A proposito di “mvp” qui sotto trovi 12 appunti o articoli su questo tema o su tematiche simili.
 

Serie televisive e MVP.

Ci sono sempre più serie e sono sempre più belle. Le serie funzionano perché sono lo specchio dei nostri tempi. Tempi dove vogliamo sempre di più, ma abbiamo sempre meno tempo. E allora prendiamo tutto a rate (anche i film). E funzionano anche perché rispettano il principio strategico dell’MVP, il “Minimum Viable Product”, che in italiano potrebbe essere tradotto come il prodotto minimo funzionante, ovvero un prodotto con le caratteristiche indispensabili per essere introdotto nel mercato e fare un test della propria idea.

È un concetto utile e interessante. Al posto di prevedere come andrà un prodotto o servizio, realizzane una versione base, testalo sul mercato, raccogli informazioni e aggiusta il prodotto.

Le serie televisive funzionano così. Si lancia una stagione, si vede come va, e si aggiusta il tiro. Lo fanno oggi grazie alle enormi quantità di dati che si possono raccogliere grazie allo streaming. Ma si faceva così anche un tempo. Pensiamo a Happy Days. Nella prima stagione Fonzie era un personaggio minore, poi però i produttori si accorsero che al pubblico Fonzie piaceva molto e aggiustarono il tiro, trasformando Fonzie nel protagonista, insieme a Richie della serie.




 

Nick Cave e l’importanza dell’immaginazione.

“I’ve spent my life butting my head against other people’s lack of imagination”
– Nick Cave

Considero Nick Cave uno degli artisti e musicisti più eclettici e poliedrici del nostro tempo. In più di quarant’anni di carriera è stato in grado di coprire quasi tutti i generi musicali. Dal post-punk al new wave, passando per il gothic rock, il blues e il country. Il suo ultimo album, Ghosteen, del 2019 è un capolavoro che, se non lo hai ancora ascoltato ti consiglio di farlo.

Nick Cave non è un imprenditore, o almeno non nel senso più professionale del termine, però ha una cosa che lo accomuna ai più grandi imprenditori: l’immaginazione. La capacità di avere una visione e vederne la sua realizzazione.

In un’intervista, Cave, confessò di aver passato la propria vita a sbattere la testa contro la mancanza di immaginazione degli altri. E posso credergli. Tanto gli artisti quanto gli imprenditori sono condannati a vivere così. Hanno idee geniali, e passano la loro vita a convincere altre persone della loro genialità.

Possono essere produttori o finanziatori. Quello non cambia. Ma, soprattutto all’inizio, è molto difficile non sbattere la testa contro la mancanza di immaginazione di chi abbiamo di fronte. Per un semplice motivo. La nostra testa è diversa dalla loro testa. E quindi quello che per noi può essere chiaro, magari per qualcun altro non lo è.

Il modo migliore per convincere qualcuno della validità della nostra idea, non è parlargliene, e neanche provare a spiegarla, ma mostrarla. Far toccare con mano, attraverso un mock up, un prototipo o un mvp, il frutto della nostra immaginazione.




 

Fake it till you make it.

C’è un termine piuttosto ricorrente nella letteratura da startup: «Fake it till you make it». Un termine che, non a caso, ho ritrovato anche nella serie Startup, dove prende diverse forme, da «Fake that shit till you make that shit» al più diretto ed elegante «Fake it till you make it».

Indipendentemente dalla forma, il concetto di fingere fino a quando qualcosa non si avvera ha radici profonde. Nel XVII secolo Blaise Pascal scriveva: «Se non credi, inginocchiati come se credessi e il credere verrà da sé». Questo può riguardare la religione così come può riguardare anche la nostra vita professionale. Se ancora non siamo il lavoro che vogliamo fare, cominciamo a vivere come se già lo fossimo, e molto probabilmente lo diventeremo.

