Il futuro è ora!

There is no freedom without uncertainty.
– Shoshana Zuboff

Nella più concettuale, elegante e noiosa delle undici puntate della quarta stagione di Fargo, un ragazzo passa con la macchina davanti a un cartellone pubblicitario. Il cartellone non è ancora completo e si legge solo una parte dello slogan che recita “The Future Is…”.

Il ragazzo si ferma e chiede all’uomo che sta attaccando il cartellone: «Il futuro è cosa? Cosa c’è scritto?» Al ché l’uomo risponde: «Aspetta che finisco e lo vedrai!». Ma il ragazzo non vuole aspettare: «Be, finisci quella dannata scritta!» gli urla dal finestrino.

L’uomo rimane impassibile: «Appena la finisco non avrò più un lavoro e poi cosa ti importa? È solo un cartello!». Il ragazzo sbuffa: «È una questione di principio, far vivere la gente nell’incertezza non è giusto!». Ma l’uomo non ne vuole sapere di finire di attaccare quel cartellone e così il ragazzo riparte e lascia l’uomo alla sua pausa pranzo.

Dopo qualche ora il ragazzo ritorna e finalmente l’uomo ha terminato di attaccare il cartellone e si può leggere tutta la scritta: “The future is Now!”.

Il ragazzo domanda all’uomo cosa voglia dire quella scritta ma lui non ne ha idea: «Non so, forse è un’affermazione sull’inattendibilità del tempo oppure una testimonianza del tipo “Cogli l’attimo…”. Non mi pagano per scrivere queste frasi ma per incollarle… cosa che ho fatto e ora che ho finito mi trovo ancora al crocevia, disoccupato, quindi il futuro che temevo è arrivato proprio come diceva questo cartellone!»

Il 2020 è stato un anno straordinario, nella sua accezione più classica di fuori dall’ordinario, un anno in cui abbiamo sperimentato nuovi stili di vita, nuove paure e nuove speranze. Un anno in cui ci siamo riscoperti fragili. Un anno di solitudine e distanza. Un anno di riflessione e di attesa ma, al contempo, un anno di incredibili cambiamenti. Un anno apocalittico. Nel senso più etimologico del termine “apocalisse” che viene dal greco antico apokálypsis, ovvero gettar via ciò che copre, e quindi scoprire o svelare qualcosa che già c’era, ma che era nascosto.

Il 2020 ha accelerato dei processi di cambiamento che già erano in atto. Il boom dell’online. La precarietà. Lo strapotere delle Big Tech. L’incertezza. Lo smart-working. Il digitale. È come se in un solo anno tutti noi fossimo stati messi di fronte all’inizio non solo di un nuovo decennio ma anche di una nuova era.

E dunque eccoci qui. Il futuro è adesso. Non abbiamo bisogno di un cartellone pubblicitario per ricordarcelo e ha ragione il ragazzo di Fargo quando diceva che far vivere le persone nell’incertezza non è giusto. Ma purtroppo temo sia inevitabile. Dovremo vivere nell’incertezza. Vivere, almeno per un po’, in una specie di vita in “permanent beta”, un esperimento continuo. E, devo essere onesto, non posso che salutare con speranza ed entusiasmo questo modo di vivere che abbraccia il cambiamento, la sperimentazione e l’errore.

Come scrive Shoshana Zuboff nel suo monumentale “The Age of Surveillance Capitalism”, «there is no freedom without uncertainty». Non c’è libertà senza incertezza. Perché è solo nell’incertezza che possiamo essere liberi. Liberi di sperimentare. Liberi di scegliere strade diverse da quelle che abbiamo scelto in passato. Liberi di sbagliare (tanto cosa abbiamo da perdere?). Liberi di metterci in discussione. Liberi di innovare.

Se tutto è già stato definito, tutto è già stato deciso, allora quale libertà abbiamo? Il 2020 è stato un anno difficile. Ma potrebbe averci liberato da molti luoghi comuni, potrebbe aver messo in discussione ciò che nessuno aveva mai messo in discussione, potrebbe averci dato la libertà di costruirci noi il nostro futuro. E questa non è una cosa da poco.

Proviamo a vederla così: se il 2020 fosse un nuovo inizio? Se il 2020 fosse uno di quei momenti che la filosofa Hannah Arendt chiama “eventi illuminanti”. Quei passaggi nella storia dell’Uomo che rivelano un inizio che fino a quel momento era nascosto. C’era ma non riuscivamo a vederlo.

Nel saggio Antifragile del 2012, il filosofo libanese Nicholas Nassim Taleb identifica tre tipologie di esseri umani: quelli fragili, quelli forti e quelli antifragili. Le persone fragili si danno da fare per difendersi dal caos della vita, ma si privano di esperienze che potrebbero renderle più intelligenti. Le persone forti affrontano il caos con determinazione, ma spesso non riescono ad accettare le necessarie trasformazioni. Le persone del terzo tipo infine, quelle antifragili, sfruttano il caos come stimolo per diventare più creative ed elastiche.

Tutti gli articoli o i post che ho letto sul 2020 hanno toni bui, quasi funerari. Chiamano l’anno che si conclude oggi “nefasto”, “miserabile”. Un anno da cancellare. Io preferisco definirlo un anno antifragile. Un anno che ci ha messo a dura prova. Un anno che ci ha fatto soffrire. Un anno che ci ha spaventati. Ma anche un anno che ci ha insegnato molto. Un anno rivoluzionario che, se saremo in grado di guardare in faccia e di affrontare guardando al futuro e non al passato, forse potrà renderci delle persone migliori o, quanto meno, più antifragili.