L’inquinamento dell’aria è emerso negli ultimi anni come una delle maggiori problematiche per la salute di chi vive in città, soprattutto in quanto è nelle aree fortemente urbanizzate che si viene a concentrare la maggior presenza di traffico automobilistico e veicolare in genere.
A differenza di altre forme di esposizione a rischi ambientali, l’esposizione agli inquinanti presenti nell’aria non può essere facilmente evitata. I livelli di inquinamento, tuttavia, possono presentare marcate differenze locali, specialmente per quanto riguarda le emissioni “a bassa quota” (come ad esempio quelle da trasporto stradale), a causa di variazioni nella velocità e direzione del vento, della presenza di precipitazioni atmosferiche (pioggia o neve) o anche a causa della morfologia del territorio.
Va inoltre considerato che il grado di esposizione all’inquinamento atmosferico “outdoor” varia in rapporto alla proporzione di tempo che si trascorre all’aperto e alla capacità dei singoli inquinanti di trasferirsi anche negli ambienti chiusi.
La ricerca medico-scientifica ha sostanzialmente identificato le patologie legate all’inquinamento atmosferico stimandone il rischio in associazione all’innalzamento dei valori. E’ bene evidenziare che si tratta di stime in quanto il mix di inquinamenti presenti contemporaneamente in atmosfera, non rende facile isolare gli specifici effetti sulla salute di ogni singolo componente.
Tenuto conto delle “incertezze di scenario”, la ricerca ragiona pertanto in termini di “probabilità di accuratezza”, cercando di stimare - in ottica di salute di comunità - quanto in una data popolazione, la presenza di una patologia in un certo numero di persone sia riconducibile alla presenza di uno specifico fattore di rischio. Si parla quindi di “Health Impact Assessment”, stimando quanta parte di popolazione potrebbe essere sottratta all’impatto negativo per la salute, rimuovendone le cause.
E’ possibile qui avanti approfondire gli esiti di uno studio condotto da Regione Lombardia sugli effetti per la salute dell’inquinamento atmosferico, approfondendo quanto emerso in relazione a singoli fattori inquinanti.
Il progetto - approvato con deliberazione della Giunta Regionale VIII/10462 del 9 novembre 2009, mediante convenzione tra Regione Lombardia (settore Sanità), l’IRCCS Fondazione Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico e Università degli Studi di Milano - è stato disegnato con lo scopo di indagare gli effetti dell’inquinamento atmosferico sulla salute della popolazione in Lombardia e di conoscere in modo più approfondito i meccanismi biologici alla base di tali effetti. In particolare ha potuto valutare in seguenti aspetti:
- previsione della mortalità e morbosità attribuibili agli inquinanti atmosferici;
- effetti cardiovascolari dell’esposizione a polveri sottili e ruolo di fattori genomici;
- modelli di esposizione, alterazioni della coagulazione ed effetti cardiovascolari;
- la salute del feto e del neonato in presenza di inquinamento ambientale.
In questo progetto è stata compiuta una valutazione d’impatto, riferita all’anno 2007 per l’intero territorio lombardo, riguardante la mortalità totale, per cause naturali e per cause cardiorespiratorie nonché i ricoveri ospedalieri non programmati per malattie cardiache, cerebrovascolari e respiratorie attribuibili all’esposizione a PM10 (polveri sottili) e NO2 (biossido d'azoto) e quindi evitabili con il controllo di tali inquinanti.
Essendo noti i livelli degli inquinanti atmosferici presso ciascun comune della Regione, basati sui dati della rete di qualità dell’aria di ARPA Lombardia (stima di esposizione) e i dati riferiti a mortalità e cause di patologie di interesse riferite alla popolazione di ciascun comune, è stato possibile stimare il numero di morti e di ricoveri aggiuntivi dovuti all’inquinamento atmosferico a partire dalla relazione tra inquinanti e rischio per la salute della popolazione (stime di effetto).
Da tale studio è emerso che interventi capaci di diminuire anche solo di una frazione (20%) i livelli nelle aree con concentrazioni superiori a 40 µg/m3 come media annuale porterebbero un sostanziale immediate beneficio in termini di ricoveri ospedalieri e morti premature evitate.
