Corrente #27: Phubbing.

Esserci-Senza-Esserci, può apparire un concetto filosofico, ricorda Heidegger o Parmenide, può anche portare alla memoria concetti quantistici come il celebre gatto di Schrödinger. Tuttavia è un fenomeno che, sempre più spesso, riguarda la nostra quotidianità. Siamo in un luogo, condividiamo uno spazio con altre persone, ma la nostra mente è altrove, distratta da un messaggio ricevuto su WhatsApp o da una news letta su Instagram.

Phubbing: Neologismo nato dalla fusione delle parole “Phone”, telefono, e “Snubbing”, snobbare, descrive l’atto di evitare interazioni con qualcuno in favore dell’uso del telefono.

È quello che la psicologa Sherry Turkle chiama Phubbing, neologismo nato dalla fusione delle parole “Phone”, telefono, e “Snubbing”, snobbare, e utilizzato per descrivere l‘atto di evitare interazioni con qualcuno in favore dell’uso del telefono. È una forma di protezione. Come persone vogliamo sempre più relazioni con gli altri a patto di rimanere a una distanza che possiamo controllare. A patto di non trasformare una connessione in una conversazione che non sappiamo dove potrebbe portarci e di cui non abbiamo il pieno controllo. E quindi ci rivolgiamo alla tecnologia perché ci offre l’illusione della compagnia senza le responsabilità dell’amicizia.

Il problema è che il Phubbing ha anche un risvolto interiore che tocca un bias tipico del nostro tempo: la “idleness aversion”, l’incapacità di rimanere da soli con i nostri pensieri. Tanto che, come dimostra uno studio pubblicato da Timothy Wilson su Science, le persone preferirebbero ricevere delle scariche di Elettroshock piuttosto che stare da soli a riflettere per dieci o venti minuti. Non solo dunque utilizziamo lo smartphone per “snobbare” gli altri, ma anche per “snobbare” noi stessi, o meglio, i nostri pensieri.