Corrente #44: Illibertà.

Søren Kierkegaard definiva l’ansia come espressione della “vertigine della libertà”. Secondo il filosofo danese, troppa libertà potrebbe causarci disagio, ansia e inquietudine. Della stessa idea è lo psichiatra Srini Pillay secondo cui noi, come esseri umani, siamo piuttosto ambigui sulla nostra volontà di essere liberi. Da un lato diciamo di voler essere liberi, però quando poi siamo liberi ci sembra di non avere gravità, come se stessimo cadendo nel vuoto. E di conseguenza molte persone si creano degli impedimenti nelle loro vite per limitare la propria libertà e non percepire questo senso di vertigine. Vogliamo la libertà di avere tutte le strade aperte ma poi abbiamo paura di quello che questo comporta.

Ancora più oltre si spinge il filosofo sloveno Slavoj Žižek quando scrive che oggi la più pericolosa minaccia alla nostra libertà non proviene da un potere apertamente autoritario, ma avviene quando la nostra stessa non-libertà viene vissuta come libertà. Detto in altre parole: oggi viviamo in un mondo dove abbiamo l’illusione di essere liberi quando in realtà non lo siamo affatto. E questo, secondo Žižek, è un doppio problema perché non solo non siamo liberi ma non abbiamo neanche la consapevolezza di non esserlo.

In questo scenario si inserisce il concetto di “Illibertà” inteso appunto come quella condizione di non-libertà, camuffata da libertà, in cui viviamo il libero arbitrio come un peso che provoca ansia e frustrazione.

Sempre secondo Žižek esistono una moltitudine di forme di Illibertà sotto le mentite spoglie del suo contrario: «quando ci tolgono la sanità pubblica, per esempio, ci viene detto che riceviamo una nuova libertà di scelta (scegliere il nostro fornitore di assistenza sanitaria), quando non possiamo più fare affidamento sul lavoro a lungo termine e siamo costretti a cercare un lavoro precario ogni due anni ci viene data l’opportunità di reinventarci e scoprire nuovi inaspettati potenziali creativi celati nella nostra personalità [mi domando cosa Žižek penserebbe di “Inventati il lavoro”], quando paghiamo per l’educazione dei nostri figli ci viene detto che diventiamo “imprenditori di noi stessi”» and “so on and so on” (per usare un’espressione cara a Žižek).

Da un lato diciamo di voler essere liberi, però quando poi siamo liberi ci sembra di non avere gravità, come se stessimo cadendo nel vuoto.

In sintesi dunque, in un mondo dove siamo «costantemente bombardati da “libere scelte” imposte, costretti a prendere decisioni per le quali non siamo quasi mai adeguatamente qualificati (o in possesso di informazioni sufficienti), viviamo la nostra libertà sempre di più come un peso che provoca un’ansia insopportabile».

Dello stesso parere è il filosofo Byung-Chul Han che nel saggio “La società della stanchezza“ scrive: «La dialettica di servo e padrone non conduce, alla fine, a una società nella quale ciascuno è un soggetto libero, capace anche di oziare. Conduce, piuttosto, a una società del lavoro nella quale perfino il signore è divenuto servo.»

È come se lo “Yes We Can” di obamiana memoria fosse diventata quasi una tirannia. Ci sentiamo costretti a fare qualcosa solo perché possiamo farlo e non perché vogliamo farlo e se non cogliamo tutte le opportunità che ci circondano, se non siamo noi in prima persona agenti attivi del cambiamento che vorremmo vedere nel mondo o nella nostra vita, ci sentiamo in colpa e frustrati.

Pensiamo al mondo Digital. Volendo potremmo aprire un canale Instagram e diventare un Influencer, oppure un canale YouTube e diventare uno Youtuber, o ancora auto-pubblicare un libro e diventare un autore, o lanciare un progetto e fare lo Startupper. Che ci vuole? Abbiamo gli strumenti per farlo a portata di mano. Ma vogliamo veramente farlo?

Oggi, è vero, abbiamo molte più possibilità di un tempo, ma è proprio per questo motivo che mai come ora è fondamentale sapere quello che vogliamo fare o essere e non quello che possiamo fare o potremmo essere solo perché, in teoria, abbiamo i mezzi per farlo.