Se vuoi essere uno scrittore, comincia a vivere come uno scrittore. Vestiti come uno scrittore, parla come uno scrittore e scrivi come uno scrittore. Non sto dicendo di fingere, sto dicendo di attualizzare quello che sarai. Sto dicendo di essere così sicuro che ce la farai, che inizi fin da subito a vivere come se ce l’avessi già fatta.

«Se non credi, inginocchiati come se credessi e il credere verrà da sé». Se ancora non siamo il lavoro che vogliamo fare, cominciamo a vivere come se già lo fossimo, e molto probabilmente lo diventeremo.

In ambito imprenditoriale c’è una teoria, chiamata MVP “Minimum Viable Product”, che in italiano potrebbe essere tradotto come il prodotto minimo funzionante e che prevede di lanciare un prodotto con le caratteristiche indispensabili per essere introdotto nel mercato e fare un test della propria idea.

L’MVP non è una finzione, diciamo che è una mezza finzione, una sorta di dichiarazione di intenti. Diciamo di avere un prodotto che in realtà non è ancora pronto al 100%. Però è qualcosa che ci permette di capire se la nostra idea può funzionare. Se vale l’investimento di risorse per fare il passaggio da Fake it a Make it.




 

Cinque appunti sul fallimento.

Ieri ho avuto il piacere di condividere con Montserrat Fernandez Blanco alcune riflessioni sul concetto anglosassone di FAST FAIL (“Fallire Veloce”). Per quanto sia un mantra molto in linea con i tempi dinamici che stiamo vivendo penso che sia difficilmente applicabile a un contesto come il nostro. Almeno per due variabili:

  1. Il contesto: il nostro è un contesto più lento, macchinoso e burocratico.
  2. La cultura: la nostra è una cultura dove il fallimento è ancora visto e percepito come uno peso.

E quindi, piuttosto che prenderlo così com’è penso sia utile per stimolare alcune riflessioni sul tema del fallimento. Me ne sono appuntati cinque:

 

01. Fast Fail (but Learn Slow).
È giusto imparare a fallire più spesso, ma dobbiamo darci il tempo per maturare e pensare agli sbagli commessi, altrimenti il mantra del “Fast Fail” si trasforma in una buona scusa per non affrontare e non ammettere il fallimento.

Un buon esempio qui ci viene da Richard Branson che nel 1971, passò una notte con l’accusa di contrabbando di dischi, che il giovane Branson importava dal Belgio con un furgoncino per poterli rivendere esenti da imposte. Per sua fortuna riesce però ad uscire su cauzione, 30.000 sterline pagate da sua madre, oltre a una penale pari a 45.000 sterline. Branson paga tutto fino all’ultimo penny e trova il modo di trasformare questo errore in un vantaggio. Trovandosi con le spalle al muro, s’impone l’obiettivo di guadagnare, legalmente, molto di più di quello che la Virgin avesse fatto fino ad allora. Apre nuovi negozi e sviluppa nuove idee per ampliare la sua attività, traendo da quell’errore molti degli insegnamenti che sono stati alla base del suo futuro successo.

 

02. Ridurre il rischio con l’MVP.
Un tema chiave delle Startup oggi è l’MVP, il “Minimum Viable Product”, che in italiano potrebbe essere tradotto come il prodotto minimo funzionante, ovvero un prodotto con le caratteristiche indispensabili per essere introdotto nel mercato e fare un test della propria idea. Questa strategia permette di testare il mercato riducendo il tasso di rischio e quindi permette di fallire, senza fallire troppo.

Un “cattivo” esempio qui ci viene da Dean Kamen che mentre stava sviluppando il Segway non chiese mai feedback o pareri a nessuno, passò tutto il tempo chiuso nel suo laboratorio spaventato dalla possibilità che qualcuno gli rubasse l’idea. Pensava che il suo prodotto avrebbe cambiato per sempre il modo in cui le persone si muovono. Ma non è andata così e dopo vent’anni, ben poche persone girano per le strade con il suo veicolo elettrico a due ruote. Se invece avesse fatto dei piccoli test di mercato intermedi probabilmente avrebbe rischiato e fallito molto meno.

