Jugaad Latina.

“Artificia docuit fames.”
– Detto Latino

Il vecchio detto latino «artificia docuit fames» (la fame insegna a darsi da fare) così come le parole del drammaturgo romano Publilio Siro: «Hominem experiri multa paupertas iubet» (La povertà spinge l’uomo a tentar molte cose), evidenziano una verità vecchia come il mondo: le limitazioni stimolano l’inventiva.

In lingua punjabi la parola jugaad può essere tradotta come innovazione frugale, come quella capacità di trovare idee creative e soluzioni disruptive ai problemi, superando le difficoltà economiche e pratiche. Letteralmente, potrebbe essere definita come il saper compensare alla scarsità di risorse con l’ingegnosità e la capacità d’improvvisare. Non è un caso che jugaad sia una parola nata all’interno di un contesto, come quello indiano, dove la mancanza di risorse e la conseguente necessità di trovare nuovi modi per affrontare vecchi problemi sia all’ordine del giorno. Guardiamo a quello che sta accadendo al processo creativo e innovativo. Oggi si parla sempre più spesso di concetti come reverse innovation o retromarketing che stanno invertendo i flussi d’innovazione dai paesi emergenti verso quelle che vengono definite economie avanzate. In alcune delle principali economie in via di sviluppo si sta passando a tecnologie avanzate saltando fasi di sviluppo tecnologico che hanno caratterizzato il processo classico d’innovazione.

Pensiamo alla riconfigurazione del sistema bancario che sta avvenendo in alcuni paesi africani. Il Kenya, per esempio, grazie al sistema M-Pesa che permette di trasferire denaro contante tra utenti della telefonia mobile, è il paese più all’avanguardia al mondo in termini di transazioni fatte via cellulare, stimate nel 2013 in circa 24 miliardi di dollari, più del 50% del PIL nazionale.

Le innovazioni nate nei paesi emergenti vengono importate nei mercati maturi perché sono molto più disruptive e richiedono meno risorse per essere sviluppate, garantendo però un livello di performance paritetico. Dalla Tata Nano in India, la city car più economica al mondo, al Nokia 1100, divenuto il cellulare più venduto di tutti i tempi, e alla versione low-cost dell’impianto EGC Mac 400 della GE, un capolavoro di semplificazione pensato per gli ospedali in India ma poi esportato anche negli Stati Uniti, o al brand Denizen della Levi’s, creato nel 2010 per il mercato cinese e asiatico e poi lanciato nel 2011 negli Stati Uniti e, nel 2013, in Canada. In quest’ottica, sembra esserci un rapporto direttamente proporzionale tra assenza di risorse e creatività. Il professore di psicologia della University of British Columbia Peter Suedfeld ha osservato il comportamento di alcuni uomini esposti a poca luce e stimoli esterni ridotti. Il modello, chiamato R.E.S.T. (Restricted Environmental Stimulation Therapy), ha dimostrato che i soggetti sottoposti al test avevano sviluppato una creatività superiore alla media proprio per far fronte alla limitata stimolazione da parte dell’ambiente esterno.

Nel suo saggio Yes To The Mess: Surprising Leadership Lessons from Jazz, Frank J. Barrett dimostra come trovarsi all’interno di situazioni disagevoli e lontane da quella che viene definita come la comfort zone sia il contesto ideale per stimolare la creatività e l’inventiva. Teoria sostenuta anche dal professore di psicologia e marketing dell’università del Texas ad Austin Art Markman nel suo libro Smart Thinking, dove sottolinea l’importanza di andare contro la nostra naturale tendenza a utilizzare sempre le stesse soluzioni, con il fine di creare contesti dove siamo in grado di sviluppare un nostro pensiero innovativo e indipendente.