Qui sotto trovi 152 appunti che parlano o contengono il termine che hai cercato (“ai”).
 
A proposito di intelligenza artificiale e tematiche simili, qui puoi leggere alcuni articoli che trattano più nello specifico il tema, mentre in Oblique.AI sviluppiamo progetti che unisco Intelligenza Artificiale e Creatività Umana.
 

23 cose che mi aspetto dall’Intelligenza Artificiale Generativa per il 2023. (Più 23 da Gpt-3).


Puoi leggere questo articolo anche su Technicismi.
Qui la mia newsletter Corrente.


1- Uscirà GPT4 e, se il passaggio da GPT3 a GPT4 sarà di pari portata rispetto a quello da GPT2 a GPT3, sarà una rivoluzione enorme.

2- Microsoft, che nel 2019 aveva investito 1 miliardo in OpenAi e possiede GitHub e VALL-E, sarà uno dei protagonisti del settore I.A.G. oltre al fatto che GPT sarà in Word, Bing, Outlook e simili.

3- Il “Prompt Designer”, ovvero un professionista in grado di scrivere prompt per generare testi e immagini, sarà un lavoro sempre più richiesto.

4- OpenAI supererà i 30 miliardi di valutazione e passerà da qualche decina di milioni di fatturato a qualche miliardo.

5- L’I.A.G. sarà sempre più facile da usare, ma anche più costosa e regolamentata.

6- Grazie a tecnologie come VALL-E l’I.A.G. sarà in grado di parlare come un umano.

7- Si inasprirà la sfida (Microsoft + OpenAI) vs (Google + DeepMind) per il dominio del mercato dell’I.A.G.

8- I processi di fine-tuning per allenare l’I.A.G. saranno più immediati.

9- Gli investimenti in Startup che utilizzano o sono basate su I.A.G. cresceranno ulteriormente.

10- L’I.A.G. sarà un elemento chiave di molti, se non tutti, i software.

11- Nasceranno due tipologie di creatività: una “Made By Human”, più di qualità e una “Made by Robot”, più di quantità.

12- Smetteremo di citare l’I.A.G., la useremo e basta.

13- Alcuni lavori creativi (fotografo, illustratore e copywriter…) dovranno re-inventare la propria professione per rimanere dentro il mercato.

14- L’I.A.G. “democratizzerà” molti servizi un tempo meno accessibili. Tutti potranno avere un coach, o uno psicologo o un trainer o un assistente personale disponibile 24/7, a patto che sia virtuale.

15- Il DeepFake sarà sempre più diffuso e ci metterà davanti alla necessità di domandarci sempre se quello che stiamo vedendo sia reale.

16- L’I.A.G. dovrà guadagnarsi credibilità e fiducia, migliorando la trasparenza dei suoi processi e la veridicità dei suoi output.

17- L’Etica avrà un peso sempre più rilevante nell’I.A.G.

18- Più I.A.G. ci sarà più energia pulita servirà per alimentarla e allenarla.

19- Più persone useranno l’I.A.G. più questa dovrà essere sicura per evitare attacchi informatici o manipolazioni delle informazioni.

20- Se il 2021 è stato l’anno della generazione dei testi, il 2022 quello delle immagini, il 2023 sarà quello della generazione dei video.

21- L’Augmented Working (lavoro di umani + I.A.G. insieme) continuerà a crescere, soprattutto per i lavori creativi.

22- Grazie all’I.A.G. potremo creare esperienze e servizi sempre più personalizzati sul singolo utente, soprattutto nel Gaming, nell’Editoria e nell’Entertainment.

23- In sintesi: L’I.A.G. rivoluzionerà le nostre vite personali e professionali. E questo è solo l’inizio.

 

In sintesi: L’I.A.G. rivoluzionerà le nostre vite personali e professionali. E questo è solo l’inizio.

 

Ed ora… 23 cose che GPT si aspetta dall’Intelligenza Artificiale Generativa per il 2023:

1. Gli assistenti AI diventeranno sempre più competenti nel generare la risposta giusta nelle conversazioni: Gli assistenti AI saranno in grado di generare conversazioni naturali e contestualmente pertinenti, con l’aiuto di strumenti di elaborazione del linguaggio naturale.

2. Le aziende utilizzeranno l’IA generativa per progettare più velocemente i prodotti: Gli algoritmi di IA generativa consentiranno alle aziende di progettare rapidamente nuovi prodotti partendo da specifiche e idee, riducendo drasticamente i tempi di sviluppo dei prodotti.

3. L’IA generativa consentirà un marketing più efficiente sui motori di ricerca: L’IA generativa sarà utilizzata per creare campagne di marketing sui motori di ricerca più efficienti, ottimizzando il targeting degli annunci pubblicitari ai potenziali clienti.

4. Elaborazione del linguaggio naturale per il servizio clienti: L’intelligenza artificiale generativa consentirà ai rappresentanti del servizio clienti di generare rapidamente risposte alle richieste dei clienti e alle domande più comuni, migliorando notevolmente l’assistenza ai clienti.

5. Traduzione da immagine a immagine: L’intelligenza artificiale generativa sarà utilizzata per applicare effetti visivi e trasformazioni alle immagini, creando immagini di alta qualità da semplici schizzi o foto.

6. L’IA generativa faciliterà la produzione musicale: Gli algoritmi di IA generativa consentiranno ai produttori musicali di creare rapidamente nuovi brani musicali con l’aiuto di reti neurali artificiali.

7. L’IA generativa guiderà l’innovazione nell’assistenza sanitaria: L’IA generativa sarà utilizzata per creare nuovi farmaci e trattamenti, migliorando notevolmente i risultati sanitari.

8. L’IA generativa perfezionerà l’elaborazione del linguaggio naturale: Gli algoritmi di IA generativa saranno utilizzati per aumentare le capacità di elaborazione del linguaggio naturale, rendendo possibile la generazione di risposte più accurate e sensibili al contesto.

9. L’IA generativa cambierà il modo in cui interagiamo con il mondo: L’IA generativa ci permetterà di interagire con l’ambiente circostante in modi nuovi, creando esperienze inedite nei giochi, nell’intrattenimento e nella vita quotidiana.

10. L’IA generativa creerà nuovi tipi di lavoro: Gli algoritmi di IA generativa creeranno nuovi tipi di lavoro, come sviluppatori di algoritmi, amministratori di sistemi di IA e assistenti di IA.

11. Arte generata dall’IA: Gli algoritmi di IA generativa saranno utilizzati per creare opere d’arte originali, superando i limiti di ciò che può essere prodotto solo con gli algoritmi.

12. Traduzione automatica: Gli algoritmi di IA generativa tradurranno rapidamente il testo da una lingua all’altra, rendendo la comunicazione più semplice ed efficiente.

13. Riconoscimento e prevenzione dei furti: L’intelligenza artificiale generativa sarà utilizzata per riconoscere e prevenire i tentativi di furto, rendendo più facile cogliere i criminali sul fatto.

14. Video generati dall’intelligenza artificiale: L’intelligenza artificiale generativa consentirà di creare rapidamente video generati dall’intelligenza artificiale, che potranno essere utilizzati per scopi di marketing e di intrattenimento.

15. Miglioramento dei sistemi di raccomandazione: Gli algoritmi di IA generativa saranno utilizzati per creare sistemi di raccomandazione migliori, fornendo agli utenti suggerimenti personalizzati su prodotti e servizi.

16. L’IA generativa creerà nuovi tipi di intrattenimento: Gli algoritmi di IA generativa saranno utilizzati per creare esperienze di intrattenimento uniche e coinvolgenti, come la realtà virtuale e i giochi di realtà aumentata.

17. Narrazione generata dall’IA: L’IA generativa ci permetterà di generare storie utilizzando l’IA, creando esperienze uniche e personalizzate in base alle preferenze dell’utente.

18. Musica potenziata dall’intelligenza artificiale: Gli algoritmi di IA generativa saranno utilizzati per creare musica potenziata dall’IA, rendendo più facile la creazione di composizioni complesse e stratificate con il minimo sforzo.

19. Progettazione automatizzata dei giochi: Gli algoritmi di intelligenza artificiale generativa consentiranno ai progettisti di giochi di creare rapidamente nuovi giochi utilizzando l’intelligenza artificiale, riducendo drasticamente il tempo e l’impegno necessari per sviluppare un gioco.

20. Diagnosi medica assistita dall’IA: L’intelligenza artificiale generativa sarà utilizzata per diagnosticare in modo rapido e accurato le condizioni mediche, rendendo più facile individuare le malattie nelle loro fasi iniziali.

21. L’IA generativa faciliterà la creazione automatizzata di documenti legali: Gli algoritmi di IA generativa saranno utilizzati per creare documenti legali, come contratti e accordi, facendo risparmiare tempo e denaro alle aziende.

22. Segmentazione automatica dei clienti: Gli algoritmi di IA generativa saranno utilizzati per segmentare accuratamente i clienti, consentendo alle aziende di adattare i loro prodotti e servizi a diversi gruppi di clienti.

23. Ottimizzazione automatizzata dei processi: Gli algoritmi di IA generativa saranno utilizzati per ottimizzare i processi delle aziende, come la gestione della catena di approvvigionamento e il controllo delle scorte, migliorando l’efficienza e riducendo i costi.




 

Quanto è saggia l’intelligenza artificiale (e quanto possiamo fidarci di lei)?

Questa immagine, generata con DALL-E, rappresenta un gufo-robot dentro una libreria piena di libri e anticipa un progetto che lanceremo questo venerdì.

Il progetto prova a rispondere a una domanda che ci siamo fatti spesso in Oblique: quanto è intelligente l’Intelligenza Artificiale? E quindi, quanto possiamo fidarci di lei?

Paradossalmente infatti uno dei rischi più grandi dell’Intelligenza Artificiale è che ad oggi non è ancora così tanto intelligente da non commettere errori, e quindi costruire sistemi basati unicamente sulle valutazioni di un algoritmo può portare a giganteschi errori di valutazione.

Meglio dunque unire a una massiccia dose di intelligenza artificiale una ancora più massiccia dose di intelligenza umana.

Uno dei rischi più grandi dell’Intelligenza Artificiale è che ad oggi non è ancora così tanto intelligente da non commettere errori, e quindi costruire sistemi basati unicamente sulle valutazioni di un algoritmo può portare a giganteschi errori di valutazione.

In questo ambito, un buon esempio ci arriva dal Mossad che molti considerano il servizio di Intelligence più efficace al mondo e che negli ultimi anni sta assumendo soprattutto due tipologie di professionisti: Hacker per raccogliere dati (Intelligenza Artificiale) e laureati in Filosofia per comprenderli (Intelligenza Umana).

Detto questo, gli esperimenti che abbiamo fatto per lanciare il nostro prossimo progetto mettono in luce una cosa che ci ha colpito molto: forse l’Intelligenza Artificiale non è ancora così intelligente come pensiamo, ma sicuramente è molto (molto) saggia…




 

Come lanciare una Startup nel mercato dell’Intelligenza Artificiale Generativa.

Questo è BOB, e non esiste più da un pezzo… ma del resto nel mondo dell’IA funziona così.

Nel 2021 in Oblique avevamo lanciato un servizio di Chatbot basati su GPT-3 per le aziende. I nostri Chatbot erano così fluidi nel linguaggio che decidemmo di dare al servizio il nome di un essere umano, BOB, da cui “ChatBob: chatbot molto chatty e poco bot”.

Il servizio non è durato neanche un anno. In pochi mesi, una tecnologia che consideravamo all’avanguardia è diventata subito obsoleta.

Oggi infatti esistono centinaia di tool per crearsi il proprio chatbot, per altro allenato sul proprio Knowledge Base, autonomamente e senza scrivere una riga di codice.

Certo, i nostri chatbot erano totalmente personalizzabili ed esteticamente (forse) migliori, però è una questione di mesi e anche quelli realizzati con un tool di terze parti saranno altrettanto performanti.

Questo è il rischio principale di fare impresa nel settore dell’Intelligenza Artificiale Generativa. Tutto va così veloce che o andiamo alla stessa velocità o rischiamo di uscire dal mercato ancora prima di entrarci.

Un progetto che ha richiesto mesi di lavoro è diventato obsoleto in poco tempo.

Questo è il rischio principale di fare impresa nel settore dell’Intelligenza Artificiale Generativa. Tutto va così veloce che o andiamo alla stessa velocità o rischiamo di uscire dal mercato ancora prima di entrarci.

Tuttavia, il mercato dell’Intelligenza Artificiale Generativa è uno dei più interessanti oggi: ricco, cresce in fretta, monetizza, è entusiasmante e pieno di opportunità. E allora come fare?

  1. A meno di non avere enormi capitali, è meglio appoggiarsi a tecnologie già esistenti. Come del resto sta facendo il 33% dei 50 prodotti di Intelligenza Artificiale Generativa più utilizzati.
  2. Andare sul mercato il prima possibile con un MVP (un prodotto funzionante anche se non perfetto) così da testare il bisogno di mercato e la volontà ad utilizzare e a pagare per il servizio.
  3. Autofinanziarsi con il minor investimento possibile. Partire snelli e cercare di rimanere snelli il più a lungo possibile.
  4. Puntare sulla creatività non sulla tecnologia. Una buona idea, originale e utile, non scade. Una buona tecnologia invece potrebbe essere rimpiazzata nel giro di pochi mesi.
  5. Partire da una nicchia, magari territoriale. Offrire un servizio più specifico e personalizzato, puntando anche sul servizio di assistenza o su altre competenze più “umane” e meno automatizzabili.
  6. Fare ricerca. Usare ChatGPT. Studiare i nuovi tool che escono ogni giorno. Inutile lanciare qualcosa che ChatGPT sa già fare o potrà fare a breve.




 

L’inizio dell’Intelligenza Artificiale Generativa è la fine della creatività umana mediocre.

Una delle domande che mi viene fatta più spesso è se l’avvento dell’AI Generativa (intesa come una tecnologia in grado di generare testi e immagini) rappresenti la fine dei lavori creativi.

Nel momento in cui un’AI riesce a scrivere un articolo su qualsiasi argomento come un umano medio (si veda grafico) o generare un’immagine su qualsiasi soggetto in pochi secondi, quale può essere il futuro per un giornalista o un illustratore?

Chi si sta facendo questa domanda in questo sito può trovare una risposta “scientifica”.

La mia risposta, meno scientifica, è invece che l’inizio dell’Intelligenza Artificiale rappresenti la fine dei lavori creativi mediocri.

L’AI Generativa è una minaccia per chi scrive articoli scopiazzando testi di altre persone o per chi realizza illustrazioni uguali a quelle di migliaia di altri illustratori. È una minaccia per il copia/incolla o per il Blanding o per l’omologazione della creatività.

Ma non è una minaccia per i creativi.

Chiunque abbia deciso di puntare sulla qualità delle proprie idee non deve vedere l’AI Generativa come una minaccia ma solo come un’opportunità per valorizzare ancora di più la propria creatività.

Questo vale per la creatività così come per qualsiasi altro settore. Di fronte all’avvento dell’Intelligenza Artificiale dobbiamo tirare fuori il nostro lato più umano. Ogni volta che stiamo scrivendo un testo o facendo una presentazione per un cliente, dovremmo chiederci: quello che sto facendo o proponendo potrebbe farlo anche un’Intelligenza Artificiale?

E se la risposta è si, allora meglio puntare a fare qualcos’altro.




 

Una sorta di sintesi della mia vita professionale.

Questa immagine è pazzesca. L’ho generata con la versione 5 di Midjourney. Volevo un’immagine esattamente così. Con questa inquadratura, questa grana, questa luce e persino questa pellicola.

Potrebbe essere la prima di una serie di immagini in serie su cui sto lavorando. Non voglio svelarti nulla ora. Mi limito a scriverti che questo viaggio profondo e meraviglioso che sto facendo nell’Intelligenza Artificiale Generativa sta facendo esplodere la mia creatività che, devo ammettere, negli ultimi anni si era un po’ assopita. E anche se non me ne ero accorto (o facevo finta di non accorgermene) mi mancava. Mi mancava molto.

Se mi conosci da tanto tempo lo sai, se non mi conosci te lo racconto ora, tanto lo avrai già capito, questo post sarà piuttosto lungo.

La creatività ha sempre fatto parte della mia vita personale e professionale. Ho iniziato a lavorare come webdesigner quando ancora andavo al Liceo e a quei tempi la programmazione era lo strumento che utilizzavo per esprimere la mia creatività.

Ho lavorato come webdesigner per anni. I primi anni della prima Internet. Quella della fine degli anni Novanta, quella che è venuta prima dei Social Media, quella dei blog e dei siti scritti su Notepad partendo da , quella dell’anonimato e delle utopie cyber punk…

Quell’Internet per cui, devo ammetterlo, provo una certa nostalgia, o come ho scoperto chiamarsi, una certa “NETstalgia”.

Ventate nostalgiche a parte, dopo qualche anno da webdesigner ho lasciato la professione per gettarmi nel mondo dell’arte. Ho aperto un locale (che mi è valso questa foto), poi ho dato vita a un progetto imprenditoriale che promuoveva la Street Art in tutta Italia e per anni ho lavorato come curatore. Anni incredibili e irriverenti.

E poi un altro cambio. Lascio tutto e a trent’anni mi reinvento. Faccio un MBA. Fondo un’altra azienda, inizio a insegnare e a scrivere. Scrivo libri, newsletter, post, articoli. Compenso il vuoto lasciato dall’arte con la scrittura che diventa la mia nuova passione. Provo anche a scrivere un romanzo che pensavo sarebbe stato un successo… ma che alla fine non è andato da nessuna parte.

Professionalmente inizia un periodo di transizione dove sento di aver perso qualcosa. Anche se non so cosa. Passo da un progetto all’altro. Continuo a inventarmi nuovi lavori tanto che scrivo persino un libro su come farlo.

Poi, circa tre anni fa, scopro il mondo dell’Intelligenza Artificiale. E me ne innamoro subito. Ritrovo quell’entusiasmo e quella passione che avevo perso. In un mondo di codici e algoritmi io ci vedo una meravigliosa potenza creativa.