 

03. Il ruolo del caso.
Come sottolinea il filosofo Taleb, nessuno accetta il caso come causa del proprio successo, ma solo del proprio fallimento. Ed è vero, uno degli errori più grandi che possiamo fare come investitori o come imprenditori è confondere la fortuna con il talento. Dare troppo peso al risultato e troppo poco al processo che ha portato a quel risultato. Soprattutto di fronte a un successo. Ci sono però due variabili che possono accrescere la nostra possibilità di influenzare il destino e aumentare le nostre possibilità di avere successo e di fallire meno.

  • Variabile 01. Quantità: più facciamo più abbiamo possibilità di avere fortuna.
  • Variabile 02. Contesto: migliore il contesto e maggiori sono le possibilità di avere fortuna.

Un esempio di successo dovuto in gran parte al caso ci viene da Scott Hassan. Nel 1995 Hassan lavorava come ricercatore nel dipartimento di informatica di Standford dove ebbe l’occasione di conoscere Larry Page e Sergey Brin che, proprio in quel periodo stavano lavorando a un progetto di ricerca chiamato BackRub che poi diventerà Google. A quei tempi il codice alla base del motore di ricerca aveva molti bug e Hassan passò tre mesi a riscrivere gran parte del codice per il motore di ricerca originale di Google. Qualche anno più tardi, quando Page e Brin fondarono Google, proposero ad Hassan di comprare alcune azioni della società. Hassan accettò e comprò 160.000 azioni di Google per 800 dollari. Dopo più di vent’anni, quelle azioni valgono circa 13 miliardi di dollari.

 

04. Il lato oscuro della perseveranza.
Quando si parla di perseveranza e fallimento vengono subito alla mente due citazioni per certi aspetti opposte ma complementari. La prima è di Winston Churchill che come è noto sosteneva che: «Il successo si misura nella capacità di passare da un fallimento all’altro senza perdere l’entusiasmo.» La seconda invece è di Peter Drucker: «Non c’è nulla di così inutile come fare con grande efficienza qualcosa che non dovrebbe essere fatto.»

Da una parte la perseveranza è uno dei tratti distintivi di qualsiasi imprenditore o manager di successo (da Richard Branson a Ray Kroc) dall’altra però rischia di trasformarsi in un pretesto per non ammettere i nostri errori e continuare a fare qualcosa che non andrebbe fatto.

Qui gli esempi sono molti. Pensiamo a Bruno Iksil, trader di JP Morgan Chase, soprannominato la balena londinese per via delle dimensioni delle sue scommesse azzardate, che negli anni ha raddoppiato una scommessa sbagliata sui derivati pur di non ammettere i suoi errori, creando un buco da 6.2 miliardi di dollari.

Oppure pensiamo a Billy McFarland, imprenditore rampante di inizio secolo che nel 2017 organizza FYRE un “luxury music festival” in un’isola, un tempo proprietà di Pablo Escobar, con l’idea di dare ai propri clienti la possibilità di vivere un’esperienza unica fatta di musica, party e natura incontaminata. Il problema è che né lui né il suo socio, il rapper Ja Rule, hanno idea di come si organizzi un festival. Tuttavia, il progetto diventa virale, centinaia di Influencer lo supportano e migliaia di persone si iscrivono. Risultato: il Festival non avrà mai luogo, migliaia di persone e centinaia di lavoratori vengono truffati e Billy McFarland viene condannato a sei anni di prigione con l’accusa di aver messo in piedi una truffa da 27 milioni di dollari.

