Corrente #90: Prosthetic knowledge.

Nel film “Demolition Man”, Sylvester Stallone interpreta John Spartan un poliziotto che nel 1996 riesce a catturare lo spietato criminale Simon Phoenix. Durante l’operazione però, a causa dell’esplosione di un vecchio palazzo dismesso dove Phoenix si nasconde, restano coinvolti anche 30 civili che il criminale aveva preso in ostaggio. In via preventiva dunque, Spartan e Simon vengono entrambi condannati a un “congelamento correttivo” in un crio-penitenziario.

Quando Spartan viene risvegliato, nel 2032, ha subito voglia di mettersi a lavorare a maglia. Stupito da questo insolito desiderio, il poliziotto chiede al tenente Lenina Huxley come fosse possibile. Lei, sorridendo, risponde che fa parte del programma di riabilitazione. Durante il “congelamento correttivo” infatti, un algoritmo sceglie per il detenuto un’abilità o un mestiere che meglio si adatta alla sua disposizione genetica e gli impianta nel cervello la conoscenza necessaria per portare a termine l’addestramento assegnato.

In pratica nel film si immagina un computer in grado di installare nella mente delle persone la conoscenza di, potenzialmente, qualsiasi cosa, senza che queste persone debbano fare la fatica di studiare.

Sebbene questa sia una fantasia in bilico tra l’utopico e il dispotico, oggi grazie al progresso sempre più veloce della tecnologia, ci stiamo avvicinando a qualcosa di simile. Nel particolare, questo qualcosa si chiama Prosthetic knowledge, ovvero una tipologia di informazioni che una persona non conosce a memoria, ma a cui può facilmente attingere in caso di necessità utilizzando la tecnologia.

Quanto tempo ci vorrà prima che questa tecnologia possa essere messa in contatto direttamente con il nostro cervello come una sorta di Knowledge As A Service che non dobbiamo imparare ma che ci può essere fornita solamente quando ci serve?

Per ora l’accesso a queste informazioni prevede ancora un mezzo esterno a noi come può essere il nostro computer o il nostro smartphone. Ci serve un dato o una competenza, accendiamo a Google o Wikipedia e lo cerchiamo. Già con ChatGPT però la situazione cambia. Abbiamo un’Intelligenza Artificiale con cui dialogare per farci dare informazioni e competenze che non abbiamo, in maniera semplice e intuitiva.

Quanto tempo ci vorrà prima che questa tecnologia possa essere messa in contatto direttamente con il nostro cervello come una sorta di Knowledge As A Service che non dobbiamo imparare ma che ci può essere fornita solamente quando ci serve?

Sebbene l’idea di infilarci un computer nel cervello possa apparire futuristica e, per certi aspetti, inquietante, tuttavia, la distanza tra noi e la tecnologia è sempre più ridotta. Un tempo i computer erano delle enormi macchine che stavano in ambienti molto distanti da noi. C’erano intere stanze dedicate ai computer e, raramente, la nostra vita si mischiava con la loro. Negli anni Ottanta, i personal computer portarono la tecnologia dentro le nostre case e i nostri uffici, per poi seguirci, con i computer portatili, ovunque noi andassimo. In seguito, con l’arrivo dei cellulari prima e degli smartphone poi, la distanza tra le persone e i computer si è ridotta ulteriormente e la tecnologia è diventata l’oggetto attorno cui gravita tutta la nostra vita. Infine la nascita e la diffusione dei dispositivi indossabili, primi fra tutti gli smartwatch, ha portato la tecnologia sopra la nostra pelle mettendola in comunicazione costante con il nostro corpo.

Seguendo questo percorso, il passaggio da una tecnologia sopra la nostra pelle a una tecnologia sotto la nostra pelle è solo una questione di tempo.

E quando questo avverrà, quando avremo una tecnologia sempre connessa al nostro corpo e alla nostra mente in grado di attingere a, potenzialmente, qualsiasi informazione in qualsiasi momento, forse assisteremo alla fine dell’essere umano biologico e l’inizio dell’essere umano bio-tecnologico.

Un esempio potrebbe essere, già oggi, il biohacker Patrick Paumen che negli anni si è fatto installare 32 chip sotto-pelle con cui paga, apre porte e conduce una vita tecnologica di cui sembra essere molto soddisfatto: «Gli impianti con chip contengono lo stesso tipo di tecnologia che le persone usano quotidianamente», spiega Paumen in un’intervista alla BBC, «dai portachiavi per sbloccare le porte, alle tessere per il trasporto pubblico come la Oyster card di Londra, o alle carte bancarie con funzione di pagamento contactless.»

Nel suo celebre libro Homo Deus, il filosofo Harari ipotizza un futuro in cui ci sarà una netta separazione tra chi saprà ingegnerizzare corpi e cervelli e chi no, sostenendo di conseguenza che coloro che salteranno sul treno del progresso saranno in grado di acquisire capacità divine di creazione e distruzione, mentre coloro che rimarranno a piedi si estingueranno. Secondo lo storico israeliano dunque il mondo si dividerà tra una piccola e privilegiata élite di superuomini “potenziati” e la maggioranza delle persone che, non essendo “potenziate”, diventeranno una casta inferiore dominata sia dagli algoritmi sia dai superuomini.

Di fronte a queste previsioni, al limite del distopico, l’idea, alla base del film Demolition Man, per cui un domani potremmo acquisire nuove competenze semplicemente installandole nel nostro cervello non appare poi così distante.