Rebel with a brand.

TvBoy
Ho conosciuto Salvatore (che ai tempi si firmava “Crasto”) il 29 settembre 2003 in occasione della nona edizione dell’Illegal Art Show. Da allora insieme abbiamo condiviso molti progetti e momenti di vita. Abbiamo festeggiato il nostro compleanno (siamo nati lo stesso giorno…) in giro per il mondo, abbiamo realizzato murales, curato campagne di comunicazione e pubblicato cataloghi. Negli ultimi sedici anni, Salvatore, è cresciuto e maturato molto, sia come artista sia come professionista. Oggi espone in tutto il mondo, collabora con brand e aziende, provoca e fa parlare di sé. Con i suoi interventi di street art e on line è seguito da centinaia di migliaia di persone. La sua arte è una sperimentazione continua di linguaggi comunicativi: Mixa street art, neo pop, satira, illustrazione e advertising. E grazie a questo “miscuglio creativo” è riuscito a creare uno stile unico e un brand internazionale: Tv Boy.

 

 

Intervista

“Spegni la televisione e sii protagonista della tua vita”. Con questo messaggio molti anni fa hai dato vita al tuo alter-ego creativo, “Tv Boy”. Tu sei un artista, ma sei anche un imprenditore. Cosa vuol dire per te essere protagonista della propria vita?

“Spegni la televisione e sii protagonista della tua vita” è una frase nata un po’ per passione e un po’ per gioco che si è poi trasformata in qualcosa di più serio. Si è trasformata nella mia attività professionale. Io penso che oggi le barriere tra i generi e le categorie non siano più così marcate. Oggi tutti i grandi artisti sono anche degli imprenditori. Basta pensare a Murakami o a Koons. Oppure, se andiamo indietro nella storia, pensiamo a Andy Warhol o a Keith Haring che ha dato vita al suo shop. È importante essere entrambi. È importante avere molte sfaccettature.

Io mi sono formato al Politecnico di Design a Milano e questo ha influenzato molto la mia visione del lavoro perché ho imparato fin da subito che la professione del designer, così come quella dell’artista, non è soltanto pensare l’oggetto o l’opera. Un designer deve essere in grado di vedere come poi questo oggetto verrà realizzato. E per farlo bisogna avere un’infarinatura di tutto. Devi conoscere il marketing, l’economia e la matematica.

 

Il fondatore della CNN, Ted Turner, diceva che il segreto del successo è andare a letto presto, alzare presto la serranda, lavorare duro e, soprattutto, fare propaganda. Tu sei molto bravo nel fare propaganda. Fin dai tempi dei tuoi primi murales hai sempre cercato di dare la massima visibilità ai tuoi lavori. Oggi su Instagram hai una community di più di 100.000 persone che ti seguono da tutto il mondo e ogni volta che fai un nuovo intervento di street art, esci su televisioni, magazine e quotidiani. Quanto conta oggi avere una community e quali consigli daresti a chi sta lanciando la propria attività per auto promuoversi e costruirsi una community?

Mi identifico molto in questa frase di Ted Turner. Tendiamo a vedere solo la punta dell’iceberg, vediamo solo il successo senza sapere quello che ci sta dietro. E spesso quello che ci sta dietro è moltissimo lavoro. Io ho impiegato 15 anni per trasformare la mia passione in una professione. Non esiste nulla che sia subito. Anzi avere successo troppo giovani o troppo in fretta è rischioso, perché poi può essere che non riesci a gestirlo e svanisce tutto. Al di la della fortuna di fare un’opera che coinvolga il pubblico bisogna poi mantenere questa attività, bisogna avere un progetto.

Il tema della visibilità invece mi ha sempre interessato. Però non basta mettere il proprio messaggio in strada perché sia visibile. Bisogna toccare dei temi interessanti, sensibili e che stimolino il dialogo.

Sulla community invece c’è una frase di Janis Joplin che, se ben ricordo, diceva che se fai qualcosa e fai di tutto per farla al meglio, il successo arriva sempre. Per me è stato essenziale smettere di guardare quello che facevano gli altri artisti e concentrarmi su di me, sul mio stile e il mio obiettivo. Poi i follower sono arrivati. Instagram è una piattaforma molto interessante per me, perché mi permette di dare continuità alle mie opere. Un’opera, come può essere il bacio Salvini-DiMaio, in strada ha una vita molto breve, spesso viene rimossa dopo pochi giorni, però sulla Rete può continuare di vita propria. Ad esempio, anche l’opera con il Babbo Natale immigrato è stata eliminata dalla polizia dopo pochi giorni, però su Instagram ha avuto una vita più lunga.

Dall’altro lato però, le reti Sociali possono avvicinarti a persone lontane ma anche allontanarti da persone vicine. Quindi è importante non farsi prendere troppo dall’idea di avere un seguito e di farsi seguire a tutti i costi o avere tanti like. Perché alla fine quello che conta veramente è il lavoro che fai non solo la community che hai.

Io penso che oggi le barriere tra i generi e le categorie non siano più così marcate. Oggi tutti i grandi artisti sono anche degli imprenditori.

Salvador Dalì (con cui hai molti punti in comune) un giorno disse che era riuscito a sfondare il muro dell’arte grazie a una disciplina di tipo militare. Quanto conta per te il metodo nel tuo lavoro? Come riesci a coniugare il tuo lato creativo a quello razionale?