 

05. Chiudere non vuol dire fallire:
Ogni volta che chiudiamo qualcosa, liberiamo spazio per qualcos’altro. Se abbiamo già speso troppo tempo su qualcosa che non aveva valore, meglio chiuderlo, non perderci altro tempo. Dobbiamo passare dalla mentalità per cui chiudere=fallire a quella per cui chiudere=scegliere. Scegliere cosa fare e scegliere cosa non fare. Chiudere non è mai la fine ma è sempre l’inizio di qualcosa.

Qui la storia più celebre è forse quella della New Coke del 1984, uno dei più grandi errori della storia del Marketing, che però ha messo in luce anche la capacità della Coca-Cola di reagire con velocità ad un errore per evitare di trasformarlo in una catastrofe.




 

App in tempi record.

Questa web-app si chiama “viaggIA” e l’abbiamo creata durante il quinto modulo del corso “Prompt, chi parla?” dedicato a come creare web-app basate su Intelligenza Artificiale Generativa senza scrivere una riga di codice.

Tempo di sviluppo da zero alla web-app funzionante e condivisibile online: 1 minuto e 52 secondi (aggiungi un altro minuto per generare la gif animata del furgoncino… sempre partendo da zero).

Come vedrai è una web-app molto grezza ed essenziale ma funziona e permette di fare un primo test di mercato per capire cosa aggiustare e, soprattutto, se ha senso investirci.

Un tempo era impensabile fare qualcosa del genere in 1 minuto e 52 secondi. Serviva tempo, competenze e risorse.

Oggi invece, grazie a tecnologie come GPT possiamo avere un’idea e trasformarla velocemente in un MVP per raccogliere feedback. Abbassando così il rischio d’investimento (io sono della filosofia: prima si fa un test di mercato e meno si rischia…).

Tra le altre web app che costruiamo nel corso (sempre in tempi record):

Una che permette di generare testi per i prodotti di un’eCommerce inserendo solo due variabili (nome e informazioni base di un prodotto).

Una grazie alla quale ogni volta che troviamo un post online che ci interessa, clicchiamo un bottone nel nostro browser e riceviamo una mail con: link dell’articolo, riassunto, un articolo originale sullo stesso argomento, cinque idee per scrivere un articolo.

O ancora una web-app per gli appunti: Ogni volta che scriviamo due righe di appunto su Evernote o simili, riceviamo una mail con un articolo generato partendo dall’appunto e composto da titolo, testo, riassunto e keyword, con tanto di un’immagine generata da DALL-E da accompagnare all’articolo e un post pubblicato in bozza sul nostro blog WordPress.




 

Grandi Piccoli Grandi.

Oggi stiamo assistendo a un paradosso manageriale: le aziende piccole, le startup o ancor prima, gruppi di aspiranti imprenditori, cercano di apparire più grandi. Pensano ad essere holding ancor prima di aver lanciato un MVP. Dall’altra parte aziende grandi, multinazionali con migliaia di dipendenti sognano di diventare più piccole per essere più agili e flessibili. Perché una volta che sei grande è molto difficile restringersi senza licenziare persone, demoralizzarsi e cambiare il modo in cui fai il tuo lavoro.




 

Sperimentare è meglio che prevedere.

Per quasi un secolo, tre dei principali fattori critici di successo della Coca-Cola sono stati il gusto, il prezzo e la distribuzione. Fino a quando la Coca-Cola era buona, costava poco e si trovava ovunque il valore atteso dal consumatore era soddisfatto.

Poi, agli inizi del 1980, è nato nel consumatore un nuovo bisogno, o meglio, una nuova attenzione: quella all’apporto calorico. Così nel 1982 nasce la Diet Coke, una Coca-Cola che alla bottom line della sua proposizione aggiunge un basso contenuto calorico. E per vent’anni non ci sono state molte altre sperimentazioni. Ad eccezione dell’incredibile e brevissima parentesi della New Coke.

Oggi però, capire il mercato è più difficile di un tempo e prevederlo è ancora più difficile. Così la Coca Cola ha iniziato a sperimentare. A fare test di mercato lanciando nuovi prodotti. Ha cambiato il Chief Marketing Officer con il Chief Growth Officer e ha messo in atto strategia di crescita per sperimentazione.

