Perché sono sempre felice (o almeno cerco di esserlo)

Scritto il 23 Maggio 2015

Perché il pessimismo è un lusso che non possiamo più permetterci.
Il pessimismo è un lusso che spesso va di pari passo con la passività. Chi è passivo si lascia scivolare le cose addosso, perde sensibilità e per lui, o per lei, tutto assume lo stesso colore. E oggi questo non è più possibile. Non possiamo più permetterci di essere passivi, di non prendere una posizione o di lasciarci guidare dagli avvenimenti. Oggi serve consapevolezza, serve propositività e serve quell’entusiasmo che ci fa alzare lo sguardo al cielo e urlare «Si — può — fare!» tanto forte da illuminare le tenebre con una luce improvvisa. Viviamo tempi in cui le certezze non son più certe e l’idea di futuro con cui siamo cresciuti non esiste più. E sta solo a noi immaginare un futuro che sia espressione di quello che vogliamo e non di quello che per anni abbiamo creduto di volere.

Perché mio figlio ride sempre.
Il che mi ha fatto pensare che tutti noi nasciamo felici e che l’essere umano è, di natura, predisposto alla felicità. Il problema quindi non è come essere felici ma come rimanerlo. Il che non è da tutti. Il consumismo ci ha abituato a vivere in un constante stato di infelicità e insoddisfazione. Ci sembra di non avere mai abbastanza. E questo (inutile dirlo) non aiuta a rimanere felici. Anzi ci rende molto infelici, come dei bambini eternamente insoddisfatti. Spesso il nostro umore è influenzato più da quello che non abbiamo rispetto a quello che abbiamo. Al posto di chiederci quanto potremmo essere felice se avessimo qualcosa che non abbiamo, proviamo a chiederci quanto potremmo essere infelice se non avessimo più qualcosa che ora abbiamo e che diamo per scontato.

Perché il futuro potrebbe essere meno bello del presente.
Ovviamente spero di no, anzi mi auguro il contrario — credo nel contrario. Però è una possibilità. Il nostro impatto sul mondo, la scarsità delle risorse, la siccità, la disuguaglianza economica crescente, la privatizzazione di tutto e tutti, l’accumulo di nostri dati nelle mani di pochi soggetti, il riarmo nucleare e l’incognita dell’intelligenza artificiale. Sono tutte variabili che potrebbero influenzare negativamente il nostro futuro (e, soprattutto, quello dei nostri figli). Il che mi porta a tre conclusioni: 1) faccio di tutto per contribuire il meno possibile al crescere di queste variabili 2) cerco di avere un atteggiamento attivo e consapevole nei confronti del mondo 3) mi godo il presente e ne celebro la bellezza con la mia felicità.

Perché non sono (più) pigro.
La pigrizia crea infelicità. Ovviamente non ho prove scientifiche a riguardo. Ma posso dire con certezza che da quando non sono più pigro sono molto più felice. Ogni volta che supero la pigrizia e vado a correre o nuotare, poi sono più felice. Ogni volta che resisto all’impulso di comprare qualcosa di cui non ho bisogno, poi sono più felice. Ogni volta che vado oltre la pigrizia mentale e leggo un libro o studio il pensiero di un filosofo o vado a vedere una mostra, poi sono più felice. La pigrizia non è qualcosa di fisico ma di mentale e ci porta a ragionare solo nel brevissimo periodo. E spesso quello che nell’immediato può apparirci come fonte di felicità, nel lungo periodo non lo è.

Perché la felicità porta fortuna.
Neanche su questo ho prove scientifiche a riguardo. Ma per esperienza so di per certo che tutte le persone fortunate che ho conosciuto nella mia vita erano anche le più felici. E la cosa più sorprendente è che parlando con loro ho scoperto che non erano felici perché erano fortunate ma erano fortunate perché erano felici. Da persona molto razionale non posso che attribuire questa connessione a una naturale predisposizione per la positività. La felicità è contagiosa. Chi è felice genera felicità e si circonda di felicità. Personalmente penso di essere così felice perché sono circondato da persone felici. Come cantavano i Ramones «Today Your Love — Tomorrow The World» e l’amore è alla base di qualsiasi forma di felicità. Senza l’amore saremmo come persi in un deserto. Aridi e senza una meta. Questo concetto sembra molto semplice e banale e in effetti lo è. Ma come tutte le cose semplici viene spesso dato per scontato e ce ne accorgiamo solo quando lo abbiamo perso. Jacques Prévert scriveva che riconosciamo la felicità solo quando si allontana. E aveva ragione. Ma non avrebbe più senso renderci conto di quello che abbiamo e valorizzarlo prima di perderlo?

Perché vivo nel presente.
Ho passato la gran parte della mia vita a programmare tutto. Spesso con anni di anticipo. Poi mi sono guardato indietro e mi sono reso conto che le cose più belle che mi erano successe non le avevo programmate. Al che mi sono concentrato di più sul saper cogliere le occasioni piuttosto che sul costruirle. Spesso la nostra infelicità non è causata da quello che stiamo vivendo ma viene dalle aspettative o dalle ansie che abbiamo per il futuro o dalle nostalgie e i rimpianti che abbiamo per il passato. E questo spesso offusca la bellezza del nostro presente. Vivere nel momento presente, con consapevolezza ed entusiasmo, invece ci aiuta a vivere meglio anche il nostro passato e, soprattutto, il nostro futuro.

Perché un’ora al giorno almeno bisogna essere felici.
La felicità è un diritto, vero. Ma prima di essere un diritto è un dovere. È una questione di responsabilità e rispetto. Responsabilità nei confronti delle persone che ci stanno intorno, di noi stessi e di quello che decidiamo d’essere. Rispetto nei confronti del mondo e di tutte quelle persone che, non per loro volontà, non hanno la fortuna di poter scegliere cosa fare della propria vita. Dostoevskij (che non a caso Nietzsche considerava il più grande psicologo di tutti i tempi) pensava che l’uomo fosse infelice perché non sa di essere felice. Avere consapevolezza della nostra felicità non è facile, ma è necessario e per cominciare può bastare anche solo un’ora al giorno.