Io sono sempre stato interessato alla figura di Dalì. È un artista che amo e odio allo stesso tempo. È un artista che si è schierato politicamente e la sua arte ne ha risentito, perché ha smesso di avere quella funzione di innovazione che aveva quando era un artista libero. Però è un artista che va studiato. Tempo fa ho letto la sua biografia. Mi ricordo che scrisse che, grazie alla vendita di un quadro, aveva comprato una casa di pescatori e ogni mattina si svegliava con il primo raggio di sole e lavorava ininterrottamente fino all’ora di cena. Aveva un’assistente che gli preparava gli sfondi. E non smetteva mai di produrre opere. Però devo essere onesto, io non ho una disciplina molto militare, mi piacerebbe averla, ma sono un po’ confusionario. Diciamo che senza l’aiuto dei miei colleghi Angelo e Carmelinda farei fatica a fare tutto quello che faccio. Ma concordo, è essenziale darsi una metodologia. Non esiste l’artista della domenica perché se un artista fa i quadri soltanto alla domenica non riuscirebbe a vivere di questa attività. È esattamente come ogni altro lavoro. Ti devi dare un orario, una metodologia, anche per sapere quando staccare. Perché il rischio per chi lavora in proprio è lavorare sempre e non staccare mai.

 

Ad eccezione della Tosca che, come è noto, visse d’arte, vivere della propria arte non è da tutti. Trasformare la propria passione (nel tuo caso l’arte) nella propria professione (nel tuo caso l’artista), non sempre è facile. Ma tu ci sei riuscito. Partendo dalla tua esperienza, se ripensi ai tuoi primi anni di attivitàà, che consigli daresti a chi vuole trasformare la propria passione in una professione?

È un processo molto lungo e quando non vedi i risultati è facile arrendersi. Nel lavoro ci sono sempre dei periodi di alti e bassi soprattutto in un settore come quello dell’arte che è molto legato alle tendenze e alle mode. Non è facile rimanere sempre sulla cresta dell’onda. Nella mia carriera ho alternato momenti bassi, come quelli della crisi del 2010/2011 in cui mi domandavo se avesse senso andare avanti, a momenti più intensi, come quelli tra il 2007/2008, quando ho esposto in molti Paesi, ho fatto una personale sold out a Copenaghen. Siamo anche stati a Beirut e all’Avana insieme per un progetto artistico. Quando il successo è alto, è facile montarsi la testa. Ma proprio in quei momenti è importante tenere i piedi ben piantati a terra, perché i risultati si vedono sempre sul lungo termine.

E poi è importante muoversi. Se viaggi, vedi diverse persone e diverse città, fai nuovi contatti e in qualche modo anche la tua attività cresce, perché se tu ti muovi il mondo si muove con te. Non basta fare una singola azione (tipo il bacio Salvini-DiMaio) e sperare di vivere di rendita tutta la vita. Bisogna continuare a creare nuove idee e nuovi contenuti. Quando vedi che ti stai ripetendo troppo spesso è tempo di fermarsi e pensare a qualcosa di nuovo. Perché un artista per essere tale deve essere in grado di stupire. Tutti gli artisti che ammiro, da Banksy a Cattelan, sono capaci di sorprendere sempre con ogni nuovo lavoro e non scadere mai nel già detto.

Se viaggi, vedi diverse persone e diverse città, fai nuovi contatti e in qualche modo anche la tua attività cresce, perché se tu ti muovi, il mondo si muove con te.

 

Qualche domanda veloce

Se non facessi l’artista, quale altro lavoro faresti?

Il musicista o il regista.

Se trovassi una macchina del tempo (funzionante…) e potessi fare soltanto un viaggio, dove andresti a vivere? Nel passato o nel futuro?

In Francia nel periodo dell’Impressionismo perché in quei quadri c’è l’atmosfera magica che mi piacerebbe vivere.

Cosa ti spinge di più a lavorare? Fare soldi (making money), o fare qualcosa che dia un senso alla tua vita e abbia un impatto sul mondo (making meaning)?

Mi interessa fare qualcosa che rimanga nel futuro anche quando io non ci sarò più. Qualcosa che rimanga a mia figlia. Qualcosa che possa in qualche modo cambiare il mondo o essere ricordata.

Diversi anni fa, all’interno di un catalogo ho parlato di te come di un “illustrarocker”. Se potessi curare l’immagine di un cantante o di un gruppo rock (passato o presente), chi sceglieresti?

Mi piace molto la musica e la relazione tra musica e arte. Non c’è un cantante solo. Mi piacerebbe curare l’immagine di diversi gruppi.

Se potessi disegnare una sola immagine su un grosso billboard in Piazza Duomo a Milano così che migliaia di persone la vedano ogni giorno, quale immagine disegneresti?

Qualcosa che colpisca e che sciocchi. Un’immagine che provochi una reazione nel pubblico.

Sul tuo profilo Instagram, ti descrivi come “Rebel with a cause” e, conoscendoti, mi sembra una giusta definizione. Qual è (in una parola) la tua causa?

Sicuramente avvicinare un pubblico nuovo al mondo dell’arte, ma ben più importante, scuotere le coscienze, mettere in questione i preconcetti e fare in modo che la gente si faccia delle domande.