In strategia, c’è un concetto molto interessante, e molto inflazionato. Quello di MVP, il “Minimum Viable Product”, che in italiano potrebbe essere tradotto come il prodotto minimo funzionante, ovvero un prodotto con le caratteristiche indispensabili per essere introdotto nel mercato e fare un test della propria idea. In altre parole, al posto di prevedere come andrà un prodotto o servizio, possiamo realizzarne una versione base, testarla sul mercato, raccogliere informazioni e aggiustare il nostro prodotto o servizio.

È una strategia che funziona in molti campi. Dai prodotti di massa, come Coca-Cola, alle serie televisive.




 

Max, Noodles e l’importanza di mostrare la propria idea.

“Un po’ meno di conversazione, un po’ più di azione”
– Elvis Presley

Uno dei miei film preferiti è “C’era una volta in America” di Sergio Leone. Nella prima parte del film, Max e Noodles stanno muovendo i primi passi nella malavita newyorkese dei primi anni del Novecento. Un giorno hanno un’idea geniale per recuperare le casse di alcol spedite clandestinamente via fiume: attaccare alle casse dei sacchi di sale pesanti a sufficienza per far affondare le casse, così che una volta sciolto il sale (e andata via la vedetta della portuale) le casse sarebbero riemerse.

Sicuri di sé, vanno dal boss della zona e provano a vendergli il loro servizio. All’inizio il boss non li prende sul serio. Sembra non capire la loro idea. Ma poi Max dice: “Il sale! prima va a fondo e poi sale, dai Noodles fagli vedere!”. Noodles tira fuori un prototipo dell’idea, lo mostra al Boss che capisce al volo e accetta la loro offerta.

La storia poi continua ma quello che mi interessa condividere con te questa settimana è che quando ti metti in proprio è importante essere in grado di vendere la tua idea e, spesso, il modo migliore per farlo non è parlarne ma mostrarla. Quindi non perdere tempo a spiegare la tua idea, ma investi tempo a costruire un prototipo o un MVP per mostrarla.

Se vuoi fare un pitch “a prova di gangster”, la scena che ti ho appena raccontato contiene molti degli elementi che ogni pitch (ovvero presentazione di un’idea davanti a degli investitori) dovrebbe avere. Tra questi i più importanti sono:

  1. Analisi di settore: “Vogliamo il lavoro di BUGSY, ve lo facciamo meglio.”
  2. Posizionamento e identificazione del servizio: “Noi a esportare bottiglie siamo i meglio specialisti.”
  3. Identificazione del bisogno e urgenza del bisogno: “Se vi trova la vedetta della portuale cosa fate? buttate tutte le casse in acqua e perdi tutta la merce.”
  4. Interesse e coinvolgimento: “Portiamo l’invenzione a qualcun altro.”
  5. Una richiesta chiara: “Il 10% e te la recuperiamo.”
  6. Identificazione del proprio vantaggio competitivo: “Teniamo il sale.”
  7. Dimostrazione del prodotto o servizio: “Hey Noodles fagli vedere.”




 

Guglielmo Marconi e l’importanza di realizzare la tua idea (anche quando ti dicono che è folle).

“Le buone idee sono sempre folli fino a quando non lo sono più.”
– Larry Page

Alla fine dell’Ottocento, l’inventore italiano Guglielmo Marconi ebbe un’idea rivoluzionaria: utilizzare le onde elettromagnetiche per trasmettere messaggi. Così scrisse al ministero delle Poste e Telegrafi, al tempo guidato dall’on. Pietro Lacava, illustrando l’invenzione del telegrafo senza fili e chiedendo finanziamenti per proseguire negli esperimenti. Il ministro, con la lungimiranza tipica dei politici italiani, ritenne l’idea folle e la liquidò con la scritta “Alla Longara!”, cioè al manicomio di via della Lungara a Roma.