Ulteriori dettagli sullo stato di qualità dell’aria sono inoltre presenti sul sito dell’Agenzia Regionale di Protezione Ambientale
Nei seguenti paragrafi è comunque possibile approfondire la conoscenza sui possibili effetti sulla salute e sull’ambiente dei principali inquinanti atmosferici presenti nell’aria.
Il particolato atmosferico (PM 10 e PM 2,5) ha un rilevante impatto ambientale sul clima, sulla visibilità, sulla contaminazione di acqua e suolo, sugli edifici e sulla salute di tutti gli esseri viventi. Soprattutto gli effetti che può avere sull’uomo destano maggiore preoccupazione e interesse; per questo è fondamentale conoscere in che modo interagisce con l’organismo umano alterandone il normale equilibrio. In particolare, le particelle più piccole riescono a penetrare più a fondo nell’apparato respiratorio. Quindi, è importante capire quali e quante particelle sono in grado di penetrare nel corpo umano, a che profondità riescono ad arrivare e che tipo di sostanze possono trasportare. Ad esempio, la tossicità del particolato, e quindi la sua capacità di generare danni alla salute, può essere amplificata dalla capacità di assorbire sostanze gassose come gli IPA (Idrocarburi Policiclici Aromatici) e metalli pesanti, alcuni dei quali sono potenti agenti cancerogeni (c.d. effetti sinergici).
I principali effetti sulla salute dovuti ad esposizione al particolato sono:
- incrementi di mortalità premature per malattie cardio respiratorie e tumore polmonare;
- incrementi dei ricoveri ospedalieri e visite urgenti per problematiche respiratorie;
- bronchiti corniche, aggravamento dell’asma.
Le categorie maggiormente a rischio sono ascrivibili a:
- soggetti anziani;
- soggetti asmatici o affetti da malattie respiratorie e cardiovascolari;
- bambini;
- popolazioni “deprivate”, ovvero gruppi di soggetti in difficile stato socio-economico piuttosto che situati in contesti lavorativi critici o già fortemente compromessi. Risultano infatti, in termini di mortalità, morbilità e, in generale, di bisogni sanitari, quei soggetti per i quali studi di settore hanno evidenziato significative relazioni con lo stato socioeconomico o la deprivazione materiale degli individui, delle comunità e dei contesti in cui vivono. È noto infatti che tali fattori esercitano il loro effetto sull’origine delle malattie attraverso una complessa rete causale che coinvolge sia le abitudini di vita, ad esempio fumo di sigaretta e dieta, che le esposizioni lavorative.
Il Biossido di Azoto (NO2) svolge un ruolo fondamentale nella formazione dello smog fotochimico in quanto è l’intermediario per la produzione di pericolosi inquinanti secondari come l’ozono, l’acido nitrico e l’acido nitroso.
Questi, una volta formati, possono depositarsi al suolo per via umida (ad esempio le piogge acide) o secca provocando danni alla vegetazione e agli edifici.
Gli ossidi di azoto, in particolare il biossido, sono inoltre gas nocivi per la salute umana in quanto possono provocare effetti acuti sulla salute, in particolare:
- acuti quali disfunzionalità respiratoria e reattività bronchiale (irritazioni delle mucose);
- cronici quali alterazioni della funzionalità respiratoria e aumento del rischio tumori.
I soggetti più a rischio sono i bambini e le persone già affette da patologie all’apparato respiratorio (asmatici), nonchè i soggetti residenti in prossimità di strade ad alta densità di traffico in ragione di esposizioni di lunga durata.
L’ozono troposferico, essendo un forte ossidante, è in grado di attaccare i tessuti dell’apparato respiratorio anche a basse concentrazioni, provocando irritazione agli occhi e alla gola, tosse e riduzione della funzionalità polmonare. La maggior parte di questi effetti sono a breve termine e cessano con il cessare dell’esposizione ad elevati livelli di ozono, ma è noto che possano sussistere anche danni derivati da ripetute esposizioni di breve durata, come l’accelerazione del naturale processo di invecchiamento della funzione polmonare.
