Cambiare lavoro per cambiare identità.

Alessandra Lomonaco
Come scrisse il filosofo statunitense David Weinberger, quando sei la persona più intelligente nella stanza, vuol dire che sei nella stanza sbagliata. E nel 2013, dopo vent’anni di carriera nel campo del controllo aziendale, Alessandra ha sentito il bisogno di cambiare stanza. Ha capito che la carriera in azienda, non faceva per lei. Ha capito che aveva bisogno di nuovi stimoli, di imparare ogni giorno cose nuove e, soprattutto, di avere maggiore autonomia. Così, dopo un Executive MBA decide di cambiare non solo stanza, ma anche vita. Lascia il lavoro da manager e si mette in proprio. Entra nel mondo delle startup e della consulenza. E dal quel momento non torna più indietro, perché, usando le sue stesse parole, quando lasci la carriera da dipendente per metterti in proprio, non stai solo cambiando lavoro, ma stai cambiando identità e questo è un passaggio irreversibile.

 

 

Intervista

Mi racconti il tuo passaggio da dipendente a imprenditrice? Cosa ti andava stretto del lavoro in azienda? E cosa hai guadagnato mettendoti in proprio?



Ogni lavoro ha i suoi pro e i suoi contro. Credo però che nella vita sia importante ritagliarsi il proprio spazio lavorativo che rispecchi i nostri talenti, ambizioni, oserei dire anche sogni. Il lavoro dipendente, per quanto riguarda la mia esperienza, obbliga a ritagliarsi questo spazio all’interno di un ruolo aziendale prestabilito, e anche laddove, come mi è capitato, è un ruolo che devi costruire da zero, vi sono molti limiti legati al contesto organizzativo. Inoltre i tempi sono dettati dall’azienda, la flessibilità è ridotta e a volte ci si sente degli ingranaggi di una macchina più grande e incontrollabile. Lavorando in proprio tutto questo non esiste, c’è molta autonomia, discrezionalità e le decisioni di business si prendono con i clienti. Il ruolo commerciale e relazionale che ho ora è qualcosa che certamente mi mancava durante il mio lavoro da dipendente, dove svolgevo attività di controllo e analisi finanziaria.

 

In Italia solo il 26% delle donne ricopre cariche manageriali, c’è un gender pay gap del 23% (ovvero per ogni dollaro guadagnato dagli uomini le donne prendono 77 centesimi) e solo il 21,8% delle imprese italiane è guidato da donne. Tuttavia, il 40% delle imprese femminili è nato dopo il 2010, ovvero negli ultimi 8 anni in Italia c’è stato un boom di donne imprenditrici. Tu lavori e aiuti molti imprenditrici donne, secondo te l’imprenditoria può essere la soluzione per ridurre, se non eliminare, le differenze di genere sul lavoro?

Ti ringrazio per questa domanda. Tengo molto al tema dell’imprenditorialità femminile e, come dici, c’è un trend positivo che vede sempre più donne diventare imprenditrici. I motivi possono essere senz’altro dovuti al tetto di cristallo che trovano in azienda (è capitato anche a me) e al gender pay gap, ma credo che anche una maggiore consapevolezza delle nostre potenzialità da un lato e il digitale dall’altro, siano due grandi driver di cambiamento per noi donne. La tecnologia abilita la nostra creatività ed è meritocratica. Se un’idea è valida e risponde a bisogni di mercato, non ci sono regole prestabilite o tetti di cristallo che possano limitare la nostra crescita. I “tetti”, a volte, sono solo quelli che ci poniamo noi, per questo serve maggiore consapevolezza delle nostre capacità. Il mentoring e il networking sono fondamentali per supportarci e sviluppare proprio quel potenziale che tutte noi abbiamo.

La tecnologia abilita la nostra creatività ed è meritocratica. Se un’idea è valida e risponde a bisogni di mercato, non ci sono regole prestabilite o tetti di cristallo che possano limitare la nostra crescita.

Sui Social Network sei molto attiva (in particolare su Twitter e Linkedin). Quanto conta oggi avere una community e quali consigli daresti a chi sta lanciando la propria attività per auto promuoversi e costruirsi una community?