Marconi fu quindi costretto a emigrare in Inghilterra dove trovò i fondi per continuare i suoi esperimenti e dare vita alla sua invenzione più importante grazie alla quale vinse il Nobel per la fisica nel 1909. Quando hai una nuova idea può succedere che le prime persone con cui ne parli la reputino infattibile, se non folle. Ma questo non ti deve scoraggiare. Come disse Larry Page, le buone idee sono sempre folli, fino a quando non lo sono più.

Ed è vero. Il modo migliore per dimostrare a tutti che la tua idea non è folle, è realizzarla. Realizzare un prototipo funzionate della tua idea e vedere come reagisce il tuo pubblico e, in base ai feedback che raccogli e a quella che è la tua strategia, aggiustare il tiro. Per farlo puoi lanciare un MVP, oppure se è un prodotto o servizio digitale fare un A/B Test. Grazie alla tecnologia di cui disponiamo oggi puoi dare forma alla tua idea senza necessariamente ricorrere a grandi investimenti (come quelli che servivano a Marconi).

Per esempio se stai lavorando al prototipo della tua idea, questi strumenti potrebbero esserti utili per fare un prototipo o un Mock Up da condividere con i tuoi clienti target:




 

Cestinare (senza svuotare il cestino).

“Bisogna baciare tante rane per trovare un principe”
– Proverbio

Qualche tempo fa ho ascoltato un’intervista a un musicista. Parlando del processo creativo con cui scriveva le sue canzoni, il musicista disse che era solito scrivere molto e cestinare molto. Ed è vero. La quantità è funzione della qualità. Come diceva un vecchio proverbio, bisogna baciare tante rane per trovare un principe. E, secondo lo stesso principio, bisogna provare tante strade prima di trovare quella giusta.

Funziona così da sempre. Oggi però abbiamo un vantaggio che un tempo non avevamo. Oggi abbiamo una tecnologia che ci permette di archiviare e testare tutto quello che produciamo. Uno scrittore può avere un blog dove raccoglie tutti i suoi pensieri. Un imprenditore può lanciare degli MVP per testare la sua idea. Un musicista può registrare autonomamente pezzi di canzoni. Oggi, a differenza di un tempo, possiamo cestinare, senza svuotare il cestino.




 

Tre lezioni da OpenAI.

Tre lezioni (molto classiche) su come lanciare una Startup che possiamo imparare da OpenAI, l’azienda dietro GPT3, DALL-E e ChatGPT.

1- Mostrare è meglio di spiegare.

Per spiegare che cos’è chatGPT servirebbero ore e probabilmente in pochi capirebbero il suo potenziale. Facendolo però usare senza grosse barriere all’ingresso in termini di costi o competenze, è possibile mettere chiunque nelle condizioni di capire immediatamente il suo potenziale.

➡️ Più il prodotto o servizio che vogliamo vendere è complicato, più vale la regola: Show Don’t Tell!

2- “Customer Development” è meglio di “Product Development”.

Molto probabilmente quest’anno chatGPT diventerà a pagamento. Ma a che prezzo? Per capirlo OpenAI sta sondando il mercato chiedendo a tutti quelli che l’hanno usato quale sarebbe per loro un prezzo accettabile per continuare a usarlo. Non sono partiti dal prodotto (che costi abbiamo), ma sono partati dal mercato (che prezzo le persone sono disposte a pagare).

➡️ Nel momento in cui stiamo pensando a un prodotto o servizio da lanciare non partiamo da un’idea da sviluppare (Product Development), partiamo da un bisogno di mercato da soddisfare (Customer Development).

3- “Viable” è meglio che perfetto.