Il problema è che non ne sapevo nulla. E non conoscevo nessuno che potesse aiutarmi a capirne qualcosa di più.

Così studio. Seguo corsi. Leggo tutto quello che si può leggere. Chiedo in giro. Incontro persone. E, persona dopo persona, conosco un giovane ingegnere informatico, Stefano, con cui dopo qualche mese fondo Oblique.AI e, insieme, iniziamo a lavorare all’intersezione tra Intelligenza Artificiale e Creatività Umana.

Fantastico. Per la prima volta dopo quasi dieci anni mi sento di fare la cosa giusta al momento giusto, con le persone giuste.

Sviluppiamo piattaforme in grado di scrivere testi (o creare partiti politici e saggi consigli), registro un TED su Algoritmi e Creatività, facciamo tanti incontri con tante aziende ma… quello che facciamo non interessa a nessuno. Ci sembra di parlare una lingua che nessuno comprende. GPT? E che cos’è? Intelligenza Artificiale Generativa? Macchine che scrivono testi e generano immagini?

Poi arriva il 30 Novembre 2022 e tutto cambia. Il mondo cambia. OpenAI rilascia chatGPT e improvvisamente milioni di persone si rendono conto del potenziale creativo delle macchine.

Nel frattempo esce una mia intervista sul podcast Hacking Creativity e dopo l’intervista con uno dei due conduttori, Federico Favot, abbiamo un’idea: perché non lanciamo un corso sull’Intelligenza Artificiale Generativa?

Pensiamo al concept: “Prompt, chi parla?” un corso per diventare “Prompt Designer” e mettere l’Intelligenza Artificiale Generativa al servizio della propria creatività (e non viceversa).

Decidiamo di dargli un taglio molto “umano”. Non siamo tecnici. Non siamo (più) programmatori. Però conosciamo molto bene la tecnologia e conosciamo ancora meglio la creatività umana. Così puntiamo sulla mentalità che serve per usare questi strumenti più che sugli strumenti in sé.

Era metà Dicembre e avevamo un obiettivo: arrivare a 15 iscritti entro Febbraio.

Scriviamo il Syllabus del corso. Lanciamo una landing page e poi, qualche giorno prima di Natale, mandiamo un messaggio ad alcuni nostri contatti.

E qui succede qualcosa di incredibile.

Raggiungiamo i primi 15 iscritti in poche ore. Così apriamo un’altra classe. Pubblichiamo la notizia su Linkedin e la notizia inizia a girare. Chiudiamo un’altra classe, poi un’altra e poi un’altra ancora.

Arriviamo a otto classi. Inizia il corso. 170 iscritti. Lanciamo altre otto classi. E altre 200 persone si iscrivo. Risultato: 400 studenti in pochi mesi.

Le prime otto classi hanno finito il corso questo martedì e i feedback sono stati fantastici. Così come l’esperienza. Faticosa (il lunedì e il martedì iniziavamo la prima lezione alle 9.00 del mattino e finivamo l’ultima alle 11 di sera). Però assolutamente coinvolgente e stimolante.

Ma ora fermiamoci un attimo e apriamo un’altra parentesi: non so se conosci lo schema hegeliano di unità – scissione – ritorno alla totalità. Conosciuto anche come tesi-antitesi-sintesi.

Un tempo ero un fervente hegeliano. Oggi di tutta l’immensità del filosofo tedesco mi è rimasto solo questo: la visione della vita come di un ciclo continuo di unità, scissione e ritorno alla totalità.

Siamo nella nostra comfort zone, ma ci sentiamo inquieti o ci succede qualcosa (tesi). Così l’abbandoniamo e iniziamo a vagare in un susseguirsi di sfide e mondi sconosciuti (antitesi). Per poi tornare alla nostra comfort zone (sintesi) ma cambiati e arricchiti da tutto quello che abbiamo affrontato.

Nell’Intelligenza Artificiale Generativa vedo una mia sintesi professionale.

Ho iniziato la mia carriera occupandomi di tecnologia (tesi). Poi mi sono dedicato all’arte e alla creatività (antitesi). E ora mi occupo di Creatività e Macchine (sintesi). Ed è un equilibrio che mi piace moltissimo.




 

La grande opportunità artificiale.

In una recente intervista ho avuto modo di sottolineare come L’avvento dell’intelligenza artificiale sia a mio avviso una grande occasione per valorizzare gli aspetti più puramente tipici dell’essere umano, tra cui creatività, capacità di generare nuove idee, sensibilità curatoriale e capacità di intercettare trend e notizie.

Più l’Intelligenza Artificiale sarà “intelligente” più servirà intelligenza e creatività umana.

Più l’Intelligenza Artificiale sarà “intelligente” più servirà intelligenza e creatività umana. Chi è veramente creativo dunque (ovvero chi è capace di generare idee creative) avrà a disposizione uno strumento (l’AI Generativa) in grado di dare forma alle sue idee come mai nessuno strumento ha fatto prima. Chi invece è un creativo-non-creativo, ovvero un professionista che sacrifica la qualità delle sue idee in nome della quantità, allora è possibile che esca presto dal mercato.




 

L’IA non ti ruberà il lavoro ma qualcuno che sa utilizzare l’IA meglio di te potrebbe farlo.

C’è una correlazione interessante (e per certi versi preoccupante) che sta accadendo nel mondo delle Big Tech in questi giorni: da una parte crescono gli investimenti in Intelligenza Artificiale. Dall’altra aumentano i licenziamenti.

Prendiamo il caso di Microsoft: da una parte ha da poco annunciato un altro grande investimento (si parla di 10 miliardi) in OpenAI, l’azienda dietro chatGPT, dall’altra ha deciso di tagliare 10.000 posti di lavoro, circa il 5% dei suoi dipendenti.

Le conclusioni sembrano ovvie: l’Intelligenza Artificiale ci porterà via il lavoro.

Tuttavia le motivazioni sono altre: investimenti sbagliati, progetti che non hanno funzionato (come quelli sulla Realtà Aumentata, o HoloLens), l’attuale scenario economico, l’aumento dei costi delle materie prime e così via.

E poi c’è il tema del “Re-Skill” ovvero la capacità delle persone di aggiornarsi acquisendo nuove competenze per stare al passo con i tempi e rimanere rilevanti per l’azienda in cui lavorano. Il mercato del lavoro con cui ci confrontiamo oggi infatti è molto più dinamico di un tempo e richiede di re-inventarsi di continuo.

L’Intelligenza Artificiale dunque non è il nemico da combattere o evitare ma è una di quelle competenze o tecnologie che qualunque professionista deve saper utilizzare per continuare a lavorare migliorando il modo in cui lavora.

Quindi per concludere potremmo dire che l’Intelligenza Artificiale non ti ruberà necessariamente il lavoro ma qualcuno che sa utilizzare l’Intelligenza Artificiale meglio di te potrebbe farlo.




 

Corrente #88: Capability Overhang.

In una celebre conferenza stampa del 12 febbraio 2002, l’ex segretario alla Difesa americano Donald Rumsfeld, rispondendo alle domande dei giornalisti sulla presenza di armi chimiche in Iraq, disse: «Ci sono cose conosciute che conosciamo (known knowns); sono le cose che sappiamo di sapere. Ci sono cose conosciute che non conosciamo (known unknowns); ovvero le cose che sappiamo di non sapere. Ma ci sono anche cose sconosciute che non conosciamo (unknown unknowns); sono le cose che non sappiamo di non sapere».

È una risposta quasi filosofica che non ci si aspetta da un Segretario alla Difesa, ma che riassume molto bene l’incertezza tipica dei nostri tempi. Quanti sono oggi gli “unknown unknowns” che non sappiamo di non sapere? Tantissimi. E non potrebbe essere altrimenti.

Di fronte a un contesto sociale, economico e tecnologico sempre più dinamico che varia in continuazione non possiamo pensare di avere la sicurezza di sapere sempre, con esattezza, le conseguenze delle nostre azioni. Possiamo fare delle stime. Possiamo spingerci a fare delle previsioni, ma qualcosa ci sfuggirà e questo qualcosa potrebbe avere un impatto molto grande nella vita di milioni di persone. Nel bene e nel male.

All’interno di questo scenario si inserisce il fenomeno della Capability Overhang, un termine utilizzato per definire l’insieme di capacità e minacce, tipiche di tecnologie avanzate come l’Intelligenza Artificiale, che scopriamo solo quando queste raggiungono una diffusione di massa.

Pensiamo proprio all’Intelligenza Artificiale e, nel particolare a tecnologie di Intelligenza Artificiale Generativa come ChatGPT o Claude. Nemmeno chi le ha create è consapevole di come si evolveranno e quale sarà il loro futuro.

In una recente intervista per esempio Sam Altman, CEO di OpenAI, confessa di essere al contempo entusiasta e terrorizzato dalla tecnologia che la sua azienda sta creando, in primis ChatGPT. Secondo Altman infatti, ci sono diverse possibili conseguenze negative alla diffusione di ChatGPT e, più in generale, all’avvento dell’Intelligenza Artificiale Generativa. Tra queste, la disinformazione su larga scala e il proliferare di Fake News, massicci attacchi di hacker che usano ChatGPT per scrivere codice, il problema delle “allucinazioni” ovvero la possibilità che le persone prendano per vero quello che ChatGPT scrive senza controllare le fonti, o la scomparsa di milioni di lavori.

Tuttavia c’è anche un enorme potenziale positivo che potrebbe permettere all’Umanità di progredire grazie a questa tecnologia. Sempre secondo Altman, l’Intelligenza Artificiale potrebbe creare milioni di nuovi posti di lavoro e aumentare la nostra produttività così da lavorare meno, curare tutte le malattie e rendere la sanità più accessibile per tutti, dare un’educazione molto elevata a qualsiasi bambino nel mondo arrivando a ipotizzare un insegnamento personalizzato per chiunque o aumentare la nostra creatività e la nostra capacità di risolvere problemi.

C’è un legame imprescindibile tra “unknown unknowns” e progresso. Ogni nuova scoperta comporta dei potenziali rischi che potremo scoprire solo una volta che l’abbiamo esplorata o lanciata sul mercato.

Ma questa del resto non è una novità, vale per l’Intelligenza Artificiale così come per qualsiasi altra tecnologia o scoperta rivoluzionaria.

Pensiamo alle automobili. Quando Henry Ford ha lanciato la sua Model T avrebbe mai pensato che un domani le città sarebbero state invase da milioni di macchine e che la CO2 prodotta dai gas di scarico avrebbe contribuito al surriscaldamento globale del nostro pianeta? Forse no.

Oppure pensiamo a Cristoforo Colombo, probabilmente l’uomo più fortunato della storia. Prima di partire per il suo viaggio, aveva calcolato che la distanza tra le Canarie e l’estremo oriente fosse di soli 4500 Km. In realtà erano 22000 Km. Quasi 5 volte di più. Un errore di valutazione gigantesco, che tuttavia ha portato a una gigantesca scoperta: l’America.

C’è dunque un legame imprescindibile tra “unknown unknowns” e progresso. Ogni nuova scoperta comporta dei potenziali rischi che potremo scoprire solo una volta che l’abbiamo esplorata o lanciata sul mercato.

Quindi cosa fare? Penso che la soluzione non sia fermarsi ma formarsi. Non possiamo fermare la tecnologia. Però possiamo formarci, possiamo conoscerla meglio per capire come valorizzare le enormi opportunità che ci offre o contenere le potenziali minacce che potrebbero sorgere. Dobbiamo essere pronti a rivedere le nostre abitudini, a cambiare idea e a reinventarci come professionisti. Serve flessibilità, creatività, consapevolezza e, talvolta, persino un po’ di follia e ottimismo. Non è facile essere consapevoli e al tempo stesso ottimisti e visionari, ma, mai come oggi, è necessario esserlo.




 

Dati sul mercato dell’Intelligenza Artificiale Generativa.

Qualche dato interessante sul mondo Intelligenza Artificiale Generativa preso dall’ultimo report “How Are Consumers Using Generative AI?” di AndreessenHorowitz.

  1. Dopo nove mesi dal suo lancio ChatGPT è ancora l’app di Generative AI più usata con 1,6 miliardi di visite mensili e 200 milioni di utenti mensili (a giugno 2023) diventando così il 24° sito web più visitato a livello globale, con numeri vicini a LinkedIn (ma ancora molto distanti da Whatsapp).
  2. La seconda (ancora molto distante) app più usata è Character.ai, una tecnologia focalizzata sulla generazione di chatbot, per lo più di personaggi. BARD di Google è terzo.
  3. L’80% dei 50 prodotti basati su Generative AI più usati non esistevano fino a un anno fa. E solo 5 di questi sono stati lanciati da Big Player Bard (Google), Poe (Quora), QuillBot (Course Hero), Pixlr (123RF), e Clipchamp (Microsoft).
  4. Il 48% dei 50 prodotti basati su Generative AI più usati sono stati autofinanziati. Il ché vuol dire che si può entrare in questo mercato anche partendo da zero e senza grandi investimenti, magari appoggiandosi su tecnologie già esistenti (cosa che ha fatto il 33% dei 50 prodotti più utilizzati).
  5. L’utilizzo maggiore è ancora l’assistente virtuale (in stile ChatGPT) con il 68.7% ma la categoria più in crescita è “AI companions”, con il 13.2%, ovvero chatbot con cui parlare utilizzati per motivi personali e non professionali.
  6.  La crescita dei prodotti basati su Generative AI è per lo più organica e chi li usa è molto propenso a pagare per versioni premium con un prezzo medio di 21 dollari (contro una media per tool non GenAI di 10 dollari), e infatti il 90% dei 50 prodotti basati su Generative AI più usati sta già monetizzando.

Riassumendo: il mercato dell’Intelligenza Artificiale Generativa cresce in fretta, monetizza e, per ora, ha basse barriere all’ingresso. Mercati come questo non capitano spesso.




 

L’evoluzione del mondo del lavoro ai tempi dell’Intelligenza Artificiale Generativa.

Tre dati chiave per capire l’evoluzione del mondo del lavoro ai tempi dell’Intelligenza Artificiale Generativa (dall’ultimo report del IBM Institute for Business Value).

  1. Nei prossimi tre anni il 40% dell’attuale forza lavoro dovrà re-inventarsi (reskill) per un totale di 1,4 miliardi di persone. Secondo l’87% dei dirigenti infatti, grazie all’Intelligenza Artificiale Generativa, molti lavori verranno aumentati e non automatizzati (soprattutto in Marketing, Finance e Sales). Ovviamente a una condizione: continuare a formarsi per imparare nuove competenze tanto tecnologiche quanto trasversali.
  2. Negli ultimi anni le competenze STEM stanno diminuendo d’importanza, passando dal primo posto nel 2016 al 12° posto nel 2023. Più la tecnologia sarà accessibile e alla portata di tutti infatti, più quello che conta non sarà quale tecnologia useremo (cosa) ma con quale mentalità la useremo (come). Da cui l’importanza di avere competenze umanistiche e trasversali (prima fra tutte Time Management and Ability to prioritize) per essere capaci di trovare nuove soluzioni e ottimizzare i processi di lavoro.
  3. L’Intelligenza Artificiale Generativa avrà un impatto soprattutto sui lavori “Entry level” con il rischio di ridurre la mobilità sociale (perché assumere un junior quando posso usare ChatGPT?). Per chi entra oggi nel mondo del lavoro sarà quindi importante far leva su competenze a minor rischio di automazione, come l’intraprendenza.

L’imprenditoria assume così un ruolo centrale nel percorso di formazione di una persona. Lanciare una propria Startup, indipendentemente dal suo successo, potrà valere molto di più di anni di stage passati a fare attività ripetitive e routinarie.




 

Intelligenza.

OpenAI, società di Intelligenza Artificiale (AI) finanziata tra i molti anche da Elon Musk, ha da poco lanciato un nuovo linguaggio AI chiamato GPT-3 che a quanto pare porta l’Intelligenza Artificiale a un livello in cui un robot può scrivere un testo (o un finale per Game Of Thrones) come un umano.

E questo fa pensare. Questa settimana ascoltando un’intervista ho scoperto una cosa interessante: il Mossad, che molti considerano il servizio di Intelligence più efficace al mondo, sta assumendo soprattutto Hacker per raccogliere dati e laureati in Filosofia per comprenderli.

La trovo una cosa interessante perché penso che più l’intelligenza artificiale sarà intelligente, più servirà intelligenza umana. Più tecnologia avremo, più servirà sviluppare e coltivare il nostro fattore umano perché, come giustamente ha detto Anand Giridharadas, oggi siamo a un bivio: o ci mettiamo più immaginazione umana o rischiamo di estinguerci.




 

L’Intelligenza Artificiale è la nuova Internet.

Eccomi qui ai Torino Digital Days in una posa che mi ha ricordato Steve Jobs alla MacWorld convention del 1997 quando, a un certo punto, un gigantesco Bill Gates apparve su un maxi schermo dietro Jobs.

Nel mio caso però quella che è apparsa è solo una riproduzione di Bill Gates che ho fatto con Midjourney “nello stile di Wes Anderson”.

Questa mattina sono partito proprio da qui per parlare della figura del Prompt Designer.

In un recente articolo infatti, Bill Gates ha scritto: «Artificial intelligence is as revolutionary as mobile phones and the Internet.»

Se a questa lista aggiungiamo i computer ecco che abbiamo l’evoluzione della tecnologia di massa degli ultimi quarant’anni:

💾 Anni Ottanta: Computer e Programmatore
Il computer diventa una tecnologia di massa e il programmatore è il nuovo lavoro di riferimento.

🌐 Anni Novanta: Internet e Web Designer
Internet diventa una tecnologia di massa e il Web Designer è il nuovo lavoro di riferimento.

📱 Anni Duemila: Social Media e Social Media Manager
I Social Media diventano una tecnologia di massa e il Social Media Manager è il nuovo lavoro di riferimento.

