Felicità e omologazione.

Tolstoj scriveva che tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro. Mentre quelle infelici sono diverse. Perché ogni persona infelice è infelice a modo suo. All’interno del romanzo T.E.R.R.A., tanto Freud quanto l’iSmart hanno un ruolo essenziale per l’ordine pubblico. Tuttavia perché lo Stato di A funzionasse, era necessario che tutti i suoi cittadini fossero felici. E, possibilmente, tutti felici allo stesso modo. Era necessario che usassero tutti gli stessi prodotti. Mangiassero tutti lo stesso cibo. Avessero tutti le stesse abitudini e gli stessi bisogni. Non perché dovevano farlo. Ma perché volevano farlo. Nello Stato di A infatti, era essenziale che tutti i cittadini avessero la percezione che la loro fosse una libera scelta. Non un’imposizione. Se l’avessero percepita come un’imposizione, si sarebbero arrabbiati. Magari indignati. Avrebbero manifestato. Protestato. Avrebbero chiesto di votare. Avrebbero lottato per la democrazia.

Quando le persone sono felici, quando si sentono libere, non sono arrabbiate. Non pensano alla democrazia, la danno per scontata. Non scendono in strada a protestare. Smettono di spaccare le vetrine di un negozio. E iniziano a comprare tutto quello che c’è dentro.

Come dice uno dei protagonisti, «quando le persone sono felici, quando si sentono libere, non sono arrabbiate. Non pensano alla democrazia, la danno per scontata. Non scendono in strada a protestare. Smettono di spaccare le vetrine di un negozio. E iniziano a comprare tutto quello che c’è dentro.» Tolstoj aveva ragione. Le persone felici si assomigliano tutte. Perché vogliono tutte la stessa cosa: mantenere intatta la propria felicità. Preservare il proprio benessere. Chi è disperato non ha nulla da perdere. E chi non ha nulla da perdere è pericoloso. Nello Stato di A nessuno voleva persone pericolose. Mentre tutti volevano persone felici.

Alla base di questo pensiero c’è il concetto di illusione di volontà o, ancora meglio, di illusione di scelta. Nel XIX secolo la rivoluzione industriale aveva tolto alle persone la necessità, e quindi la capacità, di fare. Quando c’era un telaio che cuciva una coperta, non serviva più che qualcuno lo sapesse fare. Duecento anni dopo, nel XXI secolo la rivoluzione tecnologica potrebbe togliere alla persone la necessità, e quindi la capacità, di pensare.

Nel XIX secolo la rivoluzione industriale aveva tolto alle persone la necessità, e quindi la capacità, di fare. Quando c’era un telaio che cuciva una coperta, non serviva più che qualcuno lo sapesse fare. Duecento anni dopo, nel XXI secolo la rivoluzione tecnologica potrebbe togliere alla persone la necessità, e quindi la capacità, di pensare.

Ritornando al romanzo, grazie a Freud, grazie ai miliardi di dati che ogni giorno, ogni singolo cittadino dello Stato di A, produceva e condivideva, la tecnologia era in grado di conoscere le persone meglio di quanto loro si conoscessero. E questo dava, al Direttivo dello Stato di A la possibilità di pensare al posto loro. Di liberarli dal peso della scelta. Di fronte a una complessità sempre più alta, le persone non potevano che affidarsi alla tecnologia per scegliere qualsiasi cosa. Da quali scarpe comprare per andare a correre fino a quale scuola scegliere per i propri figli, quale assicurazione fare o quale casa comprare. Qualsiasi decisione e qualsiasi attività passava da sofisticati algoritmi: «Le persone si conoscevano attraverso le nostre app. Comunicavano attraverso i nostri servizi di messaggistica. Compravano attraverso i nostri negozi. Venivano curati dai nostri robot. La loro intera esistenza dipendeva da noi.»