Corrente #14: Misattribution.


Nel film La Sirenetta Scuttle è un gabbiano che dà informazioni ad Ariel sugli usi e costumi del mondo umano. In realtà Scuttle non ne sa nulla degli usi e costumi degli umani, eppure si vende come il massimo esperto in materia. Così quando la Sirenetta gli mostra alcuni degli oggetti che ha trovato in un relitto, lui le spiega che la forchetta è in realtà un pettine e una pipa è uno strumento musicale.

La Sirenetta è un film d’animazione, nella realtà non esiste nessun Scuttle che ci racconta a cosa serva la forchetta o il pettine, tuttavia anche il nostro mondo è pieno di personaggi come Scuttle. Personaggi che, con imperturbabile sicurezza, convincono altre persone e auto-convincono se stessi delle proprie idee. Gli “Scuttle” esistono da sempre ma, con l’avvento di Internet e dei Social Media, sembrano essersi moltiplicati e diffusi a macchia d’olio, anche grazie a (o a causa di…) fenomeni tipici della nostra epoca come la misattribution, ovvero un bias cognitivo secondo il quale, mentre le persone raccolgono informazioni online, arrivano a credere di essere più intelligenti e più informate di quanto non siano in realtà.

Misattribution: Mentre le persone raccolgono informazioni online, arrivano a credere di essere più intelligenti e più informate di quanto non siano in realtà.

La misattribution è un fenomeno che ha radici profonde. Già nel 1921, James Harvey Robinson nel suo libro The Mind in the Making sosteneva che l’essere umano avesse una naturale propensione a difendere le proprie convinzioni e quindi la propria (presunta) saggezza. Della stessa idea erano i sociologi William Thomas e Florian Znaniecki che con le loro ricerche dimostrarono come, quando le persone credono che una cosa sia vera, fanno di tutto per renderla vera, anche quando non lo è. Quasi 100 anni dopo, le cose non sono cambiate, anzi, le “Filter bubble” dei Social Media, hanno enfatizzato questa tendenza dando a chiunque la possibilità di crearsi un sistema mediatico che non fa altro che confermare le proprie convinzioni. La tendenza sembra essere quella di smettere di farci domande o cercare risposte per andare sempre di più alla ricerca di conferme. Il problema quindi non è solo un’informazione fatta di Fake News ma anche di Self News alimentate da una rete di informazioni che ci danno l’illusione di essere sempre nel giusto e ci evitano in tutti i modi il disagio di metterci in discussione.

In una recente intervista, la psicoterapeuta forense Gwen Adshead parla di justification narratives, intendendo con questo termine le storie che ci creiamo nella nostra mente per giustificare le nostre decisioni. È un meccanismo psicologico molto comune, ma anche molto rischioso. Perché non ci permette di vedere la realtà per quella che è, ma solo per la versione che noi vogliamo darle. Funziona così tanto nella vita privata quanto in quella professionale. Dietro a molti fallimenti o errori spesso si nasconde infatti proprio una justification narrative che ha portato manager o imprenditori a cercare di più una storia per giustificare (in primis a se stessi) quello che avevano fatto piuttosto che una soluzione ai problemi che avevano creato.

Nel saggio Pensieri lenti e veloci Daniel Kahneman parla di un altro bias che contribuisce alla diffusione della misattribution: la “cascata di disponibilità”. Secondo Kahneman la cascata di disponibilità è una catena autoalimentata di eventi che può iniziare dalle notizie mediatiche su un evento relativamente minore e condurre al panico generale e a un’azione del governo su larga scala. Questo accade soprattutto quando la notizia, di per sé non allarmante, viene deliberatamente ingigantita da «imprenditori della disponibilità» che alimentano un flusso continuo di notizie allarmanti con il fine di seminare il panico per guadagnarci soldi o visibilità. Questo concetto dovrebbe farci riflettere su come il mero fatto che oggi abbiamo accesso a tante informazioni superficiali, non voglia dire che queste siano vere, e che l’informazione, così come la conoscenza, non è una questione di quantità ma di qualità. Anzi, troppa informazione, può essere addirittura controproducente, perché ci dà l’illusione di sapere. L’illusione di essere informati, anche quando non lo siamo. L’illusione di pensare che basti leggere quattro tweet per farci un’opinione su grandi temi.

Ed è proprio questo il punto critico della misattribution. Come sappiamo fin dai tempi di Socrate infatti, la base per la conoscenza è la consapevolezza della propria ignoranza. Sappiamo di non sapere e quindi iniziamo il lungo cammino che ci porta alla conoscenza. Se viene meno questa consapevolezza, potrebbe venire meno anche la nostra capacità di apprendere e coltivare il nostro senso critico.