La reazione all'ozono è molto diversa da individuo a individuo, per cui anche soggetti in buona salute possono risultare più suscettibili di altri. Tuttavia è possibile ritenere che le categorie di persone maggiormente sensibili all’ozono siano le seguenti:
- Bambini: sono il gruppo a più alto rischio per l’esposizione ad ozono, perché essi trascorrono gran parte del periodo estivo all'aperto e sono spesso impegnati in attività fisiche intense. I bambini hanno anche maggiori probabilità di sviluppare fenomeni asmatici o altre malattie respiratorie.
- Soggetti sani che fanno attività fisica all'aperto: adulti in buona salute che fanno attività fisica all'aperto (sia essa sportiva o lavorativa) diventano un gruppo "sensibile" perché sono più esposti all'ozono rispetto alla popolazione meno attiva. L’esercizio fisico infatti può aumentare la frequenza respiratoria e quindi l’introduzione di sostanze inquinanti nei polmoni fino a 10 volte rispetto la situazione di riposo.
- Persone con malattie respiratorie (asma, broncopneumopatie croniche): tali malattie rendono i polmoni più vulnerabili agli effetti dell'ozono. Pertanto gli individui che si trovano in queste condizioni manifestano gli effetti dell'ozono prima e a concentrazioni più basse rispetto agli individui meno sensibili.
- Persone anziane e/o con malattie cardiache: vi sono infine alcune evidenze che indicano che gli anziani e/o le persone con malattie cardiache abbiano un'aumentata sensibilità all'ozono che, al pari dei soggetti con malattie respiratorie, li espone agli effetti prima e a concentrazioni più basse rispetto alla norma.
Inoltre, l’ozono e gli ossidanti fotochimici in generale possono provocare una riduzione della crescita delle piante e, per elevate concentrazioni, clorosi e necrosi delle foglie.
Il biossido di zolfo (SO2) è un forte irritante e gli effetti sulla salute umana variano a seconda della concentrazione e del tempo di esposizione: a basse concentrazioni si possono avere irritazioni a occhi e gola, mentre in caso di esposizione prolungata a concentrazioni maggiori possono sorgere patologie dell’apparato respiratorio come bronchiti, tracheiti e malattie polmonari che pertanto comportano un aumento sia dei ricoveri ospedalieri sia della mortalità generale.
Data l’elevata solubilità in acqua, il biossido di zolfo contribuisce al fenomeno delle piogge acide trasformandosi in anidride solforica e, successivamente, in acido solforico, a causa delle reazioni con l’umidità presente in atmosfera. Durante le eruzioni vulcaniche può raggiungere la stratosfera trasformandosi in particelle di acido solforico che possono riflettere i raggi solari, riducendo in parte le radiazioni che raggiungono il suolo terrestre.
Gli effetti tossici provocati da questo inquinante variano a seconda della concentrazione e della durata dell’esposizione.
Tassi più bassi possono generare sonnolenza, vertigini, tachicardia, mal di testa, tremori, stato confusionale o perdita di coscienza. È difficile riscontrare alti livelli di concentrazione in aria. Tuttavia, anche l’esposizione lunga a basse concentrazioni può rappresentare un pericolo: il benzene, infatti, insieme ad altri composti organici volatili, è stato inserito dallo IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) tra le sostanze per le quali vi è una sufficiente evidenza di cancerogenicità per l’uomo (gruppo 1). La sua cancerogenicità è legata al suo comportamento da agente in grado di provocare errori di lettura o scrittura del codice genetico; ciò danneggia la sintesi proteica e rende incontrollata la riproduzione cellulare (portando al cancro). Danneggia soprattutto le cellule germinali.
Il principale effetto di un'esposizione cronica al benzene è il danneggiamento dei tessuti ossei e la diminuzione delle cellule del midollo osseo, che può causare una diminuzione del tasso di globuli rossi nel sangue e un'anemia aplastica o una leucemia. Può anche dare origine a coaguli, difficoltà di coagulazione del sangue ed indebolimenti del sistema immunitario.
Il pericolo legato ai metalli è la loro tendenza, comune agli inquinanti organici persistenti, di accumularsi all’interno di alcuni tessuti degli esseri viventi (bioaccumulo) determinando effetti negativi sulla salute. Oltre al piombo, i metalli più rappresentativi per il rischio ambientale a causa della loro tossicità e del loro uso massivo sono il cadmio, il nichel e l’arsenico, classificati dalla IARC (Agenzia Internazionale di Ricerca sul Cancro) come cancerogeni per l’uomo. Per tali motivi la normativa vigente ha previsto un valore limite per il piombo e valori obiettivo per arsenico, cadmio e nichel.