🤖 Anni Venti: Intelligenza Artificiale Generativa e Prompt Designer
L’Intelligenza Artificiale Generativa diventa una tecnologia di massa e il Prompt Designer è il nuovo lavoro di riferimento.




 

Collaboratori, non sostituti.

E alla fine lo ha detto anche l’Harvard Business Review (HBR):

L’intelligenza artificiale non sostituirà gli esseri umani – ma gli esseri umani che utilizzano l’intelligenza artificiale sostituiranno gli esseri umani che non utilizzano l’intelligenza artificiale.

In un recente articolo, Karim Lakhani, professore della Harvard Business School, sostiene come i clienti si aspetteranno dalle aziende esperienze potenziate dall’IA, quindi i manager devono già ora sperimentare, creare sandbox, organizzare bootcamp interni e sviluppare casi d’uso dell’IA non solo per gli operatori tecnologici, ma per tutti i dipendenti, poiché il cambiamento e la gestione del cambiamento sono competenze non più opzionali per le organizzazioni moderne.

E il primo passo per farlo è mettere qualsiasi dipendente della propria azienda nelle condizione di saper usare strumenti di Intelligenza Artificiale Generativa come ChatGPT, Midjourney e simili.

Questo perché, come ribadisce anche Lakhani, l’IA non sostituirà l’uomo, ma l’uomo con l’IA sostituirà l’uomo senza IA.

Storicamente non c’è mai stata una contrapposizione diretta tra uomo e macchina ma semmai tra uomo-con-macchina vs uomo-senza-macchina.

Storicamente infatti non c’è mai stata una contrapposizione diretta tra uomo e macchina ma semmai, appunto, tra uomo-con-macchina vs uomo-senza-macchina. Pensiamo alla Rivoluzione Industriale (uomo-con-fabbrica vs uomo-senza-fabbrica) oppure alla Rivoluzione Tecnologica (uomo-con-computer vs uomo-senza-computer).

Oggi tuttavia, rispetto al passato, c’è una grande differenza:

Un tempo la macchina era molto più esclusiva. Avere una fabbrica o un computer costava molti soldi e richiedeva molte competenze.

Oggi invece la macchina, intesa in questo caso come gli strumenti di Intelligenza Artificiale Generativa, è molto più accessibile, tanto in termini di costo quanto in termini di utilizzo.

Ogni persona (manager, imprenditore o imprenditrice, professionista…) può elevare la propria professione grazie all’Intelligenza Artificiale Generativa.

Chi non lo fa non è per motivi di competenze o di costi, ma solo di mentalità.




 

Scuse passeggere.

Qualsiasi sia la scusa per cui non hai ancora implementato l’Intelligenza Artificiale nella tua azienda, tra qualche mese non esisterà più.

Uno dei principali motivi per cui le aziende non usano ChatGPT è legato alla privacy dei dati e alla sicurezza.

Questa settimana però OpenAI ha rilasciato ChatGPT Enterprise, una versione di ChatGPT pensata proprio per le aziende (più sicuro, più adatto all’analisi avanzata dei dati, più in linea con le policy sulla privacy, SOC 2 compliant…).

E questo cambia tutto: adesso qualsiasi azienda potrà integrare strumenti come ChatGPT nei propri processi operativi con maggiore sicurezza.

Da quando ho iniziato ad occuparmi di Intelligenza Artificiale Generativa ho sentito molte aziende e professionisti inventarsi le giustificazioni più bizzarre per non ammettere una realtà ormai consolidata:

L’Intelligenza Artificiale Generativa sta cambiando qualsiasi settore e qualsiasi professione e nessun professionista e nessuna azienda può permettersi il lusso di ignorare questa rivoluzione tecnologica.

Ho sentito illustratori dire che le immagini fatte con Midjourney non saranno mai all’altezza di quelle fatte da un umano («basta guardare come fa le mani!»). Tempo sei mesi e il problema “mani” è stato risolto, con l’aggiunta che ora con la nuova funzione “Vary (Region)” anche se sbaglia una mano possiamo correggere l’immagine.

Ho sentito creativi sostenere che GPT non sarebbe mai stato in grado di scrivere come un copywriter. Oggi GPT 4 ha raggiunto il livello di scrittura di un umano medio.

Ho sentito persone dire che dopo l’intervento del garante della privacy, ChatGPT in Italia sarebbe morto. Dopo poco più di un mese il problema è stato risolto.

L’Intelligenza Artificiale Generativa può spaventare ed è normale costruirsi delle giustificazioni mentali per non agire. Però l’errore più grande che possiamo fare oggi è far finta di niente. Sperare che l’IA sia solo una moda passeggera. Non è così.

Lo so, questa tecnologia può spaventare ed è normale costruirsi delle giustificazioni mentali per non agire. Però l’errore più grande che possiamo fare oggi è far finta di niente. Sperare che l’IA sia solo una moda passeggera.

Non è così.

Questo non vuol dire che adesso dobbiamo tutti diventare degli esperti di Intelligenza Artificiale Generativa o affidare ogni nostra attività a degli algoritmi. Assolutamente no. Anzi possiamo decidere di posizionarci controcorrente e offrire un servizio 100% Human Made.

Però dobbiamo capire cosa sta succedendo, valutare le enormi opportunità che ci sono oggi e definire una strategia per ripensare la nostra attività.




 

IA Olistica.

Una delle cose che più mi affascina dell’Intelligenza Artificiale Generativa è il suo essere così olistica. Qualsiasi settore (dal No-Profit alla Religione) infatti viene e verrà sempre di più toccato dall’Intelligenza Artificiale.

Con un aspetto ancora più interessante: più il nostro percorso professionale e i nostri interessi sono ampi, poliedrici e trasversali più saremo in grado di utilizzare l’Intelligenza artificiale per cerare qualcosa che nessuno ha mai creato prima.

Ed è per questo motivo che l’IA può valorizzare, non minacciare, la nostra umanità, perché può trasformarsi in uno strumento per amplificare tutte le competenze che ci rendono unici.

Prova a fare questo esperimento: pensa a tutto quello che hai fatto nella vita, fai una lista delle tue competenze, dei tuoi interessi e delle tue risorse. Spacchetta i processi che caratterizzano il tuo lavoro. Scrivi tutto su un grande foglio di carta e prova a immaginare cosa, grazie all’Intelligenza Artificiale Generativa potresti fare diversamente oppure cosa potresti fare che prima non hai mai fatto.




 

AI o Out Of Business.

Secondo l’imprenditore Peter Diamantis, «alla fine di questo decennio ci saranno due tipi di aziende… quelle che utilizzeranno pienamente l’intelligenza artificiale e quelle che saranno fuori mercato». Della stessa idea è Sundar Pichai, CEO di Alphabet, quando dice che «l’intelligenza artificiale potrebbe avere implicazioni più profonde per l’umanità rispetto all’elettricità o al fuoco.» Ancora più diretto è Elon Musk quando sostiene che «le aziende devono muoversi a costruire aziende basate su AI altrimenti non saranno più competitive. In sostanza, se il vostro competitor sta costruendo sistemi basati su AI, vi schiaccerà».

Non a caso tanto Diamantis quanto Sundar Pichai o Musk stanno creando o gestendo aziende al 100% basate su AI. E penso non stiano esagerando. Stiamo vivendo l’alba di un nuovo mondo dove l’Intelligenza Artificiale sarà alla base di molte, se non tutte, le attività umane.

Alla fine di questo decennio ci saranno due tipi di aziende: quelle che utilizzeranno pienamente l’intelligenza artificiale e quelle che saranno fuori mercato.

Ma questa del resto non è una novità:

Negli anni Ottanta alcune aziende hanno iniziato ad usare i computer, altre non lo hanno fatto e sono uscite dal mercato.

Negli anni Novanta alcune aziende hanno iniziato ad usare Internet, altre non lo hanno fatto e sono uscite dal mercato.

Negli anni 2000 e 2010 alcune aziende hanno iniziato ad usare lo Smartphone e il Web 2, altre non lo hanno fatto e sono uscite dal mercato.

Oggi alcune aziende stanno iniziando ad utilizzare l’Intelligenza Artificiale, altre non lo stanno facendo e usciranno dal mercato.

Del resto come ci ricorda l’editore del catalogo Whole Earth, Stewart Brand, «Una volta che una nuova tecnologia ti passa sopra, se non sei parte del rullo compressore, sei parte della strada».




 

Create Real Magic.

La nuova campagna di Mulino Bianco fatta con Midjourney rappresenta perfettamente come questa tecnologia non dovrebbe essere usata.

È una campagna banale che poteva essere fatta anche senza l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale Generativa, dove l’unico valore aggiunto, anche se poi non si è dimostrato, è appunto l’utilizzo di una macchina al posto che di una persona per generare le immagini.

Questo non funziona. Non funziona in Italia e non funziona in nessun altro contesto. Come dimostra questo poster generato con Midjourney per promuovere un film in Cina.

L’Intelligenza Artificiale Generativa è uno strumento a supporto della nostra creatività. Non può essere di per sé il fine. Senza una valida creatività umana, la macchina è inutile se non controproducente.

La campagna del Mulino Bianco è pura tecnica. Non c’è un’idea creativa forte. Perché è stata usata l’Intelligenza Artificiale? Qual è il concept che ne giustifica l’utilizzo? Non c’è.

La vera sfida creativa oggi non è quella di fare con l’Intelligenza Artificiale Generativa qualcosa che poteva essere fatto anche prima, ma piuttosto avere idee per fare cose che prima non potevano essere fatte.

Un esempio è la campagna Create Real Magic di Coca-Cola. Una campagna che va nella direzione del vero potenziale dato dall’Intelligenza Artificiale Generativa: creare campagne personalizzate al 100% dove ogni utente può vedere o creare una versione unica della campagna.




 

L’Intelligenza Artificiale democratizza il lusso.

Nella puntata 23 della terza stagione di Friends, i sei amici newyorkesi vanno a casa di Pete Becker, il fidanzato milionario di Monica e rimangono a bocca aperta quando in casa trovano video telefoni, frigoriferi intelligenti e luci con accensione vocale.

Oggi sono due cose scontate. Chiunque con uno smartphone può fare una video chiamata e con pochi euro da Ikea si possono comprare lampadine intelligenti. Ma vent’anni fa non era così. Vent’anni fa erano cose che solo un milionario poteva permettersi.

Lo stesso vale per molti altri prodotti. Un tempo avere cibo tutti i giorni più volte al giorno era un lusso, oggi è una necessità. Un tempo avere un televisore o un telefono in casa era un lusso, oggi è una necessità.

L’Intelligenza Artificiale ha ulteriormente accelerato questo processo. Un tempo avere un assistente personale era un lusso, oggi basta un iPhone per avere un assistente (virtuale) sempre disponibile. Un tempo avere decine di scrittori o illustrazioni a propria disposizione era un lusso, oggi con GPT3 o DALLE è qualcosa di possibile per tutti. Un tempo avere un consulente a disposizione con cui parlare in qualsiasi momento era un lusso, oggi grazie all’AI conversazione e al Machine Learning è sempre più accessibile.

Così come Ikea ha democratizzato il design, Amazon ha democratizzato il commercio in modo che tutti possano avere un negozio, Google ha democratizzato l’informazione, Spotify ha democratizzato la musica e YouTube i video, l’intelligenza Artificiale potrebbe democratizzare molte delle cose che un tempo erano considerate un lusso, trasformandole in una necessità.

Quello che un tempo era un lusso, un domani sarà trasformato in una necessità.

Del resto, Adam Smith lo aveva capito già più di duecento anni fa quando sosteneva che quello che un tempo era un lusso, un domani si sarebbe trasformato in una necessità.

Non a caso, l’economista statunitense (alle dipendenze di Google dal 2002) Hal Ronald Varian sostiene che per predire il futuro basti guardare quello che hanno (e vogliono) i ricchi, perché sarà quello che un domani vorranno anche i poveri.




 

Il rischio dell’Intelligenza Artificiale.

Paradossalmente uno dei rischi più grandi dell’Intelligenza Artificiale è che ad oggi non è ancora così tanto intelligente da non commettere errori, e quindi costruire sistemi basati unicamente sulle valutazioni di un algoritmo può portare a giganteschi errori di valutazione.




 

Capitalismo & Intelligenza Artificiale.

“The real end of history is when the choice is between counting on ethical AI to protect us from unethical capitalism and counting on ethical capitalism to protect us from unethical AI.” Lo ha scritto Evgeny Morozov in un tweet. Ed è vero. Il XX Secolo ci ha insegnato (o almeno dovrebbe averci insegnato) che un capitalismo privo di etica è disastroso per il nostro futuro. Il XXI Secolo sarà il secolo dell’Intelligenza Artificiale e spero che l’uomo abbia capito l’importanza dell’etica.




 

L’IA salverà il mondo.

Secondo Marc Andreessen l’Intelligenza Artificiale potrebbe salvare il mondo. A patto che venga utilizzata correttamente. Come del resto qualsiasi altra tecnologia, anche l’IA è un mezzo. Un mezzo che può portare al progresso così come alla distruzione.

Questi alcuni dei modi in cui, secondo Andreessen, l’intelligenza artificiale cambierà il mondo in meglio:

Ogni bambino potrà avere un tutor basato su IA infinitamente paziente, infinitamente compassionevole, infinitamente competente e infinitamente utile. Il tutor IA sarà al fianco di ogni bambino in ogni fase del suo sviluppo, aiutandolo a massimizzare il suo potenziale.

Ogni persona potrà avere un assistente/allenatore/mentore/formatore/consulente/terapeuta basato su IA presente in tutte le opportunità e le sfide della vita, massimizzando i risultati di ogni persona.

Ogni scienziato potrà avere un assistente/collaboratore/partner basato su IA che amplierà enormemente la portata della sua ricerca scientifica e dei suoi risultati.

Ogni artista, ogni ingegnere, ogni uomo d’affari, ogni medico, ogni assistente avrà la stessa cosa nel proprio mondo.

La crescita della produttività in tutta l’economia subirà una forte accelerazione, favorendo la crescita economica, la creazione di nuove industrie, la creazione di nuovi posti di lavoro e l’aumento dei salari, e dando vita a una nuova era di maggiore prosperità materiale in tutto il pianeta.

Le scoperte scientifiche, le nuove tecnologie e le nuove medicine si espanderanno notevolmente, poiché l’intelligenza artificiale ci aiuterà a decodificare ulteriormente le leggi della natura e a sfruttarle a nostro vantaggio.

Le arti creative entreranno in un’età dell’oro, poiché gli artisti, i musicisti, gli scrittori e i registi potenziati dall’IA avranno la possibilità di realizzare le loro visioni molto più velocemente e su scala più ampia che mai.

L’intelligenza artificiale migliorerà la guerra, quando sarà necessario, riducendo drasticamente i tassi di mortalità in guerra. Ogni guerra è caratterizzata da decisioni terribili prese sotto forte pressione e con informazioni fortemente limitate da leader umani molto limitati. Ora, i comandanti militari e i leader politici avranno a disposizione consulenti basati su IA che li aiuteranno a prendere decisioni strategiche e tattiche molto migliori, riducendo al minimo i rischi, gli errori e gli inutili spargimenti di sangue.

In breve, tutto ciò che le persone fanno oggi con la loro intelligenza naturale può essere fatto molto meglio con l’IA, e saremo in grado di affrontare nuove sfide che sono state impossibili da affrontare senza l’IA, dalla cura di tutte le malattie alla realizzazione di viaggi interstellari.




 

Essere vs far finta d’essere?

Incrociando il grafico sopra con quello poco sotto, verrebbe da pensare che già oggi l’Intelligenza Artificiale possa performare meglio dell’amo in diverse attività intellettuali come la scrittura o la comprensione dei testi. Nel grafico in alto infatti viene indicato come 0 il punto in cui l’Intelligenza Artificiale ha ottenuto un punteggio maggiore rispetto a un umano in test relativi al linguaggio o al riconoscimento di immagini. Il grafico qui sotto invece indica una stima di tempo prima che le macchine siano in grado di generare testi, immagini o video al pari di un essere umano.

Entrambi i grafici indicano un dato chiaro: negli ultimi anni l’Intelligenza Artificiale è sempre più intelligente e creativa e nei prossimi anni lo sarà sempre di più e sempre più in fretta.

È dunque la fine del predominio intellettuale dell’uomo sulla macchina? No, o meglio, non necessariamente. L’Intelligenza Artificiale è ancora molto distante dall’intelligenza umana. Può scrivere testi e generare immagini, ma c’è una bella differenza tra la capacità di riprodurre qualcosa e produrre qualcosa, e quindi concepirla, avere l’idea creativa che porta alla realizzazione di un testo o di un’opera d’arte.

È un tema che ci riporta alla distinzione quasi filosofica di “Essere Qualcosa” contro “Far Finta d’Essere Qualcosa”. Il fatto di sapersi fingere intelligenti non vuol dire essere realmente intelligenti.

L’intelligenza non sta tanto nella capacità di produrre qualcosa, ma nel saperla concepire. Nell’avere l’idea creativa. Non solo nel saperla realizzare. Come sosteneva Bruno Munari infatti «quando qualcuno dice: questo lo so fare anch’io, vuol dire che lo sa rifare altrimenti lo avrebbe già fatto prima». Il tema, dunque, non è tanto saper fare qualcosa, ma saperlo pensare. La vera domanda da farsi non è «Questo potevo farlo anche io?» ma «Questo potevo pensarlo anche io?» e molto spesso la risposta è no.




 

Servirsi dell’AI o essere al suo servizio?

Già diversi anni fa, l’imprenditore statunitense Marc Andressen prevedeva che un domani il mondo si dividerà tra quelli che diranno ai computer cosa fare e quelli a cui i computer diranno cosa fare. Sebbene questa idea di futuro possa avere un ché di dispotico, è verosimile che sempre più spesso i computer influenzeranno le nostre scelte e ci diranno, in maniera più o mena diretta cosa fare.

