Positività tossica e algofobia.

All’interno del romanzo T.E.R.R.A., una delle protagoniste si “vanta” della sofferenza provata per mettere al mondo il proprio figlio con un parto naturale, a differenza di tutte le donne che, nello Stato di A, preferivano il cesareo per non sentire dolore. È ovviamente un’esagerazione. Non tutte le donne ricorrono al cesareo. Tuttavia è un’esagerazione che si basa su un trend reale. Secondo uno studio pubblicato su The Lancet e condotto su 169 Paesi, tra il 2000 e il 2015 il numero di bambini nati con parto cesareo è quasi raddoppiato passando dal 12.1% al 21.1%, con una notevole disparità tra Paesi dell’Africa sub-sahariana, dove il tasso di parti cesarei resta ancora molto contenuto (4%), Stati Uniti d’America ed Europa, che hanno visto un incremento di circa dieci punti percentuali e i Paesi dell’America Latina e dei Caraibi, dove si è assistito a una variazione superiore ai dieci punti percentuali.

Grazie anche ai Social Media, tendiamo a costruirci un mondo fatto di notizie positive, cuoricini e Like, con il paradosso che oggi tanto la depressione quanto i suicidi sono in continuo aumento.

Questo fenomeno s’intreccia con altri grandi trend tipici dei nostri tempi come la positività tossica o l’algofobia, ovvero la tendenza a evitare il dolore, le emozioni negative e tutto quello che potrebbe incrinare la nostra serenità apparente. Una sorta di imperativo che ci spinge a metterci una maschera sorridente in faccia e ricercare solo contenuti ed esperienze effimere, come i tanti gattini che circolano online. Grazie anche ai Social Media, tendiamo a costruirci un mondo fatto di notizie positive, cuoricini e Like, con il paradosso che oggi tanto la depressione quanto i suicidi sono in continuo aumento.

Questo si potrebbe spiegare con la nostra incapacità di affrontare il negativo. In un mondo di positività indotta (e quindi tossica) stiamo perdendo la capacità di accettare ed elaborare le difficoltà, le debolezze e tutto quello che potrebbe renderci più vulnerabili verso gli altri e, soprattutto, verso noi stessi. Sui Social vediamo vite artificialmente perfette e ci sentiamo in colpa se la nostra vita non è all’altezza di una fotografia o di un video cui abbiamo appena messo un cuoricino su Instagram.

In un mondo di positività indotta (e quindi tossica) stiamo perdendo la capacità di accettare ed elaborare le difficoltà, le debolezze e tutto quello che potrebbe renderci più vulnerabili verso gli altri e, soprattutto, verso noi stessi.

Nel suo bestseller Thinking, Fast and Slow Daniel Kahneman scrive: «Se ti fosse concesso di augurare qualcosa di bello a tuo figlio, potresti seriamente considerare di augurargli l’ottimismo. Gli ottimisti sono in genere più allegri e felici, e quindi simpatici a tutti, sono adattarsi con duttilità ai fallimenti e ai sacrifici, hanno una ridotta possibilità di ammalarsi di depressione clinica, sono dotati di un sistema immunitario più forte […] e hanno più probabilità di vivere più a lungo». Da ottimista quale sono, non posso che sottoscrivere ogni parola. Tuttavia c’è un risvolto negativo. L’ottimismo funziona se non perdiamo di vista la realtà e non fingiamo che tutto vada bene anche quando nulla va bene. Perché proprio qui l’ottimismo si trasforma in positività tossica.

Essere ottimisti non vuol dire reprimere le proprie emozioni negative o ignorarle. Vuol dire affrontarle, dandoci il tempo di comprenderle e metabolizzarle. Non vuol dire sorridere sempre ed essere sempre d’accordo con tutti. Vuol dire mettersi in discussione e avere il coraggio di cambiare o, se serve, chiedere scusa. Non vuol dire non avere problemi, ma al contrario cercare sempre nuovi problemi da risolvere, perché l’essere umano è nato per risolvere problemi. Risolve problemi dall’inizio dei tempi. L’assenza di problemi da risolvere o di avversità da affrontare va contro la nostra stessa natura e ci rende tristi, depressi e frustrati. Avere un problema da risolvere, piccolo o grande che sia invece, ci tiene motivati e attivi.

Essere ottimisti non vuol dire reprimere le proprie emozioni negative o ignorarle. Vuol dire affrontarle, dandoci il tempo di comprenderle e metabolizzarle. Non vuol dire sorridere sempre ed essere sempre d’accordo con tutti.

Potremmo quindi sostituire la positività tossica con la negatività salubre. Al posto di reprimere le emozioni e le esperienze negative, accettarle e usarle come leva per vivere una vita più significativa e coltivare la nostra agilità emotiva.