Una palla di lavoro.

Roberto Balocco
Roberto ha una storia imprenditoriale bellissima. Una di quelle storie che non sembrano vere. Nasce come grafico e per anni lavora insieme al suo socio, Roberto Necco, nel loro studio di comunicazione visiva a Torino. Poi una sera di cinque anni fa sta guardando un dibattito politico in televisione e pensa: «Quante palle!», e improvvisamente arriva l’idea: perché non trasformare tutte le palle che ogni giorno sentiamo al lavoro e nella nostra vita privata in palle natalizie? Così disegna le prime “palle di natale” con frasi tipo “Domani mi alzo e vado a correre”, “Sarai finito nello spam” e “Se riesco vengo”, e lancia una prima tiratura di 500 pezzi che vengono venduti in un attimo. L’idea funziona e Roberto decide di trasformarla nel suo lavoro. Lancia il brand LePalle.it creando nuovi prodotti come orologi con la palla “Non vedo l’ora”, magliette (“Non ho mai niente da mettermi”), tovagliette, grembiuli, cestini per il pane, sottobicchieri, piatti, agende e altro ancora.

 

 

Intervista

Mi racconti meglio cos’è LePalle e cosa ti ha sempre spinto a fare l’imprenditore al posto di trovarti un lavoro come dipendente?

In realtà “sempre” non è corretto. Ho iniziato facendo i miei primi 15 anni di gavetta in studi e agenzie… E fin da subito seguivo tutti, ma proprio tutti, gli step di processo e li curavo responsabilmente come fossero “miei”. Ma in fondo non lo erano, e quindi ho voluto allontanarmi da situazioni “tossiche”, in grado di farti ammalare. Ha anche a che fare con la propria libertà, con il giocarci in prima persona e metterci la propria faccia fino in fondo (e peraltro senza che questa sia manipolata per tornaconto altrui). LePalle invece è una fortunata intuizione (leggi anche “botta di culo”), un’idea poi diventata “solida”, concreta. Ha a che vedere con una certa auto-indulgenza, un prendere le cose e se stessi con maggior leggerezza, una sorta di antidoto al non prendersi troppo sul serio. Fanno sorridere, e ce n’è bisogno.

 

Viviamo nell’era della post-verità e delle fake news, e tu hai fatto delle palle un’attività. Quanto conta il marketing per inventarsi un lavoro? E quali consigli pratici per auto promuoversi daresti a una persona che vuole lanciare la propria attività?

Va fatto un distinguo. LePalle non hanno molto a che fare con la post-verità, che è la bugia usata per scopi non neutri ed è sempre dannosa. Allo stesso tempo, non è detto che il marketing oggi per essere efficace debba basarsi sulla menzogna seriale e studiata a tavolino. LePalle hanno a che fare con le piccole bugie quotidiane, spesso innocenti, qualche volta ironiche o sarcastiche, mai dannose o cattive, quelle che aiutano a sopravvivere nella vita quotidiana – insomma, sono bugie da mondo reale, spesso con le gambe corte o cortissime, e non hanno niente a che vedere con gli alternate facts di cui oggi siamo bombardati. Consigli di marketing? La cosa essenziale io credo che sia l’onestà, ossia il messaggio che non deve essere finto, ma diretto e chiaro e il più possibile rivelatore dell’identità del prodotto, o del produttore. Così come chiara debba apparire una “visione”. Alla lunga, paga la qualità e il rapporto di fiducia con il consumatore; se vendi fuffa ben confezionata prima o poi si scopre, e tutto svanisce. E poi una bella “sbatta” in prima persona: ok i social, ma io ho voluto anche prendermi la valigetta e andarmi a presentare nei punti vendita che prima ho scelto, così come cercare di partecipare a tanti eventi in molte città per osservare direttamente le reazioni delle persone.

Alla lunga, paga la qualità e il rapporto di fiducia con il consumatore; se vendi fuffa ben confezionata prima o poi si scopre, e tutto svanisce.

Quale è stato il momento in cui hai capito che LePalle era il progetto imprenditoriale giusto su cui investire? E quali pensi siano le caratteristiche che un’idea creativa debba avere per essere trasformata nel proprio lavoro?