È qualcosa che succede già ora, anche se spesso non ce ne accorgiamo. Pensiamo al sistema delle raccomandazioni che ogni giorno troviamo sui Social Media o le piattaforme di eCommerce che frequentiamo. Proprio su questo tema, il ricercatore del MIT, Michael Schrage, scrive che i motori di raccomandazione (dai Feed sui Social ai suggerimenti tipo “Se ti piace questo, allora ti piacerà anche questo”) modellano sempre di più le persone, decidendo per loro conto cosa desiderano acquistare e chi vogliono diventare. Tanto che nel mondo delle Big Tech stanno nascendo nuove professioni come i Choice Architects che utilizzano elementi di design per cambiare le cose che gli utenti cliccano, comprano e a cui prestano attenzione.

Un domani il mondo si dividerà tra quelli che diranno ai computer cosa fare e quelli a cui i computer diranno cosa fare. – Marc Andressen

Processi simili accadono sempre di più anche in azienda. Pensiamo a quelle che vengono chiamate “Self-driving companies”, ovvero società in cui i manager umani sono sempre meno e la maggior parte delle decisioni aziendali, tra cui le assunzioni e i licenziamenti, sono prese da algoritmi. Nel saggio “Futureproof: 9 Rules for Humans in the Age of Automation” Kevin Roose fa l’esempio di MYbank un’app di prestito la cui procedura di firma è conosciuta come “3-1-0” per via dei tre passaggi richiesti: tre minuti per richiedere un prestito, un secondo per un algoritmo per approvarlo, e zero umani. Oppure pensiamo ad Amazon dove spesso i dipendenti dei magazzini hanno già oggi come capi degli algoritmi. O a servizi di Food Delivery come Deliveroo o aziende come Uber. Sono tutti esempi di come il personale sia sempre più diretto e supervisionato da software, detti anche “Bossware”, e non persone.

E questo non vale solo per la gestione del personale ma anche per la sua selezione. Nel 2019, un sistema basato su Intelligenza Artificiale sviluppato dalla startup americana Hire Vue, è stato utilizzato in Inghilterra per la selezione del personale. Il sistema sfrutta la tecnologia di Machine Learning per valutare le espressioni facciali, il lessico e il tono di voce dei candidati cui vengono sottoposte le stesse identiche domande e che vengono filmati attraverso uno smartphone o un personal computer. Le loro risposte e i loro video vengono poi confrontati in automatico con i dati raccolti intervistando dipendenti modello dell’azienda. In base al risultato, il candidato viene classificato all’interno di una categoria e poi, nel caso, selezionato per il lavoro per cui ha fatto il colloquio.

Tanto in azienda quanto nella nostra vita privata l’Intelligenza Artificiale influenza sempre di più le nostre scelte. Come utilizzarla al meglio?

È dunque lecito domandarsi se un domani sarà l’Intelligenza Artificiale ad essere al servizio dell’uomo o se, al contrario, sarà l’uomo ad essere al servizio dell’intelligenza artificiale.

Per rispondere a questa domanda, è importante comprendere meglio il concetto di “essere al servizio” e quindi definire chi (o cosa) stabilisce il fine e la strategia per raggiungere un risultato. Pensiamo a Netflix, oggi la direzione è ancora in mano alle persone. Sono i direttori creativi o i manager dell’azienda statunitense a definire le direttive da seguire. Tuttavia le loro decisioni sono sempre più basate sull’analisi di dati ed è quindi verosimile che un domani possa essere un algoritmo a dire alle persone come girare o come produrre un film.

Il rapporto tra esseri umani basati sull’ingegno ed esseri tecnologici basati su algoritmi sarà sempre più fluido e ambiguo. Gli uni saranno a supporto degli altri. Quello che importa è avere la consapevolezza di quando le nostre decisioni sono influenzate da un algoritmo e quando invece sono frutto di un nostro processo creativo.




 

Insegnanti programmatori.

Più l’Intelligenza Artificiale è intelligente, più il processo di addestramento dell’Intelligenza Artificiale sarà bottom-up, più il lavoro del programmatore sarà simile a quello dell’insegnante. Programmare un’Intelligenza Artificiale sarà sempre più simile a insegnare a un bambino piuttosto che programmare tecnicamente un software.




 

Lavori creativi, Intelligenza Artificiale e Futuro del lavoro.

Un estratto dalla mia ultima intervista sulla newsletter LetMeTellIt.

Se fra 10 anni i film saranno generati completamente dall’IA (dall’ideazione della trama alla creazione video, passando per colonna sonora e sceneggiatura) avrà ancora senso andare al cinema? E quindi, in che modo verrà influenzata la percezione del pubblico sulla validità dei contenuti creativi generati dalle intelligenze artificiali?

Qui dobbiamo dividere la domanda in due. Una relativa ai contenuti destinati all’intrattenimento (come i film) e una relativa ai contenuti destinati all’informazione (come i video che vediamo online).

In merito ai contenuti destinati all’intrattenimento è verosimile che un domani, neanche troppo lontano, ci sarà la possibilità tecnica di realizzare film completamente personalizzati per chi li vedrà. Una sorta di videogioco passivo dove chiunque potrà scegliere cosa vedere. Anzi, potremmo addirittura arrivare a pensare che i nostri figli potranno leggere dei romanzi ad alta voce e vedere in diretta la rappresentazione di quello che stanno leggendo su uno schermo.

Il punto però non è tecnico ma umano: avremo veramente voglia di vedere film così? Avremo davvero voglia di investire il nostro tempo per crearci film personalizzati? Oppure preferiremo sederci al cinema o davanti al televisore e “semplicemente” guardare un film che qualcuno ha pensato per noi come per milioni di altre persone.

Un po’ come quando la sera stanchi ci mettiamo davanti a Netflix e cerchiamo un film da vedere, ma ci sono troppi film, allora non sappiamo cosa scegliere e passiamo il tempo a scorrere le proposte fino a quando siamo troppo stanchi e alla fine, esausti, non guardiamo nulla.

Emerge quindi il tema della “decision fatigue” che non a caso già oggi è uno dei problemi più grossi per Netflix. Troppe scelte ci paralizzano e si trasformano in un “dis-vantaggio” qualcosa che al posto di migliorare la nostra esperienza la peggiora.

In merito ai contenuti destinati all’informazione invece la cosa si fa più seria e complessa. In un futuro in cui grazie all’IAG o al deepfake potremo falsificare qualsiasi video o contenuto digitale crederemo ancora a tutto quello che leggeremo o vedremo online?

La mia risposta, o meglio, la mia speranza è NO. Quello che spero è che questa ondata di tecnologia possa renderci più consapevoli e profondi. Possa spingerci ad andare oltre la superficie di un titolo o di un video, per invece approfondire e fare ricerche. Dubitare di tutto, senza però fermarci al dubbio, ma facendo la necessaria fatica di andare ad indagare quella che pensiamo essere la verità.

Sarà una scelta faticosa, appunto, ma necessaria. In un futuro non potremo più permetterci il lusso della superficialità. Dovremo andare in profondità. Fare ricerche. Istruire noi stessi. Leggere. Confrontare le fonti. Farci domande. Approfondire. In sintesi: avere la forza di superare quell’inondazione di spazzatura mediatica, tipica dei Social Media, che non fa altro che confondere le idee, seminare il panico, diffondere notizie false e screditare ogni teoria scientifica di valore.

Quali sono i limiti tecnici che devono essere affrontati nell’utilizzo dell’intelligenza artificiale nella creazione di contenuti creativi e come possono essere superati?

Ho iniziato ad usare GPT ai tempi di GPT-2 è devo dire che negli ultimi due anni l’IAG sta facendo dei passi in avanti incredibili, quindi faccio fatica a pensare a dei limiti tecnici che non saranno, nel breve, superati. Per quella che è la mia esperienza però, posso dire che ad oggi, i principali limiti tecnici che vedo sono:

Nella creazione di testi:

  • Generare testi o articoli molto specialistici o specifici.
  • Allenare la macchina (Fine Tuning), che è possibile ma è ancora piuttosto complesso e costoso.
  • Generare testi o articoli di attualità.
  • Generare testi “curatoriali” ovvero con il tratto tipico di un autore specifico.
  • Generare testi molto creativi, diciamo che siamo a un livello di creatività media.
  • Creare chat deterministiche (ovvero chat in cui a una determinata domanda segue una determinata risposta).

Nella creazione di immagini:

  • Generare immagini con sfondo trasparente.
  • Generare immagini ad alta risoluzione.
  • Generare immagini in serie (simili tra loro).
  • Generare immagini con testo.
  • Generare immagini con dettagli specifici (tipo mani o piedi con le fattezze di quelle umane, questa l’ho aggiunta io, ndr).
  • Generare immagini con più soggetti.

Il modo per superare questi limiti è semplice: utilizzare dei tool specifici già ora presenti sul mercato, oppure attendere qualche mese l’uscita di una nuova versione dell’IAG che utilizziamo per generare i contenuti.




 

IndianAI Jones.

Indiana Jones 5 è una ottima anteprima di come saranno a breve i film scritti, girati e interpretati dall’Intelligenza Artificiale.

Piccolo Spoiler: nonostante abbia ormai superato gli ottant’anni, nei primi 25 minuti del film Harrison Ford interpreta un “giovane” Indiana Jones di 45 anni che cerca di scappare dai Nazisti.

Questo gap temporale è stato reso possibile da una tecnologia nota come Deaging che permette di ringiovanire un attore o una attrice. Tecnologie come questa o come il Deep Fake permettono potenzialmente di fare film con versioni giovani di attori anziani se non addirittura defunti.

🤠 In pratica grazie all’Intelligenza Artificiale potremo continuare a vedere film di Indiana Jones con il volto di Harrison Ford anche quando l’attore, un domani, non ci sarà più.

Ma quello che rende Indiana Jones 5 così “artificiale” non riguarda solo gli attori ma soprattutto la sceneggiatura.

Una sceneggiatura che avrebbe potuto scrivere anche ChatGPT: molto poco originale e molto ricca di cliché, ripetizioni e auto-citazioni a film precedenti della saga (ne ho contate almeno 20).

Sembra che abbiano chiesto a ChatGPT di prendere i primi quattro capitoli di Indiana Jones dicendogli di scrivere un quinto capitolo mischiando trame e scene di quelli precedenti.

E poi c’è la non-accuratezza storica, tipica di ChatGPT ma che a ChatGPT si può perdonare vista la giovane età della macchina (e visto che è sempre più preciso), mentre a uno sceneggiatore meno. Come il Tempio di Segesta che ritroviamo invece a Siracusa. Ovvio, è un film di fantasia. Però se si cita una città specifica perché allora non essere specifici?

Di film così “artificiali” ne vediamo e ne vedremo sempre di più. Film che ci danno l’impressione di averli già visti, con sceneggiature scontate, ambientazioni pompose rifatte in post produzione, cliché narrativi e attori dai volti posticci.

Mi chiedo il senso. Sopratutto se sono film con budget da centinaia di milioni di dollari.

Forse converrebbe spendere qualcosa meno in Intelligenza Artificiale (effetti speciali e post-produzione) e qualcosa in più in Creatività Umana (sceneggiatura e idee).




 

AiLONE.

Secondo diversi studi la mancanza di relazioni sociali potrebbe aumentare le nostre probabilità di morire prematuramente. L’isolamento sociale è infatti associato a un aumento del 29% del rischio di malattie cardiache e del 32% del rischio di ictus.

E su questo l’Intelligenza Artificiale Generativa non penso possa aiutarci, anzi potrebbe peggiorare la situazione.

Se da una parte sono convinto dell’utilità dell’Intelligenza Artificiale per migliorare la nostra produttività, scoprire nuove cure, ridurre i lavori routinari o rischiosi per l’uomo, accelerare i nostri processi creativi e aiutarci a lavorare meno meglio, dall’altra parte sono altrettanto convinto che questa tecnologia non potrà mai sostituire l’essere umano nelle nostre relazioni sociali.

Pensiamo ai Social Media. Sebbene siano nati come strumenti per connetterci e farci sentire meno soli, sono sempre di più gli studi che dimostrano come eliminare o ridurre l’utilizzo dei Social Media abbia un impatto positivo sulla nostra autostima e sul nostro benessere mentale (ovvero meno li usiamo e meglio stiamo).

Come scrive Scott Gallaway nella sua ultima newsletter, dall’esplicativo titolo “AiLONE“, con l’Intelligenza Artificiale Generativa potremmo correre lo stesso rischio.

Già oggi esistono molti servizi sociali basati su IA: Psicologi virtuali, fidanzate e fidanzati virtuali, amici virtuali, e persino versioni di sé virtuali con cui chattare.

Grazie a tecnologie come Replika o CallAnnie infatti, film fantascientifici come “HER” si sono trasformati in scienze fantastiche con cui possiamo interagire ventiquattr’ore al giorno sette giorni su sette.

Tuttavia questi strumenti non solo non ci aiutano a sentirci meno soli ma potrebbero anche darci l’illusione di non esserlo. Potrebbero darci l’illusione di essere sempre ascoltati, di avere migliaia di amici e di essere sempre al centro dell’attenzione. E soprattutto, l’illusione della compagnia senza le responsabilità dell’amicizia.

Così che non solo ci sentiamo depressi ma in più non riusciamo neanche a capire perché lo siamo.

Il ché mi ha ricordato una vignetta che avevo letto qualche anno fa sull’Internazionale in cui c’erano due esploratori in mezzo a una giungla intenti a dare un computer portatile a un aborigeno.

Mentre glielo consegnano un esploratore dice: «Vi abbiamo portato una connessione con il mondo moderno»

E poi, l’atro esploratore aggiunge: «Il mese prossimo torniamo con gli antidepressivi»

Morale: Se vogliamo vivere più a lungo, usiamo la tecnologia e amiamo le persone, perché il contrario non funziona mai.




 

300 milioni di posti di lavoro.

Secondo il report “The Potentially Large Effects of Artificial Intelligence on
Economic Growth” rilasciato da Goldman Sachs qualche giorno fa, l’Intelligenza Artificiale Generativa potrebbe esporre all’automazione l’equivalente di 300 milioni di posti di lavoro a tempo pieno.

Questa una sintesi di GPT:

L’intelligenza artificiale (IA) generativa possiede un notevole potenziale per automatizzare rapidamente diverse attività lavorative, permettendo così di ridurre i costi legati al personale e incrementare la produttività complessiva.

Attualmente, circa due terzi delle occupazioni negli Stati Uniti e in Europa sono esposti a un certo grado di automazione basata sull’IA, e si stima che l’IA generativa possa arrivare a sostituire fino a un quarto dei lavori attuali. A livello globale, questa tecnologia potrebbe automatizzare l’equivalente di ben 300 milioni di posti di lavoro a tempo pieno.

Storicamente, l’automazione ha portato alla creazione di nuove opportunità lavorative, compensando la dislocazione dei lavoratori e favorendo la crescita dell’occupazione nel lungo periodo grazie alle innovazioni tecnologiche. La combinazione di risparmi sui costi del lavoro, creazione di nuovi posti di lavoro e aumento della produttività per i lavoratori non sostituiti dall’automazione potrebbe generare un vero e proprio boom produttivo e una crescita economica significativa.

Si stima che il contributo dell’IA alla produttività del lavoro globale potrebbe potenzialmente incrementare il PIL mondiale annuo del 7%. L’impatto economico dell’intelligenza artificiale dipenderà dalle sue reali capacità e dai tempi di adozione, ma se l’IA generativa dovesse essere all’altezza delle aspettative, il suo potenziale economico sarebbe davvero enorme.

In conclusione, è fondamentale monitorare attentamente l’evoluzione dell’IA generativa e le sue possibili applicazioni nel mondo del lavoro, al fine di cogliere le opportunità offerte da questa rivoluzione tecnologica e garantire una crescita economica sostenibile e inclusiva.




 

Prompt, chi parla? Si comincia.

Ieri sono iniziate le prime classi del corso “Prompt, chi parla?”. Siamo tantissimi. Tutti pronti a diventare dei Prompt Designer e mettere l’Intelligenza Artificiale Generativa al servizio della propria creatività (e non viceversa).

In questa schermata Federico Favot sta spiegando lo SCAMPER una delle tecniche di creatività che più si prestano per fare brainstorming con chatGPT.

Nel primo modulo abbiamo visto dove GPT funziona bene e dove funziona meno bene, come avere le giuste idee per costruire applicazioni basate su Intelligenza Artificiale Generativa e alcune estensioni per migliorare e affinare gli output di chatGPT.

Ma soprattutto abbiamo lavorato sul mindset che serve per utilizzare l’IA Generativa perché sarà sempre più una commodity (tutti la utilizzeranno), quello che farà la differenza non sarà quindi QUALE tecnologia utilizzeremo ma COME la utilizzeremo.

Dopo Internet e i Social Media, l’Intelligenza Artificiale Generativa è la prossima grande rivoluzione digitale, e il Prompt Designer sarà il lavoro del futuro.




 

Quale sarà il futuro della comunicazione con l’avvento dell’IA?

Ne ho parlato dal palco di “Transforming tomorrow”, l’evento promosso da GS1.

In sintesi penso che grazie all’Intelligenza Artificiale Generativa avremo due vantaggi. Uno che possiamo definire “Quantitativo” e uno “Qualitativo”.

Quello quantitativo è dato dalla possibilità, grazie all’Intelligenza Artificiale Generativa, di aumentare la nostra produttività delegando alla macchina dei compiti, ripetitivi e automatizzabili, che prima venivano fatti dall’uomo, così che le persone possano investire il proprio tempo in lavori più gratificanti e più in linea con il proprio talento, e le aziende possano aumentare la propria marginalità.

E quindi fare qualcosa che facevamo anche prima, ma in meno tempo.

Possiamo per esempio delegare a una macchina la stesura di articoli di medio livello o creatività standard per realizzare campagne di comunicazione in molto meno tempo e dedicarci invece alla scrittura di articoli o concept creativi più elevati.

Quello qualitativo invece è dato dalla possibilità, grazie all’Intelligenza Artificiale Generativa, di sviluppare prodotti o servizi molto più originali.

