la fame, la povertà, il fascismo e la seconda guerra mondiale dove per diversi anni aveva combattuto come soldato semplice. Era sopravvissuto a tutto e proprio quando tutto questo era finito lui voleva morire. Perché? La motivazione sta proprio nel niente.
Nel più inquietante fra tutti gli ospiti per dirla alla Nietzsche o nel mostro delicato per dirla alla Boudelaire. Ma la cosa che trovo più interessante non è il niente in sé. Nino Torrenuova aveva passato la vita circondato dal niente. Niente cibo. Niente soldi. Niente lavoro. Niente libertà. Niente vita. Niente tempo. Niente di niente. Eppure non aveva mai pensato, neanche una volta di togliersi la vita, di dire no alla vita. Aveva sempre affrontato il niente e l’aveva fatto con il sorriso. La differenza questa volta è che il niente non era fuori di lui ma dentro di lui. Non era qualcosa di esterno, visibile, percepibile, ma qualcosa di interno, invisibile, intangibile e, per questo motivo, molto più terribile della guerra, del fascismo e della fame. Il suo no alla vita non era dettato da qualcosa di altro da lui ma qualcosa dentro di lui di cui lui non aveva consapevolezza. Un lutto inconscio, come direbbe Freud, che lui percepiva in tutta la sua gravosa pesantezza di cui però non ne poteva percepire l’oggetto.