Cinque anni.

In una recente intervista il “Padre dell’IA” Geoffrey Hinton ha detto che, se continuiamo a questa velocità, nel giro di cinque anni gli attuali ChatBot saranno in grado di ragionare meglio di noi esseri umani, manipolare le persone e “prendere il sopravvento”. Tanto da arrivare ad affermare che in poco tempo, noi esseri umani, diventeremo la seconda “specie” più intelligente sulla terra, perché la prima saranno appunto loro, i robot.

Una previsione che si sposa bene con quella di un altro guru dell’IA, il fondatore di OpenAI Sam Altman, secondo cui nel giro di 3 o 4 anni potranno nascere Unicorn (aziende private con una valorizzazione di mercato pari o superiore al miliardo) composte da una sola persona che delega ogni compito a delle macchine.

In poco tempo, noi esseri umani, diventeremo la seconda “specie” più intelligente sulla terra, perché la prima saranno appunto loro, i robot.

Il ché anticipa di qualche anno quel futuro, previsto da Marc Andreessen, in cui il mondo si dividerà tra quelli che diranno ai computer cosa fare e quelli a cui i computer diranno cosa fare.

Di fronte a queste previsioni, probabilmente esagerate ma fondate, viene da domandarsi se l’Intelligenza Artificiale possa essere in qualche modo rallentata. E se sia giusto farlo.

Come sostiene anche Hinton infatti, se da una parte l’avvento dell’IA rappresenta una minaccia concreta e, per certi versi, spaventosa, dall’altra questa tecnologia potrebbe portare benefici enormi a noi esseri umani.

La soluzione non è fermare la tecnologia, ma formare la tecnologia. Allenarla con dati di qualità con il fine di ridurre le disuguaglianze, i bias e i comportamenti scorretti. E soprattutto formare chiunque utilizzi questa tecnologia per far sì che venga utilizzata con consapevolezza e per il giusto fine.

Come sempre del resto, la tecnologia è solo un mezzo (almeno per ora). Quello che conta non è tanto il mezzo in sé, cosa usiamo, ma come lo usiamo e soprattutto con che fine lo utilizziamo.

La soluzione dunque non è fermare la tecnologia, ma formare la tecnologia. Allenarla con dati di qualità con il fine di ridurre le disuguaglianze, i bias e i comportamenti scorretti. E soprattutto formare chiunque utilizzi questa tecnologia per far sì che venga utilizzata con consapevolezza e per il giusto fine.