E quindi fare qualcosa che prima non si poteva fare.

Grazie all’IA quindi, in futuro la comunicazione sarà:

  1. Personalizzata, potremo realizzare contenuti personalizzati al 100% sulla nostra target audience così da aumentare il tasso di coinvolgimento e conversione.
  2. Conversazionale, grazie ai chatbot, basati per esempio su GPT, potremo dialogare con prodotti e Brand.

La vera sfida per le agenzie e i creativi non sarà il vantaggio quantitativo ma quello qualitativo.

Oggi infatti non abbiamo un gap di tecnologia ma un gap di immaginazione. Abbiamo una tecnologia che non ha pari nella storia, ora dobbiamo essere abbastanza creativi da trovare modi nuovi di usarla.




 

Riconoscimento facciale.

Nello Stato di A, descritto all’interno del romanzo T.E.R.R.A., i volti delle persone avevano la stessa funzione che, nel vecchio mondo, avevano le targhe delle automobili. Dovunque una persona si trovasse, erano in grado di identificarla grazie a una sofisticata tecnologia di riconoscimento facciale basata su Intelligenza Artificiale. Nella nostra realtà non è ancora così ma la direzione potrebbe essere questa.

Già nel gennaio 2015, sul Wall Street Journal, le giornaliste Elizabeth Dwoskin e Evelyn M. Rusli, scrissero un interessante articolo su come la tecnologia fosse in grado, grazie al riconoscimento facciale, di identificare una persona e di riconoscere le emozioni che quella persona stava provando attraverso la scansione dei suoi occhi e dei suoi muscoli facciali. Uno studio più recente invece, fatto da un team di ricercatori della HSE University e Open University for the Humanities and Economics di Mosca, ha dimostrato come un software basato su Intelligenza Artificiale partendo da un selfie, sia in grado di esprimere giudizi sulla personalità di un individuo che risultano più accurati di quelli fatti da un umano. Negli ultimi cinque anni, la tecnologia per il riconoscimento facciale si è molto evoluta e, grazie a sistemi sempre più sofisticati di Machine Learning e Intelligenza Artificiale, è in grado di mappare una popolazione leggendo i volti dei propri cittadini.

Se da una parte questa tecnologia può portare benefici all’umanità, dall’altra rappresenta una grave minaccia per la libertà e la privacy di ogni singolo individuo. In qualsiasi momento e in qualsiasi luogo sarà possibile sapere dove siamo, con chi siamo e cosa stiamo provando.

Se da una parte questa tecnologia può portare benefici all’umanità, dall’altra rappresenta una grave minaccia per la libertà e la privacy di ogni singolo individuo. In qualsiasi momento e in qualsiasi luogo sarà possibile sapere dove siamo, con chi siamo e cosa stiamo provando. Se siamo arrabbiati o felici. Tristi o allegri. Rilassati o preoccupati. Inoltre, la situazione si complica e si arricchisce se, al mero riconoscimento facciale, si affianca un database composto da miliardi di ritratti fotografici, propri e di altre persone. Ogni volta infatti che postiamo una fotografia su un social network come Facebook o Instagram, ogni volta che tagghiamo una persona assegnandogli un nome, ogni volta che carichiamo una fotografia nel cloud del nostro smartphone, ogni volta che usiamo una delle tante app che trasformano i nostri ritratti mostrandoci più vecchi o sostituendo il volto di un attore con il nostro, stiamo contribuendo alla creazione di enormi database, molto spesso pubblici e accessibili a chiunque.

Ogni volta che postiamo una fotografia su un social network, ogni volta che tagghiamo una persona assegnandogli un nome, ogni volta che carichiamo una fotografia nel cloud del nostro smartphone, stiamo contribuendo alla creazione di enormi database, molto spesso pubblici e accessibili a chiunque.

Per capire meglio l’entità del fenomeno, pensiamo al caso della startup Clearview AI. Fondata nel 2017 da Hoan Ton-That e finanziata da Peter Thiel, il co-fondatore di PayPal, Clearview AI ha sviluppato un accurato sistema di riconoscimento facciale che è oggi utilizzato da molte istituzioni e aziende americane, dalla New York State Police all’ufficio tecnico della Casa Bianca, per identificare i volti, e quindi le identità, delle persone. L’algoritmo di riconoscimento facciale sviluppato da Hoan Ton-That risulta particolarmente efficace per tracciare l’identità di persone incensurate.

Nel febbraio 2020, per esempio, l’Indiana State Police riuscì a risolvere un caso di omicidio in 20 minuti grazie all’utilizzo di Clearview AI. Durante una lite, una persona sparò ad un’altra persona uccidendola. La scena fu ripresa da una videocamera di sorveglianza, ma, essendo l’omicida incensurato, la polizia non fu in grado di identificarlo. Grazie a Clearview AI però, riuscirono a scoprirne l’identità e catturarlo. La particolarità di Clearview AI infatti non sta tanto nel suo algoritmo quanto nel suo database che conta tre miliardi di fotografie. Per avere una stima più accurata della vastità di questo database basta pensare che quello dell’Fbi conta 411 milioni di fotografie, quello della polizia della Florida 47 milioni e quello della polizia di Los Angeles solo 8 milioni. Tre miliardi è un numero sorprendente, ma quello che è ancora più sorprendente, è che per costruire il suo database, Clearview AI ha attinto unicamente da materiale pubblico. Ovvero fotografie, video e informazioni accessibili a chiunque, scaricate da social media e siti Internet. E proprio in questo processo emerge uno dei punti chiave del riconoscimento facciale: la privacy e, più in particolare, il consenso.

E proprio in questo processo emerge uno dei punti chiave del riconoscimento facciale: la privacy e, più in particolare, il consenso.

In un recente studio, i ricercatori Deborah Raji e Genevieve Fried hanno analizzato 133 dataset, creati tra il 1976 e il 2019, contenenti quasi 150 milioni di immagini per comprendere l’evoluzione del consenso all’utilizzo dei propri ritratti fotografici. Raji e Fried hanno diviso la loro ricerca in quattro periodi storici: 1) Early Research Findings (1964 – 1995); 2) Commercial Viability as the “New Biometric” (1996 – 2006); 3) Mainstream Development for Unconstrained Settings (2007 – 2013) e 4) Deep Learning Breakthrough (2014 – 2020). Se nel primo periodo il consenso al trattamento delle fotografie era pari al 100% e i dataset erano composti da ritratti di persone consenzienti e consapevoli, oggi il consenso è sceso a meno del 10% e i dataset sono per lo più realizzati attraverso la raccolta di fotografie pubblicate sul web o sui social media.

Oggi la situazione sta conoscendo un ulteriore cambio di direzione. Nell’ultimo anno infatti tanto le persone quanto le istituzioni sembrano (finalmente) dare maggior peso all’importanza della privacy. Riprendendo il caso di Clearview AI, da Maggio 2022, secondo un accordo con l’American Civil Liberties Union depositato presso un tribunale dell’Illinois, l’azienda di riconoscimento facciale non potrà più vendere il suo database di volti ad aziende ed enti privati statunitensi.

Fonti:

  1. Elizabeth Dwoskin e Evelyn M. Rusli, The Technology that Unmasks Your Hidden Emotions, The Wall Street Journal, https://www.wsj.com/articles/startups-see-your-face-unmask-your-emotions-1422472398, 28 gennaio 2015.
  2. National Research University Higher School of Economics, Artificial intelligence can make personality judgments based on photographs, Tech Xplore, https://techxplore.com/news/2020-05-artificial-intelligence-personality-judgments-based.html, 22 maggio 2020.
  3. Ryan Mac, Caroline Haskins, Logan McDonald, Clearview’s Facial Recognition app Has Been Used By The Justice Department, ICE, Macy’s, Walmart, And The NBA, BuzzFeed, https://www.buzzfeednews.com/article/ryanmac/clearview-ai-fbi-ice-global-law-enforcement, 27 febbraio 2020.
  4. Kashmir Hill, The Secretive Company That Might End Privacy as We Know It, The New York Times, https://www.nytimes.com/2020/01/18/technology/clearview-privacy-facial-recognition.html, 18 gennaio 2020.
  5. Sul loro sito, https://clearview.ai/, la startup dichiara: Clearview AI searches the open web. Clearview AI does not and cannot search any private or protected info, including in your private social media accounts. Consultato nel marzo 2020.
  6. Inioluwa Deborah Raji, Genevieve Fried, About Face: A Survey of Facial Recognition Evaluation, https://arxiv.org/pdf/2102.00813.pdf, 2021
  7. Caroline Haskins, Controversial facial recognition company Clearview AI banned from selling face database to private US businesses, Insider,  https://www.businessinsider.com/clearview-ai-facial-recognition-lawsuit-us-businesses-private-companies-2022-05?r=US&IR=T, 9 Maggio 2022

 




 

F(ai)ke News.

Robotrump è una serie di testi generati da un software di intelligenza artificiale che riproduce finti testi di Trump. Il problema è che il software è talmente sofisticato che, seppur finti, i testi sembrano veri. Tanto che nessuno riesce a distinguere un testo vero di Trump da uno finto.

E questo apre degli scenari inquietanti, perché un conto è che l’intelligenza artificiale faccia qualcosa che prima facevamo noi (ovvero automezzi dei lavori). Diverso se l’intelligenza artificiale diventa qualcosa che prima eravamo noi (ovvero si sostituisce a noi senza che le persone possano coglierne la differenza).




 

L’AI per superare il “paradosso della scelta”.

Questa slide, presa dal report del The Future Today Institute dedicato all’Intelligenza Artificiale, mette in luce uno dei campi di applicazione più interessanti per l’AI: aiutarci a scegliere.

Oggi viviamo un’epoca di straordinaria complessità dove abbiamo molte più possibilità rispetto al passato. Da quale vestito indossare per il nostro matrimonio a dove investire i nostri soldi o quale scelte professionali fare, le opportunità sono sempre di più e più possibilità abbiamo, più scegliere diventa difficile.

Tanto che nel suo libro, “Il paradosso della scelta”, Barry Schwartz individua due lati oscuri di avere troppe possibilità di scelta:

  1. Troppe possibilità possono paralizzarci. Di fronte a troppe scelte, scegliamo di non scegliere.
  2. Troppe possibilità ci rendono costantemente insoddisfatti e delusi. Continuiamo a chiederci se abbiamo fatto la scelta giusta e ci concentriamo sui lati negativi della scelta che abbiamo fatto. Abbiamo troppe aspettative e questo ci rende delusi, in primis di noi stessi, perché pensiamo che sia colpa nostra, pensiamo che non siamo stati in grado di fare la scelta giusta.

All’interno di questo scenario, l’intelligenza artificiale può aiutarci molto (a patto che manteniamo noi il controllo sulle nostre scelte…), filtrando per noi variabili che potrebbero non essere in linea con la nostra strategia o il nostro volere. Gli esempi in questo senso sono molti. Dalle raccomandazioni (il classico: Se hai scelto questo potrebbe piacerti anche questo) a startup come “VUniverse” che utilizza l’Intelligenza Artificiale per aiutare le persone a scegliere quale programma o film guardare.




 

Arte artificiale.

Il 5 Aprile del 2016 ad Amsterdam, di fronte a una folla di curatori e appassionati d’arte, è stato svelato il primo Rembrandt-Non-Rembrandt. Un ritratto di un uomo, leggermente di profilo con un largo cappello nero che gli ingombra il vis, due profondi occhi scuri e un pizzo biondi che poggia appena su un largo collare in pizzo bianco. Il ritratto ha tutte le caratteristiche dello stile tipico del pittore olandese. Tuttavia, quel ritratto non è stato fatto da Rembrandt ma da un suo clone virtuale.

Tutto ha inizio qualche anno prima quando un gruppo di ricercatori alla Microsoft e alla Delft University of Technology, sono dell’idea di avere abbastanza dati per permettere a un algoritmo di imparare a dipingere come Rembrandt. Come racconta Marcus Du Sautoy ne “Il codice della creatività”, Ron Augustus, lo specialista della Microsoft che aveva lavorato sul progetto, era convinto che Rembrandt stesso avrebbe approvato il loro tentativo: «Stiamo usando la tecnologia e i dati come Rembrandt usava i suoi colori e i suoi pennelli per creare qualcosa di nuovo». Il team ha studiato in tutto 346 dipinti, creando 150 gigabyte di immagini digitalizzate da analizzare. I dati raccolti includevano l’individuazione di cose come il sesso, l’età e la direzione della testa dei soggetti di Rembrandt, nonché un’analisi più geometrica di vari punti chiave dei volti.

Il progetto ha fin da subito una eco globale, su Twitter si contano più di dieci milioni di menzioni su Twitter nei primi giorni dell’esposizione. Ed effettivamente l’opera realizzata dalla macchina è notevole, tanto che a un primo sguardo è facile scambiarla per un vero Rembrandt. Tuttavia il progetto viene ferocemente bocciato dalla critica di settore.

Sul Guardian, Jonathan Jones scrive: «Che spregevole prodotto della nostra strana epoca, in cui i migliori cervelli si dedicano alle “sfide” più stupide, la tecnologia viene usata per cose per cui non andrebbe mai usata e tutti si sentono obbligati ad applaudire i risultati senz’anima per la riverenza che abbiamo verso tutto ciò che è digitale.» Per poi aggiungere: «Solo vivendo la vita di Rembrandt qualcuno o qualcosa potrebbe sperare di creare l’arte di Rembrandt. Come può un computer replicare l’umanità del ritratto di Rembrandt della sua amante Hendrickje Stoffels? Dovrebbe prima andare a letto con lei. Dovrebbe anche sperimentare la peste, la povertà, la vecchiaia e tutte le altre esperienze umane che rendono Rembrandt ciò che era e la sua arte ciò che è.»

Tutto questo accadeva sei anni fa. Da allora l’Intelligenza Artificiale sta facendo passi da giganti. Anche nell’ambito della creatività. Oggi i robot sono in grado di scrivere brevi romanzi, sceneggiature di film, articoli, testi pubblicitari e persino barzellette.

Sono inoltre in grado di comporre musica e canzoni (come l’orecchiabile e dalle influenze Beatles “Daddy’s car”, sempre del 2016), o generare immagini e opere d’arte.

Non è da escludere dunque che quello che è successo con Rembrandt, succeda un domani con molti altri artisti. Essere riportati in vita da altererò virtuali capaci di generare nuove opere in pochi secondi. In un futuro, neanche tanto remoto, potrebbe esserci un Picasso virtuale che sforna migliaia di quadri o disegni ogni anno. E magari avranno anche un mercato o qualcuno potrebbe scambiarli per opere originali. Possibile, probabile direi. Già adesso, in pochi secondi con DALL-E si possono generare migliaia di illustrazioni “alla Picasso”, come queste che ci siamo divertiti a fare in Oblique:

Quello che però è altrettanto probabile è che una macchina, per quanto intelligente e sofisticata, non sarà mai in grado di vivere la vita di Picasso e quindi vivere tutte quelle esperienze drammatiche, profonde ed eccitanti che hanno portato alla nascita di capolavori come Guernica.

Una macchina può riprodurre un’opera di Picasso come Guernica, ma non potrà mai vivere le esperienze che hanno portato all’ideazione a alla creazione di Guernica.

E la differenza tra un artista reale e un artista virtuale starà proprio in questo: vivere una vita da artista e non solo produrre opere come un artista. Quello che farà veramente la differenza sarà il concetto, l’idea e il percorso che porterà a un’opera e non l’opera in sé. Oggi nell’arte contemporanea è già così. Ma più l’arte sarà artificiale e riproducibile, più il valore aggiunto sarà dato da quello che l’opera rappresenta. La sua storia, la sua vita.




 

Quoziente intellettivo artificiale (QIA).

Ad oggi ChatGPT ha raggiunto un Quoziente intellettivo totale di 89 con picchi fino a 115 in ambiti come la velocità computazionali. Un QI pari a 89 è considerato un QI medio, forse medio basso, ma comunque superiore a circa il 23% delle persone che hanno fatto questo test e comunque un QI che permette di fare circa il 70% dei lavori.

Di fronte a questi dati e soprattutto di fronte alla velocità con cui macchine come ChatGPT diventano sempre più intelligenti ha ancora senso considerare il quoziente intellettivo come una valore distintivo dell’essere umano?

Forse no. Forse avrebbe senso puntare su altri quozienti, primo fra tutti il quoziente di adattabilità. O altre intelligenze, come l’Intelligenza Intrapersonale o quella Interpersonale.

Lo stesso vale per la scuola. Nel momento in cui un’Intelligenza Artificiale è e sarà sempre di più in grado di superare con facilità esami come il BAR per gli avvocati o il SAT, questi avranno ancora valore? Oppure dovremo inventarci nuove forme di valutazioni, meno quantitative e oggettive e più qualitative e soggettive?




 

AI Pop.

Che un’intelligenza artificiale fosse in grado di darmi informazioni dettagliate su una canzone (in questo caso “Blitzkrieg Bop” dei Ramones) me lo aspettavo. Tecnologie come ChatGPT saranno l’evoluzione del motore di ricerca per come lo conosciamo oggi.

Ma che una macchina fosse in grado di prendere il testo di una canzone, riscriverlo su un argomento specifico mantenendo le metriche e il ritmo, e in più creando un ritornello uguale a quello che io avevo in mente… beh, questo mi ha lasciato senza parole.

Creatività Umana vs Creatività Artificiale: 1 a 1.

Da questa sfida nasce il video “AI POP, by rAImones” ideato in Oblique ma scritto, cantato e generato da un’Intelligenza Artificiale (chatGPT + MidJourney) partendo da “Blitzkrieg Bop” dei Ramones.




 

Hacking Artificial Intelligence.

Esce oggi la puntata di Hacking Creativity che mi ha visto ospite. Con gli autori, Federico Favot ed Edoardo Scognamiglio, abbiamo parlato di Intelligenza Artificiale Generativa e di come cambierà il lavoro del creativo (e quello di migliaia di altri professionisti).

