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Dieci domande per re-inventare il proprio lavoro.

“Noi non siamo nomi, siamo verbi. Non sono una cosa – un attore, o uno scrittore – sono una persona che fa cose – scrivo e recito – e non so mai cosa farò un domani. Penso tu possa rimanere imprigionato se pensi a te stesso come un nome.”
– Stephen Fry

Noi non siamo nomi, siamo verbi, diceva l’attore britannico Stephen Fry. Non siamo una cosa, una professione, siamo persone che fanno cose e nel farle ci evolviamo, cambiamo e alleniamo il nostro quoziente di adattabilità.

Di fronte a un mercato del lavoro sempre più dinamico e precario l’idea di carriera lunga, quella in cui si entrava in un’azienda a vent’anni come stagista (pagato) e si usciva a sessant’anni come manager (con tanto di pensione), è sempre più corta.

Cambiano le tecnologie, cambiano le abitudini, cambiano i flussi di lavoro, e anche noi, come professionisti, siamo chiamati a cambiare di continuo, a re-inventarci. Possiamo iniziare la nostra vita professionale facendo l’avvocato e finirla facendo il gallerista.

Sebbene questa nuova idea di lavoro possa spaventare perché dà molte meno sicurezze, possiamo anche vederla come una grande opportunità per fare un lavoro che volgiamo fare, e non un lavoro che possiamo o dobbiamo fare.

Negli ultimi vent’anni (ho iniziato a lavorare a 18 anni…) ho cambiato decine di lavori innovando il mio lavoro presente grazie a quello che ho imparato dai miei lavori passati. E questo mi ha permesso di crescere, imparare, divertirmi e, soprattutto, costruirmi un percorso professionale unico.

Nella mia newsletter (ti puoi iscrivere qui) ogni Venerdì mattina condivido consigli e strumenti su come innovare la propria professione. Queste invece sono dieci domande che penso sia utile farsi per re-iventarsi come professionisti:

Quale stile di vita vogliamo avere?
La prima domanda non è quale lavoro vogliamo fare, ma quale stile di vita vogliamo avere e, di conseguenza, quale può essere un lavoro che ci permetta di averlo. Vogliamo avere più o meno flessibilità? Quanto ci serve guadagnare? Che importanza diamo al nostro lavoro? Per potersi re-inventare dobbiamo prima conoscerci e sapere quali sono le nostre priorità.

Quali competenze trasversali abbiamo?
Delle nostre competenze quali sono specifiche del lavoro che stiamo facendo e quali invece possono esserci utili anche per altri lavori?

Quali competenze e risorse ci servono?
Per fare un nuovo lavoro quali sono le nuove competenze o risorse di cui avremo bisogno? E come possiamo fare per acquisirle? Possiamo impararle attraverso dei corsi specifici (qui ne trovi un po’)? Oppure possiamo delegarle a qualcuno (qui trovi un po’ di piattaforme per farlo) o acquisirle?

Quali persone possono aiutarci?
Le persone sono l’elemento chiave di qualsiasi lavoro e qualsiasi iniziativa imprenditoriale. Lo stesso identico lavoro può essere fantastico, se fatto con persone stimolanti e propositive, oppure un incubo se fatto con delle persone incompetenti e arroganti. La stessa identica idea imprenditoriale può trasformarsi in uno Unicorn o non arrivare neanche al primo round di investimento a seconda delle persone che la realizzano. L’investimento migliore che possiamo fare per essere in grado di re-inventarci di continuo è investire sulle persone. Conoscerne di nuove e coltivare i rapporti che già abbiamo.

Quale problema possiamo risolvere?
Al posto di mandare centinaia di curriculum tutti uguali, potrebbe essere più efficace studiare l’azienda all’interno della quale vorremmo lavorare, identificare un problema specifico e proporsi con una soluzione concreta per risolvere quel problema.

Qual è il nostro vantaggio competitivo?
Perché le persone dovrebbero scegliere noi al posto di qualcun altro? Cosa ci rende indispensabili? Quali sono le competenze o le risorse distintive che ci contraddistinguono da chi fa il lavoro che noi vorremmo fare? Spesso sono proprio quelle trasversali che ci rendono unici.

Qual è il nostro posizionamento?
Per re-inventarsi è importante avere un posizionamento chiaro, non solo nella nostra mente, ma soprattutto in quella del nostro cliente o del nostro datore di lavoro. Essere una “Go-To Person”, puntare ad essere la prima persona che viene in mente per risolvere un problema specifico. Quando stiamo pianificando la nostra strategia marketing è utile cominciare compilando questa semplice frase: “Hai bisogno di ___________? Chiama _________!”. Dove nel primo spazio inseriamo il (non i…) bisogno di mercato che ci proponiamo di risolvere, mentre nel secondo spazio il nostro nome o il nostro Brand.

Qual è il nostro prezzo?
Il prezzo del nostro servizio, o il salario che chiediamo, definisce il nostro posizionamento. Un prezzo troppo basso potrebbe minare la nostra credibilità come professionisti. Un prezzo troppo alto rischia di bruciarci il mercato. Il modo migliore per definire il nostro prezzo è partire dal mercato: prima capiamo quale possa essere il prezzo accettabile per i nostri clienti o il nostro datore di lavoro e poi capiamo come garantirci un profitto altrettanto accettabile.

