Servirsi dell’AI o essere al suo servizio?

Già diversi anni fa, l’imprenditore statunitense Marc Andressen prevedeva che un domani il mondo si dividerà tra quelli che diranno ai computer cosa fare e quelli a cui i computer diranno cosa fare. Sebbene questa idea di futuro possa avere un ché di dispotico, è verosimile che sempre più spesso i computer influenzeranno le nostre scelte e ci diranno, in maniera più o mena diretta cosa fare.

È qualcosa che succede già ora, anche se spesso non ce ne accorgiamo. Pensiamo al sistema delle raccomandazioni che ogni giorno troviamo sui Social Media o le piattaforme di eCommerce che frequentiamo. Proprio su questo tema, il ricercatore del MIT, Michael Schrage, scrive che i motori di raccomandazione (dai Feed sui Social ai suggerimenti tipo “Se ti piace questo, allora ti piacerà anche questo”) modellano sempre di più le persone, decidendo per loro conto cosa desiderano acquistare e chi vogliono diventare. Tanto che nel mondo delle Big Tech stanno nascendo nuove professioni come i Choice Architects che utilizzano elementi di design per cambiare le cose che gli utenti cliccano, comprano e a cui prestano attenzione.

Un domani il mondo si dividerà tra quelli che diranno ai computer cosa fare e quelli a cui i computer diranno cosa fare. – Marc Andressen

Processi simili accadono sempre di più anche in azienda. Pensiamo a quelle che vengono chiamate “Self-driving companies”, ovvero società in cui i manager umani sono sempre meno e la maggior parte delle decisioni aziendali, tra cui le assunzioni e i licenziamenti, sono prese da algoritmi. Nel saggio “Futureproof: 9 Rules for Humans in the Age of Automation” Kevin Roose fa l’esempio di MYbank un’app di prestito la cui procedura di firma è conosciuta come “3-1-0” per via dei tre passaggi richiesti: tre minuti per richiedere un prestito, un secondo per un algoritmo per approvarlo, e zero umani. Oppure pensiamo ad Amazon dove spesso i dipendenti dei magazzini hanno già oggi come capi degli algoritmi. O a servizi di Food Delivery come Deliveroo o aziende come Uber. Sono tutti esempi di come il personale sia sempre più diretto e supervisionato da software, detti anche “Bossware”, e non persone.

E questo non vale solo per la gestione del personale ma anche per la sua selezione. Nel 2019, un sistema basato su Intelligenza Artificiale sviluppato dalla startup americana Hire Vue, è stato utilizzato in Inghilterra per la selezione del personale. Il sistema sfrutta la tecnologia di Machine Learning per valutare le espressioni facciali, il lessico e il tono di voce dei candidati cui vengono sottoposte le stesse identiche domande e che vengono filmati attraverso uno smartphone o un personal computer. Le loro risposte e i loro video vengono poi confrontati in automatico con i dati raccolti intervistando dipendenti modello dell’azienda. In base al risultato, il candidato viene classificato all’interno di una categoria e poi, nel caso, selezionato per il lavoro per cui ha fatto il colloquio.

Tanto in azienda quanto nella nostra vita privata l’Intelligenza Artificiale influenza sempre di più le nostre scelte. Come utilizzarla al meglio?

È dunque lecito domandarsi se un domani sarà l’Intelligenza Artificiale ad essere al servizio dell’uomo o se, al contrario, sarà l’uomo ad essere al servizio dell’intelligenza artificiale.

Per rispondere a questa domanda, è importante comprendere meglio il concetto di “essere al servizio” e quindi definire chi (o cosa) stabilisce il fine e la strategia per raggiungere un risultato. Pensiamo a Netflix, oggi la direzione è ancora in mano alle persone. Sono i direttori creativi o i manager dell’azienda statunitense a definire le direttive da seguire. Tuttavia le loro decisioni sono sempre più basate sull’analisi di dati ed è quindi verosimile che un domani possa essere un algoritmo a dire alle persone come girare o come produrre un film.

Il rapporto tra esseri umani basati sull’ingegno ed esseri tecnologici basati su algoritmi sarà sempre più fluido e ambiguo. Gli uni saranno a supporto degli altri. Quello che importa è avere la consapevolezza di quando le nostre decisioni sono influenzate da un algoritmo e quando invece sono frutto di un nostro processo creativo.