Tra i molti punti emersi:

🖥️ La tecnologia è e sarà sempre di più una commodity. Quello che farà veramente la differenza non sarà quale tecnologia utilizzeremo ma come la utilizzeremo.

🔨 Uno dei lavori del futuro sarà il Prompt Designer: che cos’è e come diventarlo?

🤖 Un domani il mondo si dividerà in due categorie di persone: quelli che diranno alle macchine cosa fare e quelli cui le macchine diranno cosa fare. Come far parte della prima categoria?

🧠 Più l’Intelligenza Artificiale sarà “intelligente” più servirà intelligenza e creatività umana. Come e perché investire su ciò che ci rende più umani?

🌐 Tecnologie come ChatGPT o GPT-3 sono espressione di una sorta di individuo universale che si sta creando una conoscenza e una coscienza attraverso l’analisi di decenni di contenuti creati e caricati su Internet da miliardi di persone da tutto il mondo.

Ascolta la puntata su Spotify.
Ascolta la puntata su altre piattaforme.




 

TEDx: Come essere più creativi (ai tempi dei robot).

 

Un estratto dal mio TEDx del 16 Luglio 2022.

Oggi stiamo vivendo un’epoca di straordinari cambiamenti tecnologici dove la Fantascienza sta diventando sempre di più Scienza Fantastica. Un’epoca in cui stiamo passando da questa idea di futuro con i cani che girano per le strade di Hilldale guidati da un guinzaglio artificiale, a questa idea di presente in cui per le strade girano cani artificiali.

Sebbene questo possa spaventare, possa far pensare a scenari dispotici personalmente quello che più mi preoccupa non è che le macchine possano un domani pensare come l’uomo ma che l’uomo possa un domani pensare come una macchina, e quindi, di fatto smetta di pensare.

Quello che più mi preoccupa non è che le macchine possano un domani pensare come l’uomo ma che l’uomo possa un domani pensare come una macchina, e quindi, di fatto smetta di pensare.

Più l’Intelligenza Artificiale sarà “intelligente” più servirà intelligenza umana. Più, tutti noi, come specie, dovremo investire e puntare su uno dei nostri tratti più distintivi: l’intelligenza creativa.

E per farlo, per capire come coltivare la nostra “Intelligenza Creativa” condivido con voi sei parole un po’ “contro-intuitive” o, per riprendere il tema di oggi… “contro-luce”.

01. Pazienza

La prima parola è “Pazienza”. I computer non hanno pazienza. Sono stati pensati per raggiungere un risultato nel minor tempo possibile. Noi non siamo computer, il problema però è che ogni tanto pensiamo di esserlo e così tendiamo a scegliere un’idea non perché sia la migliore ma solo perché è la prima che ci è venuta in mente. In modo da evitare quel senso d’inquietudine derivante dall’indecisione e rimanere il minor tempo possibile con i nostri pensieri.

Per capire il livello (preoccupante…) cui siamo arrivati, secondo uno studio pubblicato su Science, le persone preferiscono ricevere delle piccole scariche di Elettroshock piuttosto che stare da soli con i propri pensieri…

Le persone più creative invece interagiscono con un problema più a lungo prima di provare a risolverlo, perché sono più preparate a tollerare quell’ansia che tutti noi proviamo quando non siamo ancora riusciti a venire a capo di qualcosa. Se però ci riusciamo… beh diciamo che siamo in ottima compagnia:

Albert Einstein per esempio era solito dire: «Non sono così intelligente, è solo che rimango più a lungo sulle domande.» Della stessa idea era l’attore britannico John Cleese quando sosteneva di non essere più originale dei suoi colleghi, semplicemente era in grado di rimanere sui problemi fino a quando non concepiva qualcosa di veramente originale.

Prendendo esempio da loro dunque, il secondo consiglio è: date il giusto tempo alla vostra mente per elaborare un’idea creativa.

 

02. Restrizioni

Seconda parola: “Restrizioni”. Il software che ha generato la versione “algoritmica” del paragrafo che vi ho proposto poco fa è stato allenato su una quantità di testi che un umano non sarà mai in grado di leggere. Noi abbiamo limiti. E questo è un bene, perché i limiti e le restrizioni stimolano la nostra creatività.

Ho usato la parola restrizioni ma potevo dire: problemi, limiti, difficoltà… persino crisi. Qualsiasi cosa che dia una scossa alla nostra routine. Che ci faccia andare un po’ fuori rotta.

Noi non nasciamo creativi, diventiamo creativi e se avessimo già tutto quello che ci serve la creatività sarebbe inutile. È invece molto utile quando abbiamo dei problemi da risolvere o delle restrizioni da superare. Quando siamo lontano dalla nostra routine, dal nostro lavoro abituale e soprattutto da uno dei nemici principali della creatività: la nostra confort zone.

Qui un buono spunto ci arriva da Samuel Beckett. Sebbene la sua lingua madre fosse l’inglese, lui era solito scrivere le sue poesie e i suoi testi teatrali in francese così da tenerli più semplici ed essere obbligato ad essere più creativo. Cambiare lingua infatti è un ottimo modo per superare i nostri automatismi mentali.

Il terzo consiglio quindi è: cercate ambienti lontani dalla vostra zona di confort. Datevi delle restrizioni e diversificate le vostre attività. Se fate gli avvocati, seguite un corso d’arte. Se fate gli artisti, studiate economia. Se avete un budget di 100.000 euro provate a pensare come se ne aveste 50.000 euro.

 

03. Disciplina

La quarta parola è “Disciplina”. Qui il nostro piccolo astronauta, girando per la luna ha incontrato Dalì… ok il software (che per altro si chiama propri Dalle, ma con la E) poteva ritrarlo meglio… Magari poteva osare di più con i baffi… però penso sia notevole l’intuizione (100% algoritmica) di usare il mondo come vignetta, un curatore d’arte potrebbe scriverci pagine e pagine… comunque, cosa c’entra Dalì con la disciplina?

C’entra, molto, perché Dalì era solito dire “Ho infranto il muro dell’arte con disciplina da militare”. Ed è vero. La creatività richiede tempo, dedizione e disciplina. Anzi, più il lavoro che facciamo è indisciplinato, più serve disciplina per portarlo a termine.

Potremmo dire che la creatività è immaginazione + disciplina. Serve immaginazione, libertà di pensiero e curiosità per avere nuove idee. Ma poi serve anche disciplina, rigore e concentrazione per valutare quali idee sono buone e trasformarle in qualcosa.

Quindi il quarto consiglio è: provate ad unire immaginazione e disciplina. Date spazio alla vostra curiosità e poi prendetevi del tempo per dare forma alla vostra creatività.

 

04. Concetto.

Quinta parola: “Concetto” qui il nostro astronauta è rimasto così colpito da Dalì che ha deciso di mettersi anche lui a dipingere… L’intelligenza creativa non sta nello strumento che usiamo ma nel come lo usiamo.

Guardate questo dato: 77%, è la possibilità che in un futuro neanche troppo lontano il lavoro dell’imbianchino possa essere fatto da un robot. Ora guardate quest’altro dato: 16%, questa invece è la possibilità che un domani il lavoro del pittore possa essere fatto da un robot.

Ora, pittore e imbianchino utilizzo gli stessi strumenti: i colori e i pennelli. Quello che cambia è come li usano. L’idea, il pensiero, l’elaborazione di un concetto. È questo che farà sempre di più la differenza tra un umano e una macchina.

Quindi il quinto consiglio è: al posto di usare una nuova tecnologia per fare cose vecchie, provate a usare una vecchia tecnologia per fare cose nuove. Lavorate sul concetto che elaborate non sullo strumento che utilizzate.

 

Nel momento in cui deleghiamo, come uomini, la fatica di scegliere o pensare a una macchina stiamo lentamente perdendo una delle nostre capacità più distintive: il senso critico. Stiamo scegliendo di diventare sempre meno autonomi e sempre più automi.

 

05. Senso critico

La sesta e ultima parola è forse la più importante di tutte: “Senso critico”. Già ora la nostra vita è influenzata ogni giorno da algoritmi che condizionano le nostre scelte. Nel momento in cui deleghiamo, come uomini, la fatica di scegliere o pensare a una macchina (che sia quale film guardare, o che prodotto comprare o, peggio ancora, quali informazioni leggere) stiamo lentamente perdendo una delle nostre capacità più distintive: il senso critico. Stiamo scegliendo di diventare sempre meno autonomi e sempre più automi.

Il mio ultimo consiglio è “Non fatelo!”. Coltivate il vostro senso critico, fatevi domande e non smettete mai di pensare con la vostra testa e non quella di qualcun altro o peggio ancora… di qualcos’altro.




 

Non-intelligenza.

Il pioniera dell’informatica Alan Turing, aveva una teoria, o meglio un test, per determinare se una macchina fosse in grado di pensare: possiamo definire un computer intelligente se questo è in grado di far credere a un essere umano che sta conversando con un altro essere umano, al posto che con un computer.

È un test interessante (e molto celebre). Anche quando viene usato al contrario. Ovvero per valutare la non-intelligenza di un essere umano. Come suggerisce l’autore libanese Taleb, si potrebbe dire che un essere umano è non-intelligente se è possibile replicare i suoi discorsi con un computer e far credere a un’altra persona che tali discorsi sono stati prodotti da un essere umano.

Oggi ci preoccupiamo molto delle conseguenze dell’Intelligenza Artificiale. Di cosa potrebbe accadere se un domani una macchina potesse pensare come un essere umano.

Tuttavia, la mia più grande paura non è che la macchina inizi a pensare come l’uomo, ma che l’uomo inizi a pensare come la macchina, e quindi smetta di pensare.

La nostra capacità di risolvere problemi, di prendere decisioni in situazioni complicate e non prevedibili, e di disegnare piani di sviluppo ha molto più valore di competenze puramente meccaniche come l’elaborazione di dati.

In quest’ottica, coltivare la nostra creatività e la nostra abilità di risolvere i problemi senza usare le stesse logiche che li hanno creati, diventa un fattore critico di successo per non essere sostituiti da un robot.




 

Da Clippy ad Assistant.

Per Clippy Bill Gates aveva la visione giusta, ma la tecnologia sbagliata. Oggi tutti noi abbiamo la tecnologia, ma abbiamo la visione giusta per usarla?

In un recente articolo Bill Gates scrive come l’Intelligenza Artificiale Generativa renderà qualsiasi software o computer obsoleto perché cambierà completamente l’interazione con la macchina.

«Ancora oggi amo il software come quando io e Paul Allen fondammo Microsoft. Ma, sebbene migliorato molto negli ultimi decenni, per molti versi il software è ancora piuttosto stupido. Per eseguire qualsiasi operazione su un computer, è necessario indicare al dispositivo quale applicazione utilizzare.» Scrive Bill Gate nel suo articolo, per poi aggiungere:

«Nei prossimi cinque anni la situazione cambierà completamente. Non sarà più necessario utilizzare app diverse per compiti diversi. Sarà sufficiente dire al dispositivo, nel linguaggio di tutti i giorni, che cosa si vuole fare. A seconda della quantità di informazioni che sceglierete di condividere con lui, il software sarà in grado di rispondere in modo personale perché avrà una conoscenza approfondita della vostra vita. Nel prossimo futuro dunque, chiunque sia online potrà disporre di un assistente personale [l’Agent] dotato di un’intelligenza artificiale che va ben oltre la tecnologia attuale.»

In questa prospettiva, il famigerato Clippy di Microsoft (introdotto e poi ritirato dall’azienda di Bill Gates) andava nella giusta direzione giusta, il problema era la tecnologia.

È dal 1995 che Gates parla di assistenti personali, ma fino al recente avvento dell’Intelligenza Artificiale Generativa, non si poteva parlare di veri e propri assistenti ma più che altro di chatbot – che sono un concetto molto differente. Usando la metafora di Gates potremmo dire che un chatbot come Clippy sta a un Agent come un vecchio telefono con la rotella sta a uno smartphone. Fanno entrambi telefonate, ma sono due strumenti molto diversi.

A pensarci fa un certo effetto notare come oggi chiunque di noi potenzialmente possa avere a disposizione una tecnologia più potente di quella che aveva Bill Gates vent’anni fa. Oggi infatti con Zapier o i recenti GPTs di OpenAI, possiamo creare un assistente personale allenato su un nostro Knowledge Base proprietario in pochi minuti. Così come potremo dialogare con un assistente come ChatGPT e chiedergli di creare una app per noi.

Oggi abbiamo la tecnologia per lanciare prodotti potentissimi, ma non sempre abbiamo la visione per pensarli. Più che un gap di tecnologia, rischiamo di avere un gap di immaginazione.

Il ché ci porta a una situazione opposta a quella di Gates alla fine degli anni Novanta: abbiamo la tecnologia per lanciare prodotti potentissimi, ma non sempre abbiamo la visione per pensarli. La mia impressione infatti è che oggi più che un gap di tecnologia, rischiamo di avere un gap di immaginazione.




 

Utopia o Distopia?

L’Intelligenza Artificiale Generativa sarà un bene o un male per l’umanità?

In una recente intervista Sam Altman, CEO di OpenAI, confessa di essere al contempo entusiasta e terrorizzato dalla tecnologia che la sua azienda sta creando, in primis chatGPT.

Secondo Altman ci sono diverse possibili conseguenze negative alla diffusine di chat GPT e, più in generale, all’avvento dell’Intelligenza Artificiale Generativa. Tra queste:

❌ La disinformazione su larga scala e il proliferare di Fake News.

❌ Massicci attacchi di hacker che usano chatGPT per scrivere codice.

❌ Quello che Altman definisce “hallucination problem” ovvero la possibilità che le persone prendano per vero quello che chatGPT scrive senza controllare le fonti.

❌ L’incapacità dell’essere umano di andare alla velocità della tecnologia e quindi lasciare che le macchine prendano il sopravvento.

❌ La nascita di altri player che potrebbero costruire tecnologie simili a chatGPT senza tuttavia mettere i limiti che OpenAi sta prevedendo.

❌ La scomparsa di milioni di lavori.

Tuttavia c’è anche un enorme potenziale positivo che potrebbe permettere all’Umanità di progredire grazie a questa tecnologia. Tra i principali benefici ci sono:

✅ Creare milioni nuovi posti di lavoro e aumentare la nostra produttività così da lavorare meno, meglio.

✅ Curare tutte le malattie e rendere la sanità più accessibile per tutti.

✅ Dare un’educazione molto elevata a qualsiasi bambino nel mondo arrivando a ipotizzare un insegnamento personalizzato per chiunque.

✅ Aumentare la nostra creatività e la nostra capacità di risolvere problemi.

✅ Migliorare i nostri processi produttivi.

✅ Fare nuove scoperte.

In poche parole, trasformare questa tecnologia in un “amplificatore del potenziale umano”.

La strategia di Altam per andare più nella direzione di una Utopia, e non di una Distopia alla Terminator, è di creare questa tecnologia in maniera diffusa e non centralizzata. Condividerla fin da subito così da aggiustarla, migliorarla e renderla più accessibile.

La preoccupazione maggiore di Altman infatti, non è la tecnologia in sé ma la tecnologia nelle mani sbagliate.

La tecnologia è un mezzo, quello che fa la differenza è per cosa questo mezzo viene utilizzato e soprattutto da chi viene utilizzato.

Come successo in passato con Internet e con i Social Media dunque la responsabilità di come questa tecnologia si evolverà ricade su ognuno di noi. Chiunque utilizzi chatGPT avrà la responsabilità di usarlo con consapevolezza ricordandosi che quello che ha davanti è, per usare le parole di Altman, un “reasoning engine”, uno strumento per fare ragionamenti, e non un “fact database”, un database di verità.




 

È la fine dei Social Media Manager (nella Media).

Promo.com è uno strumento incredibile. In sintesi funziona così:

1- Inseriamo l’url del nostro sito da cui PROMO in automatico prende informazioni e immagine coordinata (logo e colori).

2- Attendiamo 5 minuti (anche se in realtà sono meno…).

3- E abbiamo 30 video e immagini realizzati apposta per noi, personalizzati con brand e contenuti, e già inseriti in un calendario editoriale.

In pratica il lavoro che un Social Media Manager fa in diversi giorni, lo abbiamo pronto in meno di cinque minuti.

La qualità dei video e delle grafiche è, a mio avviso, alta.

Tuttavia la qualità delle idee creative è bassa, o meglio, è nella media. Nulla di straordinario, ma neanche nulla di così diverso dalla media dei contenuti che vedo sui social.

L’avvento dell’Intelligenza Artificiale Generativa rende necessario per chiunque lavori nel settore della creatività elevarsi lasciando alle macchine la produzione di contenuti poco originali per dedicarsi a idee più originali e innovative.

Come sempre quindi questa tecnologia non porterà via il lavoro a tutti i Social Media Manager ma solo a quelli che producono contenuti e idee nella media.

Ennesima riprova del fatto che l’avvento dell’Intelligenza Artificiale Generativa rende necessario per chiunque lavori nel settore della creatività elevarsi lasciando alle macchine la produzione di contenuti poco originali per dedicarsi a idee più originali e innovative.




 

Q Star (o Q*) e l’antica tattica della paura del futuro usata per distrarci dalle minacce del presente.

Magari è vero. Magari Q* è davvero un progetto segreto di OpenAI volto allo sviluppo di una Intelligenza Artificiale Generale (AGI) in grado di soppiantare il genere umano.

Magari davvero, come dice il padrino dell’IA Geoffrey Hinton, nel giro di cinque anni l’Intelligenza Artificiale sarà in grado di fare dei ragionamenti migliori di quelli che facciamo noi oggi.

Magari davvero Sam Altman non sa se in OpenAI abbiano creato uno strumento o una creatura.

E magari davvero i leader a capo delle principali Big Tech dell’IA sono preoccupati che questa tecnologia possa portare all’estinzione della specie umana.