Qual è il nostro Backup Job?
Re-inventarsi vuol dire sperimentare, e quando si sperimenta a volte funziona, altre volte no. Nel caso la nostra strategia non funzionasse o richiedesse più tempo del previsto, è utile avere un Backup Job, un lavoro di base che ci permetta di avere un’entrata minima e che possiamo fare nel periodo di passaggio tra un lavoro e un altro.

Quale sarà il nostro prossimo lavoro?
Come scrive Yuval Noah Harari, nel XXI secolo, non possiamo più permetterci il lusso della stabilità. Per rimanere rilevanti, abbiamo bisogno di continuare a imparare e a reinventare noi stessi, sia quando siamo giovani sia a cinquant’anni. Dal primo giorno in cui cominciamo a fare un nuovo lavoro, è utile iniziare a domandarci quale sarà il nostro prossimo lavoro e cominciare a costruirlo.




 

Reinventare le Celebrity.

Oggi ci sono sempre più celebrità, e con celebrità intendo persone celebri per una community di persone. Super Star, Star, Influencer. Chiunque abbia una nicchia di pubblico che lo/la segue.

I tre casi che propongo offrono una piattaforma che permette a chiunque abbia un seguito di aggiungere un business in più al proprio modello di business.

Super Celebrità: MasterClass.
Guidata dalla mission: Don’t educate, entertain. MasterClass propone più di ottanta lezioni dalle migliori menti al mondo. Scrittori (del calibro di Malcom Gladwell), attori (Natalie Portman, Samuel L. Jackson), registi (Martin Scorzese, Spike Lee…) e molte altre celebrità hanno ora una piattaforma dove poter vendere lezioni. La startup, nata due anni fa, ha appena raccolto altri 100 milioni di dollari in funding di Serie E, raggiungendo la valutazione di 800 milioni (penso raggiungerà lo status di Unicorn a breve).

Media Celebrità: Cameo.
Cameo ha un modello di business interessante, dà la possibilità a chiunque di richiedere a celebrità più o meno celebri (da Snoop Dogg a Perez Hilton) di mandare un video di saluti a chiunque. La stertup andava già bene prima della pandemia, ma grazie al Covid19 (e alla relativa quarantena…) ha avuto un aumento dell’83% delle richieste.

Influencer: Superpeer.
Il modello di business degli Influencer è ancora tutto da definire. Una strada potrebbe essere quella offerta da Superpeer. Grazie alla loro piattaforma, chiunque abbia una community può offrire un servizio di consulenza / chiamata a pagamento.

Sono tre modelli di business tra loro differenti che uniscono marketing, trend emergenti e tecnologie per offrire a chi ha una community strumenti per ampliare il proprio modello di business attraverso attività che prima non facevano (insegnare, dialogare con il proprio pubblico, o anche solo fare video per fare gli auguri).




 

We Worked.

Per molti anni WeWork è stata una delle Unicorn (ovvero le aziende private con una valorizzazione di mercato uguale o superiore al miliardo di dollari) più finanziate e valorizzate al mondo. Ultimamente tuttavia ha deciso di posticipare la sua quotazione in borsa dopo che i suoi risultati finanziari hanno messo in dubbio la sostenibilità del suo modello di business. Come evidenzia questo grafico, sebbene il fatturato sia stato negli ultimi tre anni in continua crescita, le perdite nette e il Free Cashflow ritraggono un’azienda tutt’altro che sostenibile. E questo è il grosso tema di molte Start Up: funzionano perché hanno un modello di revenue concreto e sostenibile, o funzionano solo perché hanno avuto miliardi di dollari di finanziamento da investitori e fondi di venture capital?




 

Persone, Persone, Persone.

Alla domanda «Sir Branson, ci spieghi il segreto del suo successo in tre concetti», Richard Branson, fondatore del gruppo Virgin, ha risposto con tre semplici parole: le persone, le persone e le persone. E aveva ragione.

  • La prima cosa che leggo in un Business Plan è la sezione dedicata al Team.
  • Il valore più grande che mi porto dietro da 27 mesi di MBA sono le persone con cui l’ho fatto.
  • La cosa che più mi mette entusiasmo in un progetto, qualsiasi esso sia, sono le persone con cui lo penso e lo sviluppo.
  • Le lezioni più importanti che ho imparato dal mio lavoro le ho imparate dalle persone con cui e per cui ho lavorato.
  • La cosa più bella che ho fatto come imprenditore è stato assumere persone.
  • La cosa più brutta che ho fatto come imprenditore è stato licenziare persone.
  • La cosa più stimolante (per me) della mia newsletter sono le persone che mi scrivono e che si iscrivono.

E questo vale per qualsiasi lavoro:

  • La risorsa più preziosa (e più difficile da trovare) per una Startup sono le persone con cui fondarla.
  • Ciò che dà più valore a una StartUp sono le persone che ci lavorano e che la usano.
  • L’unica risorsa in un’azienda che può cambiare e guidare il cambiamento sono le persone.
  • Il mezzo di comunicazione più efficace, virale e funzionale è il passaparola tra persone.