OpenAI è un’azienda che si prepara a fatturare miliardi di dollari quest’anno, eppure ragiona ancora come una piccola startup appena lanciata. Per raccogliere feedback dal mercato utilizza dei semplicissimi Google Form, ovunque dichiara di essere ancora in Beta e non ha aspettato di avere la migliore versione di chatGPT possibile, ha messo insieme una versione “viable”, ovvero abbastanza funzionante così da testare il mercato il prima possibile.

➡️ Al posto di prevedere come andrà un prodotto o servizio, possiamo realizzarne una versione base, testarla sul mercato, raccogliere informazioni e aggiustare il nostro prodotto o servizio. Detto in altri termini: lanciare un MVP, un “Minimum Viable Product”, un prodotto con le caratteristiche indispensabili per essere introdotto nel mercato e fare un test della propria idea.

Sul tema “Show Don’t Tell”, mi viene in mente Boeing, qui trovi un approfondimento.

Sul tema “Customer Development”, mi viene in mente Ferrero, qui trovi un approfondimento.

Sul tema “Minimum Viable Product”, mi viene in mente Coca-Cola, qui trovi un approfondimento.




 

Come lanciare una Startup nel mercato dell’Intelligenza Artificiale Generativa.

Questo è BOB, e non esiste più da un pezzo… ma del resto nel mondo dell’IA funziona così.

Nel 2021 in Oblique avevamo lanciato un servizio di Chatbot basati su GPT-3 per le aziende. I nostri Chatbot erano così fluidi nel linguaggio che decidemmo di dare al servizio il nome di un essere umano, BOB, da cui “ChatBob: chatbot molto chatty e poco bot”.

Il servizio non è durato neanche un anno. In pochi mesi, una tecnologia che consideravamo all’avanguardia è diventata subito obsoleta.

Oggi infatti esistono centinaia di tool per crearsi il proprio chatbot, per altro allenato sul proprio Knowledge Base, autonomamente e senza scrivere una riga di codice.

Certo, i nostri chatbot erano totalmente personalizzabili ed esteticamente (forse) migliori, però è una questione di mesi e anche quelli realizzati con un tool di terze parti saranno altrettanto performanti.

Questo è il rischio principale di fare impresa nel settore dell’Intelligenza Artificiale Generativa. Tutto va così veloce che o andiamo alla stessa velocità o rischiamo di uscire dal mercato ancora prima di entrarci.

Un progetto che ha richiesto mesi di lavoro è diventato obsoleto in poco tempo.

Questo è il rischio principale di fare impresa nel settore dell’Intelligenza Artificiale Generativa. Tutto va così veloce che o andiamo alla stessa velocità o rischiamo di uscire dal mercato ancora prima di entrarci.

Tuttavia, il mercato dell’Intelligenza Artificiale Generativa è uno dei più interessanti oggi: ricco, cresce in fretta, monetizza, è entusiasmante e pieno di opportunità. E allora come fare?

  1. A meno di non avere enormi capitali, è meglio appoggiarsi a tecnologie già esistenti. Come del resto sta facendo il 33% dei 50 prodotti di Intelligenza Artificiale Generativa più utilizzati.
  2. Andare sul mercato il prima possibile con un MVP (un prodotto funzionante anche se non perfetto) così da testare il bisogno di mercato e la volontà ad utilizzare e a pagare per il servizio.
  3. Autofinanziarsi con il minor investimento possibile. Partire snelli e cercare di rimanere snelli il più a lungo possibile.
  4. Puntare sulla creatività non sulla tecnologia. Una buona idea, originale e utile, non scade. Una buona tecnologia invece potrebbe essere rimpiazzata nel giro di pochi mesi.
  5. Partire da una nicchia, magari territoriale. Offrire un servizio più specifico e personalizzato, puntando anche sul servizio di assistenza o su altre competenze più “umane” e meno automatizzabili.
  6. Fare ricerca. Usare ChatGPT. Studiare i nuovi tool che escono ogni giorno. Inutile lanciare qualcosa che ChatGPT sa già fare o potrà fare a breve.