Credo che nessun imprenditore o professionista possa avere successo senza un ecosistema che lo supporti. Nemmeno Steve Jobs o Jeff Bezos, solo per citarne un paio che hanno cambiato le nostre vite con le loro innovazioni. Il network, o community, è quell’ecosistema che serve per sviluppare nuove idee, condividere, confrontarsi, raccogliere feedback (positivi e negativi), co-creare nuove soluzioni. Sviluppare la propria community richiede capacità di ascolto e di comunicazione, volontà di “dare” prima di “ricevere”. I social network sono la realtà aumentata del networking tradizionale. Su Twitter e Linkedin, ma anche su altri canali, incontro persone che mi stimolano, che mi suggeriscono idee nuove. Ho trovato molti amici su questi social, con cui oggi collaboro, incontro quotidianamente sui canali digitali ma anche in un co-working o in un bar per un caffè e per condividere vis-a-vis le nostre progettualità. Non utilizzare questi strumenti oggi significa, a mio avviso, perdere opportunità infinite, sia dal punto di vista professionale che umano.

 

Come Advisor, aiuti molte startup a trovare i finanziamenti per iniziare. Quanto è difficile trovare i fondi in Italia? E che consigli ti senti di dare, in termini di Fund Raising, a chi sta iniziando a cercare i primi fondi per lanciare la propria startup?

La mia attività consiste nel supportare le startup nell’indirizzo strategico, nella comunicazione e nella ricerca di finanziamenti. Trovare i fondi non è facilissimo, ma spesso non è nemmeno la priorità per molte startup. Mi spiego meglio: molto spesso è necessario validare l’idea di business sul mercato, trovare il product-market fit e mettersi alla prova come team. Questo vale soprattutto per le startup early-stage, che prima di cercare finanziatori (business angels per non parlare dei fondi di VC) devono poter dimostrare con i dati che il loro progetto imprenditoriale, prodotto o servizio, produce risultati sul mercato e che ci sono persone che lo provano e sono disposte a pagare per averlo. Quando c’è un minimo di track record e si possono portare delle metriche al tavolo di negoziazione con un investitore, allora la strada diventa più praticabile. Ci sono naturalmente i bandi pubblici per il sostegno all’imprenditoria, nazionali, regionali ed europei, c’è il crowdfunding, che sta vivendo un boom nel nostro paese, ci sono le pitch competitions in cui imprese o acceleratori premiano le startup con dei riconoscimenti monetari e/o servizi a supporto della crescita. Ma all’inizio i cosiddetti Family-Friends-Fools sono spesso i primi finanziatori, quando la startup deve ancora essere costituita e l’idea di business è un sogno o una visione che può cambiare abitudini, stili di vita delle persone migliorando al contempo la comunità che ci circonda, l’ambiente, il nostro futuro. Innovare significa proprio questo in fondo.

Nessun imprenditore o professionista può avere successo senza un ecosistema che lo supporti.

 

Qualche domanda veloce

Se trovassi una macchina del tempo (funzionante…) e potessi fare un solo viaggio, dove andresti a vivere? Nel passato o nel futuro?

Nel futuro.

Quando a una cena ti chiedono cosa fai di lavoro, cosa rispondi (in una parola)?

Imprenditrice.

Cosa ti spinge di più a lavorare? Fare soldi (making money), o fare qualcosa che dia un senso alla tua vita e abbia un impatto sul mondo (making meaning)?

Qualcosa che abbia un impatto nel mondo e che mi faccia stare bene.

Come mentore e advisor qual è il consiglio che ti senti più spesso di dare?

Evito sempre di dare consigli, ascolto molto e metto le persone nella condizione di prendere le decisioni migliori per se stesse.

In un discorso al Billboard Women in Music 2016, Madonna ha detto che nella vita non esiste alcuna sicurezza ad eccezione della sicurezza in se stesse. Sul lavoro per te cosa conta di più: la fiducia che hai in te stessa oppure la fiducia che altri hanno in te?

Entrambe, ma se non avessi fiducia in me stessa anche gli altri non ne avrebbero in me.

Se potessi scrivere una sola parola su tutti i tuoi profili Social così che quante più persone possano leggerla, quale parola sceglieresti?

Never-ending learner.