Può essere, ma può anche essere che, come sostiene Andrew Ng (uno dei massimi esperti e divulgatori di IA), siamo ancora molto distanti dalla creazione di una AGI e tutto questo allarmismo sia in realtà solo un trucco delle aziende che sviluppano IA per sostenere normative che potrebbero avere un impatto negativo sulla comunità open-source e sui loro potenziali competitor.

Una tattica che ha molti precedenti storici: dopo aver raggiunto una significativa posizione dominante sul mercato, un’azienda fa di tutto per creare delle barriere all’ingresso in modo da ostacolare i concorrenti emergenti.

Tutto questo allarmismo sull’IA è in realtà solo un trucco delle aziende che sviluppano IA per sostenere normative che potrebbero avere un impatto negativo sulla comunità open-source e sui loro potenziali competitor.

Al posto di preoccuparci dell’AGI dunque, sarebbe meglio concentrarci sui veri rischi legati all’Intelligenza Artificiale Generativa che, a mio avviso, sono due:

  • Lato utilizzatori: Il rischio è che questa tecnologia venga utilizzata senza consapevolezza o per finalità sbagliate. Quando invece dobbiamo capire come funziona, cambiare la mentalità con cui la utilizziamo e metterla al servizio della nostra creatività (e non viceversa).
  • Lato produttori: Il rischio è che questa tecnologia venga sviluppata solo da una cerchia ristretta di Big Tech, creando una sorta di monopolio dell’IA. Quando invece dovrebbe essere accessibile e aperta, come è stata Internet alla sua nascita.

Questo non per fermare lo sviluppo dell’IA, ma proprio per far sì che vada nella giusta direzione: l’evoluzione dell’essere umano, non la sua estinzione (vera o presunta).

PS: Per  approfondire, alcuni link ad articoli o interviste sul tema Q*.




 

Ai & Beruf.

C’è una parola nella lingua tedesca che mi ha sempre affascinato, “Beruf”, che vuol dire sia professione che vocazione, una sorta di “Purpose” in salsa teutonica che mi ha sempre guidato nella scelta del lavoro.

Da diversi anni ormai la mia “Beruf” si chiama Intelligenza Artificiale Generativa. La studio, la uso e ne parlo. Tanto. Non ho mai fatto così tanti talk o lezioni come quest’anno (e l’anno non è ancora finito).

Tra corsi di Prompt Design e partecipazioni ad eventi sono arrivato a una media di un talk o una lezione al giorno.

È il mio lavoro certo, ma mi piace vederla anche come una sorta di vocazione. Contribuire, come posso, a far sì che l’Intelligenza Artificiale Generativa possa essere usata nel modo migliore e con la corretta mentalità.




 

L’IA ci renderà meno intelligenti?

Tutta questa Intelligenza Artificiale ci renderà meno intelligenti? No, ma il rischio c’è.

Il nostro cervello è pigro per natura. È una questione di sopravvivenza. Il cervello è naturalmente portato a risparmiare energia così da essere pronto a utilizzarla in caso di emergenze.

Così se sappiamo, anche inconsciamente, che c’è qualcuno o qualcosa che può svolgere un compito o risolvere un problema al posto nostro allora il cervello non si attiva.

D’altra parte se siamo messi alle corde, se siamo in uno stato di urgenza, il nostro cervello è in grado di far fare al nostro corpo o far pensare alla nostra mente soluzioni che mai avremmo pensato di poter fare.

Uno dei principali utilizzi dell’Intelligenza Artificiale Generativa è quello di farci da assistente. E in questo è bravissima. Con ChatGPT per esempio possiamo crearci in pochi minuti un GPTs (una sorta di ChatGPT personalizzato secondo le nostre esigenze) in grado di assisterci su centinaia di compiti routinari o risolvere problemi per noi.

Nel XXI secolo la rivoluzione tecnologica potrebbe togliere alla persone la necessità, e quindi la capacità, di pensare. Quando c’è una macchina che può scegliere e pensare per noi, non serve più saperlo fare.

E qui arriva il rischio.

Nel XIX secolo la rivoluzione industriale ha tolto alle persone la necessità, e quindi la capacità, di fare. Quando è arrivato un telaio in grado di cucire una coperta, non è più stato necessario qualcuno che lo sapesse fare.

Duecento anni dopo, nel XXI secolo la rivoluzione tecnologica potrebbe togliere alla persone la necessità, e quindi la capacità, di pensare. Quando c’è una macchina che può scegliere e pensare per noi, non serve più saperlo fare.

E allora cosa fare? La soluzione la troviamo guardandoci alle spalle.

L’intelligenza Artificiale Generativa è una tecnologia potentissima ma non è la prima tecnologia con cui, come esseri umani, ci confrontiamo. Sono trecento anni che assistiamo alla nascita e alla diffusione di tecnologie sempre più potenti.

Quando usiamo strumenti come ChatGPT non pensiamo solo a come usarlo per fare qualcosa che facevamo anche prima, ma proviamo a sforzarci a pensare a cosa potremmo fare che un tempo non facevamo.

Tuttavia (anche se talvolta verrebbe da pensare il contrario) negli ultimi secoli non siamo diventati meno intelligenti.

Il segreto sta nel trovare nuovi problemi da risolvere: Ogni volta che una nuova tecnologia è stata in grado di risolvere un vecchio problema al posto nostro, noi esseri umani ci siamo concentrati su problemi più avanzati e complessi. E questo ci ha permesso di progredire.

Morale della storia: quando usiamo strumenti come ChatGPT non pensiamo solo a come usarlo per fare qualcosa che facevamo anche prima, ma proviamo a sforzarci a pensare a cosa potremmo fare che un tempo non facevamo.

PS: A proposito di cose che un tempo facevo IO e ora fa un’IA, l’immagine sopra è creata da DALL-E cui ho chiesto di sintetizzare questo post in un visual.

Il risultato è notevole: il passaggio da rivoluzione industriale in cui gli esseri umani lavorano, a rivoluzione digitale in cui gli esseri umani pensano, sintetizzato alla perfezione.




 

Il Prompt Designer è il lavoro del f̶u̶t̶u̶r̶o̶ presente (e c’è chi già ora offre $335k).

Nel 2022 avevo scritto un post in cui descrivevo il lavoro del Prompt Designer come uno dei lavori del futuro. Oggi, quel futuro è già arrivato e ci sono aziende che offrono salari stellari (tra i $250k e i $335k) per i Prompt Engineer o, come preferisco chiamarli io, i “Prompt Designer”.

Ma chi è il Prompt Designer?

Il Prompt Designer è un professionista con le competenze necessarie e la mentalità giusta per saper dialogare con tecnologie di Intelligenza Artificiale Generativa come chatGPT, GPT-3, DALL-E e MidJourney, così da essere in grado di generare testi, immagini e ottimizzare i processi di produzione in azienda attraverso la scrittura di “prompt”.

A differenza del programmatore il “Prompt Designer” non deve necessariamente avere competenze tecniche, anzi deve avere competenze quanto più trasversali e una mentalità creativa e versatile, come creative e versatili sono le macchine con cui deve dialogare.

È per questo motivo che al termine “Prompt Engineer” preferisco quello di “Prompt Designer” perché, di fatto, più che “ingegnerizzare”, “disegna” processi e contenuti creativi.

Etimologia a parte, la mia previsione del “Prompt Designer” come lavoro del futuro nasce da una semplice osservazione dell’evoluzione della tecnologia degli ultimi quarant’anni:

💾 Anni Ottanta:
Il computer diventa una tecnologia di massa e il programmatore è il nuovo lavoro di riferimento.

🌐 Anni Novanta:
Internet diventa una tecnologia di massa e il Web Designer è il nuovo lavoro di riferimento.

📱 Anni Duemila:
I Social Media diventano una tecnologia di massa e il Social Media Manager è il nuovo lavoro di riferimento.

🤖 Anni Venti (i nostri):
L’Intelligenza Artificiale Generativa diventa una tecnologia di massa e il Prompt Designer è il nuovo lavoro di riferimento.

Da questa idea nasce anche il corso live “Prompt, chi parla?” (che in due mesi ha registrato più di 300 iscritti) che sto tenendo insieme a Federico Favot e che ha come obiettivo proprio quello di formare i Prompt Designer del f̶u̶t̶u̶r̶o̶ presente.




 

Donne e AI.

Le donne nel mondo dell’Intelligenza Artificiale sono poche, molto poche, persino nei film.

Secondo un recente studio sono 142 i film più influenti sul mondo dell’Intelligenza Artificiale dal 1920 al 2020. Di questi in 86 compaiono uno o più ricercatori del settore IA di cui la quota rosa è pari all’8%. Oltre al fatto che nessuno dei 142 film è stato diretto esclusivamente da una donna.

La realtà non è poi così diversa dal cinema, tanto nell’IA quanto in tutte le altre discipline STEM infatti, le donne sono sotto-rappresentate e spesso in significativa minoranza.

A questo si aggiungono i molti bias che le Intelligenze Artificiali Generative (da DALL-E a Midjourney) hanno nel momento in cui viene chiesto loro di generare un’immagine che ritrae o contiene una figura di sesso femminile.




 

Punk Designer.

 

Ogni mattina mi sveglio e so che l’Intelligenza Artificiale Generativa mi stupirà con qualcosa di nuovo (e straordinario).

Come questo tool con cui ho generato una canzone da trenta secondi in stile Punk Rock sul lavoro del Prompt Designer.

Il risultato è incredibile. Sopratutto il ritornello. Si consiglia un ascolto in cuffia.

Ovviamente anche il testo della canzone è scritto dall’Intelligenza Artificiale Generativa.




 

Quoziente Umano.

Ieri OpenAi (l’azienda dietro chatGPT) ha rilasciato “AI Text Classifier” uno strumento per controllare se un testo è stato scritto da un’Intelligenza Artificiale oppure da un umano.

Questa tecnologia apre alcuni scenari interessanti: un domani i motori di ricerca saranno in grado di valutare se un testo è stato scritto da un’AI? E, nel caso, lo penalizzerà nei ranking SEO? Noi lettori svilupperemo dei Bias verso i testi generati? Li considereremo più o meno attendibili rispetto a quelli scritti da un umano?

Sono domande cui è difficile rispondere con certezza. Tuttavia, strumenti come “AI Text Classifier”, mi portano a fare un’ulteriore riflessione che non riguarda le macchine ma riguarda noi esseri umani.

La domanda che ci dobbiamo fare infatti non è se un’intelligenza artificiale sarà un domani in grado di scrivere un testo meglio di noi ma se noi riusciremo a scrivere un testo meglio di lei.

Già oggi dovremmo utilizzare “AI Text Classifier” al contrario: non per controllare i testi della macchina ma per controllare i nostri testi. Per capire se quello che scriviamo è all’altezza della nostra creatività o se invece è un comodo copia&incolla che potrebbe fare anche un robot.

L’avanzata dell’Intelligenza Artificiale Generativa è inarrestabile e su questo non possiamo farci nulla. Quello su cui possiamo fare tanto è migliorare il nostro “Quoziente Umano” lavorando ogni giorno per essere sempre più creativi e sempre più innovativi.




 

Un lavoro da inventarsi subito: Il Prompt Designer.

L’immagine qui sopra non è una fotografia. L’abbiamo usata come immagine di copertina della newsletter di Oblique di oggi dedicata al rapporto tra AI e fotografia. È stata creata utilizzando DALLE-2. Come “Prompt” gli abbiamo chiesto di generare un ritratto fotografico di una bambina di origini irlandesi con il volto cosparso di lentiggini, i capelli rossi e altri dettagli molto specifici, inclusi la grana della fotografia e l’obiettivo.

Più l’Intelligenza Artificiale sarà evoluta più serviranno persone in grado di dialogare con lei. Ora non esiste una professione dedicata a questo. Potremmo chiamarla il “Prompt Designer”. Una figura professionale in grado di scrivere Prompt da sottoporre a software basati su AI come GPT3 o DALLE2 così da farli funzionare al meglio.

Più l’Intelligenza Artificiale sarà evoluta più serviranno persone in grado di dialogare con lei. Ora non esiste una professione dedicata a questo. Potremmo chiamarla il “Prompt Designer”.

In un futuro, neanche troppo remoto, la tecnologia sarà sempre di più una commodity alla portata di tutti. Quello che farà la differenza dunque non sarà quale tecnologia utilizzeremo ma come la utilizzeremo. E questo è un tratto specificatamente umano.

Il “Prompt Designer” dovrà infatti unire competenze più tecniche come la programmazione (almeno base) per comprendere il funzionamento dell’algoritmo, a competenze più creative come il disegno o la fotografia fino all’arte, la comunicazione e il Visual Design. Ma più di tutto dovrà avere gusto e immaginazione. Entrambe Soft Skill non facili da acquisire con un percorso di studi tradizionali.




 

Libero Arbitrio Sintetico.

Secondo Wittgenstein, l’arte è uno strumento per entrare nella mente dell’altro. Per vedere l’invisibile. Ed effettivamente per le persone è così. Attraverso le opere di grandi artisti possiamo capire la loro indole più nascosta. La loro psiche, i loro traumi e le loro speranze.

Mi domando se un domani potrà valere la stessa regola per le macchine. Nel momento in cui le macchine saranno, e in realtà già sono, basate su un’Intelligenza Artificiale Generativa e quindi in grado di generare da sole (senza alcun input umano) dei contenuti artistici o testuali, potremo pensare che anche loro avranno una sorta di libero arbitrio sintetico?

Le macchine basate su un’Intelligenza Artificiale Generativa e quindi in grado di generare da sole dei contenuti artistici o testuali, potremo pensare che anche loro avranno una sorta di libero arbitrio sintetico?

Verrebbe meno il paradigma di stampo picassiano per cui le macchine sono inutili perché sanno dare solo risposte. Oggi le macchine possono generare anche domande, e magari un domani inizieranno anche a farsele.




 

Kids Lightyear.

Il nuovo film della Disney/Pixar, Lightyear – La vera storia di Buzz, è consigliato a un pubblico 6+, tuttavia deve essere un pubblico 6+ che abbia competenze di Diversity, Intelligenza Artificiale, Fisica e Psicologia.

Per capire il film infatti bisogna sapere che:

  • Una donna può sposare un’altra donna e con lei può avere dei figli.
  • Per la teoria della relatività generale più andiamo veloci più il tempo scorre lentamente e quindi meno si invecchia.
  • Grazie alle ultime tecnologi basate su Intelligenza Artificiale potremo un domani avere dei sentimenti di affetto anche per un gatto-robot in grado di capirci e aiutarci a superare dei traumi.
  • Come ci ricorda Freud noi stessi possiamo essere il nostro nemico.

Sono tutti temi importanti e attuali, tuttavia non è scontato che un bambino o una bambina di sei anni li padroneggi.




 

A(i)ddestratori.

Come scrive Marcus Du Sautoy ne “Il codice della creatività” il salto quantico dell’Intelligenza Artificiale è avvenuto con i passaggio da una AI “top-down” a una “bottom-up”: «Negli ultimi anni è emerso un nuovo modo di pensare il codice: un passaggio dall’abitudine a programmare dall’alto, top-down, a un tentativo di lasciare che sia il computer stesso a tracciare dal basso, bottom-up, il proprio cammino. […] La strategia bottom-up dunque, che consente all’algoritmo di creare il proprio albero decisionale sulla base dei dati di addestramento, ha cambiato ogni cosa. Il nuovo ingrediente che ha reso possibile questo progresso è la mole di dati visivi etichettati che oggi sono presenti sul web. Ogni immagine che pubblicate su Instagram assieme ai vostri commenti fornisce dei dati utili per accelerare l’apprendimento. […] Come mai, se le cose stanno così, vi viene ancora chiesto, per dimostrare che siete umani, di identificare dei frammenti di immagine quando volete comprare i biglietti per l’ultimo spettacolo. In realtà, quello che state facendo è aiutare a preparare i dati di addestramento che verranno quindi sottoposti agli algoritmi in modo che possano imparare a fare quelle che voi fate senza nessuno sforzo. Gli algoritmi hanno bisogno di dati etichettati da cui imparare; quando utilizziamo questi siti, quindi, stiamo di fatto addestrando gli algoritmi nel riconoscimento visivo.»

Ed è vero. Ogni volta che carichiamo un contenuto online, ogni volta che dimostriamo di essere degli umani selezionando le biciclette in un’immagine, ogni volta che commentiamo con un cuoricino un film o una canzone, ogni volta che scegliamo un’informazione piuttosto che un’altra, stiamo addestrando un’Intelligenza Artificiale a vedere e comprendere il mondo come noi lo vedremmo o lo comprenderemmo.




 

La necessaria fatica di essere creativi ai tempi dell’AI.

«Se io dipingo un cavallo selvaggio, magari non vedrete il cavallo ma senz’altro vedrete il selvaggio.» diceva Pablo Picasso, ed effettivamente l’artista spagnolo aveva questa capacità: ritrarre l’invisibile.

L’intelligenza Artificiale non è ancora a questo livello, ma tanto sul disegno quanto sulla creatività già oggi è in grado di raggiungere risultati straordinari.

Software basati su Intelligenza Artificiale possono scrivere barzellettearticoli, storie o brevi sceneggiature di film, creare immagini, comporre musica e forse, un domani neanche troppo lontano, saranno in grado di ritrarre anche loro quel che non si vede.

L’esempio più straordinario sono le Generative Adversarial Networks (GANs) e, in particolare, progetti come DALL-E 2, un sistema basato su Intelligenza Artificiale che può creare immagini realistiche partendo da una descrizione testuale.

In pratica basta dirgli: “Disegna un astronauta a cavallo in uno stile fotografico” e lui genera un’immagine come quella che vedi qui sotto.

Quindi? È l’inizio della fine dei lavori creativi? No, però è sicuramente l’inizio di un nuovo paradigma di creatività dove la macchina avrà un peso sempre maggiore.

Il punto è capire se noi, come umani creativi, vogliamo essere al servizio delle macchine o vogliamo servirci delle macchine. Se come ci auguriamo, opteremo per la seconda strada (servirci delle macchine) allora sarà essenziale valorizzare la nostra creatività e puntare sulla qualità e non sulla quantità.