Le conseguenze per la salute umana possono essere molteplici:
- il cadmio può avere effetti negativi sui reni ed effetti cancerogeni;
- il nichel può avere effetti sull’apparato respiratorio, sul sistema immunitario e può causare allergie epidermiche;
- l’arsenico può causare irritazione dello stomaco, dell’intestino e dei polmoni, produzione ridotta di globuli rossi e bianchi del sangue, inoltre, aumenta il rischio di sviluppare il cancro alla pelle, al polmone, al fegato e al sistema linfatico;
- il piombo è assorbito dall'epitelio polmonare ed entra nel circolo sanguigno, si deposita in quantità decrescenti in ossa, fegato, reni, muscoli e cervello provocando svariati effetti tra cui anemia, danni al sistema nervoso centrale e periferico, ai reni, al sistema riproduttivo, cardiovascolare, epatico, endocrino, gastro-intestinale e immunitario.
Gli IPA (Idrocarburi Policiclici Aromatici) appartengono alla categoria dei microinquinanti in quanto possono avere effetti tossici già a concentrazioni molto più modeste di quelle normalmente osservate per gli inquinanti “classici”. La loro presenza comporta un potenziale rischio per la salute umana poiché molti di essi risultano essere cancerogeni. Sotto il profilo tossicologico, le osservazioni sperimentali indicano che la condizione necessaria, ma non sufficiente, per la cancerogenicità degli IPA è una struttura in cui vi siano almeno quattro anelli condensati: in particolare, il più noto idrocarburo appartenente a questa classe è il Benzo(a)pirene, B(a)P, classificato dallo IARC come cancerogeno per l’uomo.
Oltre al Benzo(a)pirene gli altri IPA misurati sono:
- Benzo(a)antracene B(a)A
- Benzo(b)fluorantene B(b)F
- Benzo(j)fluorantene B(j)F
- Benzo(k)fluorantene B(k)F
- Dibenzo(a,h)antracene DB(ah)A
- Indeno(1,2,3,c,d)pirene INP
L'ammoniaca è presente nell'aria (concentrazione nell'aria urbana: 20 µg/m3), soprattutto nelle aree circostanti ad allevamenti animali intensive e/o di spandimento fanghi, in grado pertanto di filtrare fino anche agli acquiferi superficiali e comunque nei suoli oggetto di colture.
È irritante per le vie respiratorie, per gli occhi e per contatto può causare ulcerazioni.
L'alta tossicità dell'ammoniaca è da ricercare nel fatto che, disciolta nel sangue, innalza il pH ematico aumentando l'affinità dell'emoglobina per l'ossigeno tanto da renderla incapace di rilasciarlo ai tessuti. Inoltre forma emboli gassosi.
A livello ambientale gioca un ruolo importante nei processi di acidificazione ed eutrofizzazione.
Alla frazione carboniosa del particolato sono attribuiti impatti negativi sulla salute umana, sull'ecosistema e sulla visibilità. Soprattutto Carbonio Elementare e Black Carbon, grazie alla loro natura fisica di nano particella e alla loro elevata superficie specifica sono in grado di veicolare all'interno dell'organismo umano sostanze cancerogene e genotossiche quali ad esempio gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e i metalli.
Esposizioni su breve e lungo termine sono associate con un'ampia gamma di effetti sulla salute, in particolare sul sistema respiratorio e cardiovascolare. Inoltre, la frazione carboniosa del particolato e in particolare il BC, a causa delle sue proprietà ottiche, può influenzare il bilancio radiativo terrestre e, di conseguenza, il clima oltre a interagire con le nubi, una volta depositato sulle superfici è in grado di assorbire direttamente la luce riducendone così il potere riflettente (ad esempio, l'albedo della neve e del ghiaccio).
L’esposizione al Black Carbon inoltre risulta associata a mortalità premature ed esiti negativi a carico dell’apparato cardiovascolare, sia per esposizioni di breve (24 ore) che di lungo (un anno) periodo.