Ieri ho avuto il piacere di condividere con Montserrat Fernandez Blanco alcune riflessioni sul concetto anglosassone di FAST FAIL (“Fallire Veloce”). Per quanto sia un mantra molto in linea con i tempi dinamici che stiamo vivendo penso che sia difficilmente applicabile a un contesto come il nostro. Almeno per due variabili:
- Il contesto: il nostro è un contesto più lento, macchinoso e burocratico.
- La cultura: la nostra è una cultura dove il fallimento è ancora visto e percepito come uno peso.
E quindi, piuttosto che prenderlo così com’è penso sia utile per stimolare alcune riflessioni sul tema del fallimento. Me ne sono appuntati cinque:
01. Fast Fail (but Learn Slow).
È giusto imparare a fallire più spesso, ma dobbiamo darci il tempo per maturare e pensare agli sbagli commessi, altrimenti il mantra del “Fast Fail” si trasforma in una buona scusa per non affrontare e non ammettere il fallimento.
Un buon esempio qui ci viene da Richard Branson che nel 1971, passò una notte con l’accusa di contrabbando di dischi, che il giovane Branson importava dal Belgio con un furgoncino per poterli rivendere esenti da imposte. Per sua fortuna riesce però ad uscire su cauzione, 30.000 sterline pagate da sua madre, oltre a una penale pari a 45.000 sterline. Branson paga tutto fino all’ultimo penny e trova il modo di trasformare questo errore in un vantaggio. Trovandosi con le spalle al muro, s’impone l’obiettivo di guadagnare, legalmente, molto di più di quello che la Virgin avesse fatto fino ad allora. Apre nuovi negozi e sviluppa nuove idee per ampliare la sua attività, traendo da quell’errore molti degli insegnamenti che sono stati alla base del suo futuro successo.
02. Ridurre il rischio con l’MVP.
Un tema chiave delle Startup oggi è l’MVP, il “Minimum Viable Product”, che in italiano potrebbe essere tradotto come il prodotto minimo funzionante, ovvero un prodotto con le caratteristiche indispensabili per essere introdotto nel mercato e fare un test della propria idea. Questa strategia permette di testare il mercato riducendo il tasso di rischio e quindi permette di fallire, senza fallire troppo.
Un “cattivo” esempio qui ci viene da Dean Kamen che mentre stava sviluppando il Segway non chiese mai feedback o pareri a nessuno, passò tutto il tempo chiuso nel suo laboratorio spaventato dalla possibilità che qualcuno gli rubasse l’idea. Pensava che il suo prodotto avrebbe cambiato per sempre il modo in cui le persone si muovono. Ma non è andata così e dopo vent’anni, ben poche persone girano per le strade con il suo veicolo elettrico a due ruote. Se invece avesse fatto dei piccoli test di mercato intermedi probabilmente avrebbe rischiato e fallito molto meno.
03. Il ruolo del caso.
Come sottolinea il filosofo Taleb, nessuno accetta il caso come causa del proprio successo, ma solo del proprio fallimento. Ed è vero, uno degli errori più grandi che possiamo fare come investitori o come imprenditori è confondere la fortuna con il talento. Dare troppo peso al risultato e troppo poco al processo che ha portato a quel risultato. Soprattutto di fronte a un successo. Ci sono però due variabili che possono accrescere la nostra possibilità di influenzare il destino e aumentare le nostre possibilità di avere successo e di fallire meno.
- Variabile 01. Quantità: più facciamo più abbiamo possibilità di avere fortuna.
- Variabile 02. Contesto: migliore il contesto e maggiori sono le possibilità di avere fortuna.
Un esempio di successo dovuto in gran parte al caso ci viene da Scott Hassan. Nel 1995 Hassan lavorava come ricercatore nel dipartimento di informatica di Standford dove ebbe l’occasione di conoscere Larry Page e Sergey Brin che, proprio in quel periodo stavano lavorando a un progetto di ricerca chiamato BackRub che poi diventerà Google. A quei tempi il codice alla base del motore di ricerca aveva molti bug e Hassan passò tre mesi a riscrivere gran parte del codice per il motore di ricerca originale di Google. Qualche anno più tardi, quando Page e Brin fondarono Google, proposero ad Hassan di comprare alcune azioni della società. Hassan accettò e comprò 160.000 azioni di Google per 800 dollari. Dopo più di vent’anni, quelle azioni valgono circa 13 miliardi di dollari.
04. Il lato oscuro della perseveranza.
Quando si parla di perseveranza e fallimento vengono subito alla mente due citazioni per certi aspetti opposte ma complementari. La prima è di Winston Churchill che come è noto sosteneva che: «Il successo si misura nella capacità di passare da un fallimento all’altro senza perdere l’entusiasmo.» La seconda invece è di Peter Drucker: «Non c’è nulla di così inutile come fare con grande efficienza qualcosa che non dovrebbe essere fatto.»
Da una parte la perseveranza è uno dei tratti distintivi di qualsiasi imprenditore o manager di successo (da Richard Branson a Ray Kroc) dall’altra però rischia di trasformarsi in un pretesto per non ammettere i nostri errori e continuare a fare qualcosa che non andrebbe fatto.
Qui gli esempi sono molti. Pensiamo a Bruno Iksil, trader di JP Morgan Chase, soprannominato la balena londinese per via delle dimensioni delle sue scommesse azzardate, che negli anni ha raddoppiato una scommessa sbagliata sui derivati pur di non ammettere i suoi errori, creando un buco da 6.2 miliardi di dollari.
Oppure pensiamo a Billy McFarland, imprenditore rampante di inizio secolo che nel 2017 organizza FYRE un “luxury music festival” in un’isola, un tempo proprietà di Pablo Escobar, con l’idea di dare ai propri clienti la possibilità di vivere un’esperienza unica fatta di musica, party e natura incontaminata. Il problema è che né lui né il suo socio, il rapper Ja Rule, hanno idea di come si organizzi un festival. Tuttavia, il progetto diventa virale, centinaia di Influencer lo supportano e migliaia di persone si iscrivono. Risultato: il Festival non avrà mai luogo, migliaia di persone e centinaia di lavoratori vengono truffati e Billy McFarland viene condannato a sei anni di prigione con l’accusa di aver messo in piedi una truffa da 27 milioni di dollari.
05. Chiudere non vuol dire fallire:
Ogni volta che chiudiamo qualcosa, liberiamo spazio per qualcos’altro. Se abbiamo già speso troppo tempo su qualcosa che non aveva valore, meglio chiuderlo, non perderci altro tempo. Dobbiamo passare dalla mentalità per cui chiudere=fallire a quella per cui chiudere=scegliere. Scegliere cosa fare e scegliere cosa non fare. Chiudere non è mai la fine ma è sempre l’inizio di qualcosa.
Qui la storia più celebre è forse quella della New Coke del 1984, uno dei più grandi errori della storia del Marketing, che però ha messo in luce anche la capacità della Coca-Cola di reagire con velocità ad un errore per evitare di trasformarlo in una catastrofe.