Le persone sono l’elemento chiave di qualsiasi lavoro e qualsiasi iniziativa imprenditoriale. Lo stesso identico lavoro può essere fantastico, se fatto con persone stimolanti e propositive, oppure un incubo se fatto con delle persone incompetenti e arroganti. La stessa identica idea imprenditoriale può trasformarsi in uno Unicorn o non arrivare neanche al primo round di investimento a seconda delle persone che la realizzano.

Il problema è che, come questo grafico mette in luce con molta chiarezza, in Italia il problema numero uno è il capitale umano, ovvero le persone. In Italia mancano i talenti. Non perché non ci siano, ma perché non vengono coltivati e valorizzati, e quindi abbandonano il nostro paese.

Non so quale sia la soluzione. Ma penso che qualsiasi discussione sul tema del lavoro in Italia dovrebbe partire da questo punto: come valorizzare le persone, come creare un ecosistema di relazione tra persone con competenze diverse ma obiettivi comuni.




 

Sam Altman a ZapConnect.

Qualche insight interessante dall’intervento di Sam Altman all’evento ZapConnect promosso da Zapier:

1- ChatGPT è bravo a completare Tasks non Jobs, quindi il modo migliore per usarlo è scomporre un lavoro in task e chiedere alla macchina di risolverli uno a uno. Questo del resto è un buon consiglio indipendentemente da ChatGPT. Il modo migliore per affrontare qualsiasi progetto o problema infatti è scomporlo in progetti o problemi più facili da affrontare.

2- Secondo Altman nel giro di 3 o 4 anni potranno nascere Unicorn (aziende private con una valorizzazione di mercato pari o superiore al miliardo) composte da una sola persona che delega ogni compito a delle macchine.

3- Se togliamo la creatività a modelli come ChatGPT non sono più così speciali, perché è la creatività la grande novità di questi modelli. Ed è per questo motivo che andrebbero usati per fare Brainstorming e per creare storie, non come dei motori di ricerca.

4- Calma e convinzione, queste sono le due doti che, secondo Altman, le persone ricercano in un leader in tempi di “extra-chaos”.

5- A volte lanciare una startup troppo tardi è meglio che lanciarla troppo presto. «Se avessi lanciato OpenAI a vent’anni» dice Altman «non avrebbe funzionato».

6- Alla domanda: «Quale prodotto vorresti che le persone costruissero di più con ChatGPT?» Altman ha risposto: «AI Tutor per aiutare i bambini e le bambine ad apprendere e studiare meglio.»




 

Cinque anni.

In una recente intervista il “Padre dell’IA” Geoffrey Hinton ha detto che, se continuiamo a questa velocità, nel giro di cinque anni gli attuali ChatBot saranno in grado di ragionare meglio di noi esseri umani, manipolare le persone e “prendere il sopravvento”. Tanto da arrivare ad affermare che in poco tempo, noi esseri umani, diventeremo la seconda “specie” più intelligente sulla terra, perché la prima saranno appunto loro, i robot.

Una previsione che si sposa bene con quella di un altro guru dell’IA, il fondatore di OpenAI Sam Altman, secondo cui nel giro di 3 o 4 anni potranno nascere Unicorn (aziende private con una valorizzazione di mercato pari o superiore al miliardo) composte da una sola persona che delega ogni compito a delle macchine.

In poco tempo, noi esseri umani, diventeremo la seconda “specie” più intelligente sulla terra, perché la prima saranno appunto loro, i robot.

Il ché anticipa di qualche anno quel futuro, previsto da Marc Andreessen, in cui il mondo si dividerà tra quelli che diranno ai computer cosa fare e quelli a cui i computer diranno cosa fare.

Di fronte a queste previsioni, probabilmente esagerate ma fondate, viene da domandarsi se l’Intelligenza Artificiale possa essere in qualche modo rallentata. E se sia giusto farlo.

Come sostiene anche Hinton infatti, se da una parte l’avvento dell’IA rappresenta una minaccia concreta e, per certi versi, spaventosa, dall’altra questa tecnologia potrebbe portare benefici enormi a noi esseri umani.

La soluzione non è fermare la tecnologia, ma formare la tecnologia. Allenarla con dati di qualità con il fine di ridurre le disuguaglianze, i bias e i comportamenti scorretti. E soprattutto formare chiunque utilizzi questa tecnologia per far sì che venga utilizzata con consapevolezza e per il giusto fine.

Come sempre del resto, la tecnologia è solo un mezzo (almeno per ora). Quello che conta non è tanto il mezzo in sé, cosa usiamo, ma come lo usiamo e soprattutto con che fine lo utilizziamo.

La soluzione dunque non è fermare la tecnologia, ma formare la tecnologia. Allenarla con dati di qualità con il fine di ridurre le disuguaglianze, i bias e i comportamenti scorretti. E soprattutto formare chiunque utilizzi questa tecnologia per far sì che venga utilizzata con consapevolezza e per il giusto fine.