LePalle sono nate come un progetto legato al Natale, ed inizialmente nessuno credeva che sarebbero potute diventare qualcosa di più articolato. Diciamo che ho deciso di investire su questo progetto sull’onda del successo di vendite e critica ottenuto nel corso degli anni. E su un riscontro genuino: è bello vedere le persone sorridere di gusto, c’era apprezzamento. Sono tuttora convinto della bontà del progetto, e di molte potenzialità ancora inespresse anche se la situazione complessiva in Italia, e non parlo solo dal punto di vista economico, non è facile. Diciamo quindi che l’idea non basta: deve avere appeal, cosa sempre più difficile oggi, specie se l’idea non è proprio immediata (le persone hanno sempre meno voglia di pensare, e vogliono spendere poco, ma pretendono contemporaneamente di avere degli oggetti “carini”, insomma vogliono qualcosa di abbastanza complesso da offrire). Oggigiorno il valore di un prodotto di qualità basato su una buona intuizione creativa è paradossalmente diminuito, raggiunge un numero sempre più ristretto di persone a causa di multinazionali che “educano” al consumo “veloce” e ciò costringe a doversi rapportare con queste dinamiche, per cui il successo non è più certificato da una buona idea. Essa può trasformarsi in un progetto se è realizzabile con costi ragionevoli, se è abbastanza ampia da raggiungere un pubblico allargato, se prevede da subito di poter essere modificata, o comunque ridefinita di quando in quando. È essenziale avere in testa un piano, un progetto in cui declinare l’idea. Altrimenti, si fa poca strada.

 

In Italia il 94% delle fatture sono pagate in ritardo, e, non a caso, una delle palle che chi lavora in proprio si sente dire più spesso è “Domani ti faccio il bonifico”. Tu lavori in proprio da molti anni, mi racconti la tua esperienza di imprenditore dal punto di vista economico finanziario? E quali sono i consigli che ti senti di dare a chi si mette in proprio?

Ho iniziato con un socio e uno studio di comunicazione visiva, per certi versi era tutto più semplice: pochi strumenti necessari e la testa. Poi il fascino dell’autoproduzione, in principio volumetti illustrati ed editi indipendentemente, fino appunto alle Palle di Natale. Ma poi quando si ha a che fare con i prodotti, le cose si complicano un pochino (fornitori, approvvigionamenti, auto distribuzione, ecc…) ed economicamente è tutta un’altra storia rispetto a “vendere un file”. E poi un prodotto parte da un gusto personale e deve farsi strada per raggiungere il gusto di altre persone. La situazione, in Italia, è drammatica. Specifico in Italia perché i ritardi nei pagamenti sono un fenomeno che riscontro perlopiù con i clienti nazionali, con quelli esteri il problema praticamente non sussiste, sebbene le cattive abitudini si stiano espandendo. Un’analisi del perché ciò accada non può qui essere fatta, perché è troppo complessa: le responsabilità sono molteplici, non necessariamente tutte politiche perché spesso chi paga in ritardo, tralasciando la disonestà di molti, è anche un cattivo imprenditore che non sa gestire in modo efficiente entrate, uscite, oppure non sa acquistare avendo ben chiaro cosa poi voglia fare di quella merce, o se sia “giusta” per la sua clientela (non basta acquistare o mettere negli scaffali, i prodotti vanno promossi, spiegati al cliente, e vendere non è facile, men che meno oggi). Anche per questo ha senso evitare il più possibile (con dovute eccezioni) conti-vendita, i pagamenti dilazionati; conviene scrivere sempre tutto nero su bianco e “tampinare” i clienti. Ma non è facile: di fatto, farsi pagare è diventato un lavoro a tempo pieno, e spesso si tratta di una catena, della quale è difficile risalire al primo responsabile. Chi decide di mettersi in proprio quindi deve aver un buon commercialista e valutare volta per volta, a seconda degli interlocutori, le soluzioni più sicure ed efficaci.

Di fatto, farsi pagare è diventato un lavoro a tempo pieno, e spesso si tratta di una catena, della quale è difficile risalire al primo responsabile.

 

Qualche domanda veloce

Qual è la palla che ti senti dire più spesso?

“Domani ti faccio il bonifico”, appunto… o anche “lo prendo di sicuro”

E quella che dici più spesso?

Già la mia credibilità ormai è messa a dura prova, se ti rivelo anche questo, la abbattiamo del tutto… Appunto per questo talvolta affermo “LePalle le faccio ma non le dico” (come no!)

Se trovassi una macchina del tempo (funzionante…) e potessi fare un solo viaggio, dove andresti a vivere? Nel passato o nel futuro?

Nel passato, non troppo lontano. Gli anni Sessanta/Settanta per il fermento musicale e creativo…

Se potessi scrivere una sola palla su un grosso billboard in Piazza Castello a Torino, quale palla sceglieresti?

Beh, forse qualcosa di local (ci definiscono falsi cortesi): “Mi fa piacere, figurati!”

Quando a una cena ti chiedono cosa fai di lavoro, cosa rispondi (in una parola)?

Due: “faccio Palle” (o “sono l’uomo delle palle”)

Cosa ti spinge di più a lavorare? Fare soldi (making money), o fare qualcosa che dia un senso alla tua vita e abbia un impatto sul mondo (making meaning)?

Mi sembra assolutamente evidente la seconda che hai detto (la prima peraltro mai pervenuta). Idealmente, però, sarebbe apprezzabile una sorta di equilibrio: un riscontro economico ragionevole con un progetto bello e significativo.