Dovremo fare lo sforzo di andare più in profondità, di evitare testi o idee “copia/incolla”, di stare più a lungo sui problemi, di trovare soluzioni e di fare collegamenti tra discipline anche molto distanti tra di loro.

Del resto l’essenza della creatività umana è proprio questa: pensare che, non a caso, in latino si dice cogito, ovvero “cum-agito”, agitare insieme, mischiare cose, operare contemporaneamente su differenti piani e, soprattutto, essere in grado di connetterli tra di loro.

L’essenza della creatività umana è proprio questa: pensare che, non a caso, in latino si dice cogito, ovvero “cum-agito”, agitare insieme, mischiare cose, operare contemporaneamente su differenti piani e, soprattutto, essere in grado di connetterli tra di loro.

Il futuro della creatività dunque non riguarda quali tecnologie avremo ma come le utilizzeremo. Se utilizzeremo la tecnologia in modo attivo e innovativo, allora le macchine saranno uno strumento al nostro servizio. Se invece la useremo in maniera pigra e passiva, allora noi umani diventeremo uno strumento al servizio delle macchine.




 

Reinventare la lotta ai diritti.

Ho scoperto la Algorithmic Justice League perché la sua fondatrice, Joy Buolamwini, è finita sulla copertina di Fast Company come una delle Most Creative People in Business. Il suo progetto si batte per garantire i diritti civili in un presente e un futuro dominato dall’Intelligenza Artificiale.

Nel loro sito si legge: “We now live in a world where AI governs access to information, opportunity and freedom. However, AI systems can perpetuate racism, sexism, ableism, and other harmful forms of discrimination, therefore, presenting significant threats to our society – from healthcare, to economic opportunity, to our criminal justice system.”

Ed è vero. La tecnologia regola la nostra vita. I sistemi di riconoscimento facciale sono sempre più sofisticati. L’Intelligenza Artificiale dialoga con noi, ci consiglia cosa vedere o cosa leggere e, mentre lo fa, ci osserva. È importante non solo esserne consapevoli ma anche domandarsi come regolare un sistema che potrebbe un domani sfuggirci di mano.




 

Facce Digitali.

Questo sito è piuttosto impressionante. Come molti progetti basati su Intelligenza Artificiale mi suscita un misto di ansia e meraviglia. In sintesi, se gli dai accesso alla tua webcam (io gliel’ho dato… con la promessa di non raccogliere i miei dati) ti spiega passo per passo come un software di intelligenza artificiale giudica la nostra faccia. E il risultato è abbastanza inquietante.

Nulla che non sapessi, il Face Tracking è cosa nota, ma un conto è saperlo. Un conto è vederlo. Questo il risultato: per un robot io sono un uomo, con una bellezza di poco superiore alla media (5,8), di 31 anni, un indice di massa corporea sotto la media (americana) e un’aspettativa di vita di 81 anni.

Che ognuno di noi sia un generatore di dati non è una novità. Che la nostra faccia sia la nostra nuova impronta digitale non è una novità (basta pensare al riconoscimento facciale per sbloccare lo smartphone…). Il punto però non è solo la raccolta dei nostri dati ma come questi dati vengono utilizzati e, soprattutto, le conclusioni su di noi che una macchina deduce da questi dati.




 

Da Fantascienza a Scienza Fantastica.

Oggi stiamo vivendo un’epoca di straordinari cambiamenti tecnologici in cui tecnologie come l’Intelligenza Artificiale stanno trasformando la Fantascienza in Scienza Fantastica e la fantasia in realtà.

Se negli anni Ottanta “Ritorno al Futuro” immaginava cani che girano per le strade di Hilldale guidati da un guinzaglio artificiale, oggi, grazie ai cani robot della Boston Dynamics, possiamo vedere cani artificiali che girano per le nostre strade.

Se negli anni Settanta Douglas Adams nella sua “Guida galattica per gli autostoppisti” immaginava il Pesce di Babele che, se inserito nell’orecchio permetteva di comprendere istantaneamente qualsiasi lingua dell’universo, oggi possiamo infilarci nell’orecchio Google Pixel Buds e, grazie al suo traduttore, comprendere qualsiasi lingua della terra.

La Fantascienza con cui siamo cresciuti dunque sta diventano sempre di più la Scienza Fantastica con cui cresceremo e che plasmerà il mondo che vivremo e come lo vivremo.

Se negli anni Sessanta Harlan Ellison nel suo romanzo “Non ho bocca, e devo urlare” immaginava un’Intelligenza Artificiale in grado di acquisire un’auto-coscienza, oggi grazie a sistemi di elaborazione del linguaggio naturale evoluti, le macchine non possono avere un’auto-coscienza ma possono facilmente fingere di averla.

Se negli anni Cinquanta Roald Dahl nel suo racconto “Lo Scrittore Automatico” immaginava una gigantesca macchina, il Grande scrittore automatico, in grado di scrivere in quindici minuti romanzi di successo basati sulle opere di autori viventi (che diventeranno poi suoi dipendenti), oggi grazie a tecnologie come GPT3 possiamo generare interi articoli in pochi secondi.

La Fantascienza con cui siamo cresciuti dunque sta diventano sempre di più la Scienza Fantastica con cui cresceremo e che plasmerà il mondo che vivremo e come lo vivremo.




 

Una nuova idea di scuola.

Settimana scorsa Sal Khan, fondatore della Khan Academy, ha presentato in un TED il suo ultimo progetto, Khanmigo un tutor virtuale per aiutare i bambini ad apprendere qualsiasi materia attraverso un approccio maieutico-socratico (= non ti dico io la risposta ma ti aiuto a tirare fuori la risposta attraverso il dialogo e il ragionamento).

L’idea nasce dalla constatazione che avere un tutor personale sia la forma migliore di apprendimento (vedi grafico sopra) e, oggi, grazie all’Intelligenza Artificiale Generativa, chiunque può avere un tutor personale con un grado di accuratezza e metodo al pari, se non superiore, a quello di un tutor in carne e ossa, almeno secondo Khan.

Immagino già le reazioni: assurdo! nulla può sostituire l’interazione umana!

Vero, e infatti mentre guardavo il TED di Khan ho avuto un’idea, forse folle ma sicuramente realizzabile: una scuola senza le dinamiche della scuola classica.

Una scuola senza banchi, senza insegnanti, senza voti, senza verifiche, senza compiti. Una scuola dove i bambini possano crescere come persone imparando quello che i robot non potranno mai insegnarci:

L’empatia, la capacità di stare in mezzo agli altri, la leadership, la socialità, l’intelligenza emotiva, la progettazione insieme, il public speaking, la gestione delle tensioni, la diplomazia. Il tutto senza regole o processi prestabiliti. Ma giocando, inventando e stando in mezzo alle persone.

Tutto il resto, le materie più classiche, viene delegato a un tutor personale basato su IA così che lo studente o la studentessa possa imparare secondo i propri tempi, il proprio talento e le proprie attitudini.




 

Lavoratori precari (di passaggio).

Qualche settimana fa ho letto un interessante articolo su Internazionale che parlava dei molti lavoratori, spesso precari e sotto pagati, dietro all’Intelligenza artificiale.

“L’intelligenza artificiale ha bisogno di scienziati ed esperti, ma anche di schiere di operai digitali, che raccolgono il materiale didattico per i sistemi e ne sorvegliano i progressi nell’apprendimento. Questi operai digitali svolgono compiti che richiedono poca intelligenza ma che non possono essere automatizzati. Redigono legende per immagini, traducono brevi testi, valutano le traduzioni, trascrivono il parlato, digitano il contenuto di moduli compilati a mano e diagnosticano sintomi di malattie. Lavorano da soli, senza contratto e senza previdenza sociale. Non lavorano a giornata ma a minuto, perché i compiti che le piattaforme d’intermediazione digitale gli affidano spesso si possono svolgere molto rapidamente. Il loro compenso è la somma di contributi da pochi centesimi.”

È uno dei tanti lati oscuri del progresso tecnologico che non conosciamo. E non a caso viene chiamato “Ghost Work”, lavoro fantasma, perché invisibile e volutamente tenuto nascosto. Funziona così per molte delle piattaforme che usiamo ogni giorno da Google a Facebook. Tuttavia penso sia una fase di passaggio che nel bene o nel male finirà. Nel bene perché vorrà dire che molti lavoratori che oggi vengono sfruttati e sottopagati smetteranno di essere sfruttati e sottopagati. Nel male perché molti lavoratori perderanno il loro lavoro e verranno rimpiazzati da un algoritmo.




 

Analogico artificiale.

Per anni la fotografia è stata una mia passione. Anche se non sono mai riuscito a fotografare in digitale. Con il digitale si perde la bellezza di scattare una fotografia senza sapere subito come è venuta. Si perde la grana. Si perde il momento e il rumore dello scatto. Si perde il rito di sviluppare una pellicola e vederla trasformarsi sotto i tuoi occhi. Così ho smesso.

Però questa settimana mi sono divertito a ricreare degli scatti analogici con DALLE-2. E sono anche riuscito a fare uno scatto che nella realtà non sarei mai riuscito a fare. Usare una pellicola 400 ASA Kodak Tri-x sott’acqua.




 

iMirror.

In molti locali o appartamenti dello Stato di A, descritto nel romanzo T.E.R.R.A., è possibile trovare gli iMirror, specchi dotati di intelligenza artificiale che modificano le immagini riflesse per dare l’illusione alla persona che si specchia di essere più in linea con i canoni estetici del tempo e quindi sentirsi più accettata.

Oggi gli iMirror non esistono, ma esistono i Social Media ed esistono i filtri che le persone utilizzano per modificare i selfie o le fotografie che ogni giorno postano sui propri profili. Questo fenomeno è talmente diffuso che esiste un termine, Yassifare, che indica l’atto di alterare artificiale un’immagine, generalmente il ritratto di una persona, attraverso l’utilizzo di una massiccia quantità di filtri che eliminano le imperfezioni e standardizzano i lineamenti. Uno degli esempi più famosi di questa pratica è l’account Twitter YassifyBot dove il suo fondatore condivide con quasi 200.000 follower immagini yassificate di quadri e personaggi famosi.

Yassifare indica l’atto di alterare artificiale un’immagine, generalmente il ritratto di una persona, attraverso l’utilizzo di una massiccia quantità di filtri che eliminano le imperfezioni e standardizzano i lineamenti.

Di per sé, la Yassify non sorprende. Tra Social Media, Selfie, Photoshop e culto dell’apparenza era scontato che si arrivasse a una percezione artefatta dell’estetica, tanto che oggi i filtri di bellezza sono l’applicazione più diffusa della realtà aumentata. Con tutte le implicazioni negative che questo comporta. Dalla Dismorfia (l’eccessiva preoccupazione per un difetto fisico non presente o solo leggermente osservabile dagli altri) alla frustrazione e all’ansia generate dal non sentirsi all’altezza degli standard di bellezza che vediamo sui Social Media.

Quello che sorprende però, è come si stia contemporaneamente diffondendo un fenomeno opposto alla Yassify: il bisogno di “Realness”. Se da una parte infatti le persone rendono i propri ritratti più artefatti e irreali, dall’altra grandi Brand e case di moda fanno di tutto per sembrare più genuini e reali.

Se da una parte le persone rendono i propri ritratti più artefatti e irreali, dall’altra grandi Brand e case di moda fanno di tutto per sembrare più genuini e reali.

Nascono così trend come i Genuinfluencers, influencer che puntano ai contenuti più che all’apparenza, o lo Scheumorfismo digitale, software e applicazioni che imitano il mondo reale, o ancora piattaforme come il “Anti Selfie Selfie Club” Poporazzi o il social network BeReal dove condividere la propria vita reale senza filtri. Alcuni brand inoltre stanno abbandonando i servizi fotografici patinati optando per testimonial e location più inclusivi e vicini alle persone. Come nel caso di Victoria’s Secret che per una delle sue ultime campagne ha scelto sette donne più famose per il loro impegno che per il loro aspetto fisico. Oppure nel caso di fenomeni come la virale tendenza di pubblicare foto brutte (ma vere) su Instagram.

Le radici di questo fenomeno possono essere ritrovate in due euristiche. La prima è quella che in campo marketing viene chiamata “Mirroring”, più un Brand ci sembra simile a noi, più siamo propensi a sceglierlo. La seconda invece è la “Effort Heuristic”: in un mondo sempre più digitale, dove sempre più prodotti sono fatti artificialmente, gli oggetti e i servizi “fatti a mano da umani” con piccole imperfezioni che li rendono unici e originali, sono e saranno sempre più apprezzati.




 

Lo stato del Chatbot.

Il 2023 è stato l’anno dell’Intelligenza Artificiale Generativa e, in particolare, dei ChatBOT ovvero il volto più umano di questa straordinaria tecnologia. Nell’ultimo anno ne sono usciti parecchi e in Prompt Design li abbiamo provati tutti. Questa la mia personale classifica:

1. ChatGPT 4 (OpenAI):
In assoluto il migliore. Sia come qualità dell’output, sia per possibilità di utilizzo (dalla Data Analysis ai GPTs, DALL-E 3 e i Plugins), sia come percentuale di allucinazioni.

2. Claude 2 (Anthropic):
Una valida alternativa a ChatGPT sia per qualità del testo generato, sia per la lunghezza del prompt, sia per il costo. Oltre ad essere, come anche GPT, integrabile con Zapier.

3. PI (Inflection):
Sebbene non abbia molte funzioni e come qualità non sia all’altezza di Claude o ChatGPT, PI può essere interessante da usare sia per l’originalità dell’output sia per la sua UX.

4. Character.AI:
Ideale per creare e chattare con personaggi di fantasia. Non lo ho mai usato per altro. Però Character è un ottimo tool per creare velocemente gratuitamente chatbot.

5. ChatGPT 3.5:
Per quanto la versione gratuita di ChatGPT meriti e sia più veloce, una volta passati a ChatGPT 4, è difficile tornare indietro.

Da monitorare:

  • Mistral 7B, in quanto europeo (francese) e open source.
  • Grok, anche se nutro molti dubbi.
  • Llama 2 di META, perché sta migliorando molto.
  • HuggingFace, in quanto open source.
  • Google Bard, perché si integra con tutti i tool Google.

Come tool basati su linguaggi non proprietari:

1. Perplexity:
Per fare ricerche.

2. POE:
Per usare più linguaggi con un solo abbonamento.

3. Microsoft BING:
Per fare ricerche online utilizzando GPT4 e generare immagini con DALL-E 3.

4. Khanmigo:
Per studiare e fare tutoring 1:1.

Mentre per quel che riguarda le immagini, nonostante i progressi di StableDiffusion XL e DALL-E 3, per me, Midjourney rimane ancora il miglior strumento sul mercato (e infatti per l’immagine che vedi sopra ho usato MJ).




 

AI Talks.

Nel 2023 ho superato le 500 ore di formazione sull’Intelligenza Artificiale Generativa (tra classi di Prompt Design, formazione in aziende e talk).

E nel 2024 vorrei farne ancora di più!

Se per l’anno prossimo hai in programmi eventi o talk su questo tema, scrivimi una mail e parliamone volentieri.

#DaiDaiDai.




 

Prima slide 🤯 seconda slide 😱.

In questa prima slide c’è l’homepage di un sito che il nuovo tool di Polywork ha generato in pochi secondi partendo solamente dal mio profilo Linkedin. Compreso di tutto: testi, immagini, html, css e grafica (per altro niente male).

Praticamente in pochi secondi e con pochi dollari ha fatto il lavoro che un WebDesigner freelance avrebbe fatto in molte ore di lavoro.

E questo ci porta alla seconda slide:

Un recente articolo del Financial Times ha citato una ricerca in cui si evidenzia come dall’avvento di ChatGPT un anno fa, i freelance abbiano subito una riduzione sia dell’occupazione che dei guadagni.

In sintesi: I freelance lavorano meno e, quando lo fanno, vengono pagati meno rispetto a prima dell’avvento dell’Intelligenza Artificiale Generativa.

Sebbene questo dato possa spaventare, in realtà va comparato con il numero di lavori creati da questa nuova tecnologia e, soprattutto, con le potenzialità che può offrire a qualsiasi professionista.

Quindi la cosa migliore che possiamo fare oggi è imparare ad usare strumenti come ChatGPT per trasformare il modo in cui lavoriamo (non a caso, il 91% delle aziende ricerca persone che sappiano utilizzare ChatGPT.)




 

Automatizzare o Scalare.

Il modo migliore di usare l’Intelligenza Artificiale Generativa: Automatizzare o Scalare.

La fregatura sta nel mezzo. Nel saper fare un lavoro abbastanza bene da pensare di non aver bisogno di strumenti come ChatGPT, ma non abbastanza bene da poter automatizzare il proprio lavoro.

Se invece siamo estremamente competenti, se negli anni abbiamo messo a punto un nostro metodo di lavoro o abbiamo creato un Knowledge base proprietario, allora possiamo creare un Agent o un Chatbot per automatizzare una parte del nostro lavoro e trasformarla in un servizio o in un assistente per aumentare la nostra produttività.

Oppure se siamo agli inizi, se stiamo imparando una nuova professione o una nuova competenza, allora ChatGPT può aiutarci a scalare velocemente aiutandoci tanto come tutor per apprendere meglio e più in fretta quello che stiamo studiando, quanto come assistente per fare insieme a noi i primi lavori.

Più in generale infatti l’Intelligenza Artificiale Generativa è una grande opportunità per re-inventarsi come professionisti. In parte perché, proprio a causa di questa tecnologia, molti di noi dovranno farlo per evitare di uscire dal mercato. E in parte perché grazie a questa tecnologia possiamo formarci o testare nuove idee meglio e in meno tempo di quanto potevamo fare in passato.

PS: L’immagine qui sopra non è stata solo generata dall’IA ma anche pensata. Non sapendo che immagine usare per questo post infatti, ho chiesto a DALL-E: “Mi crei un’immagine per rappresentare visivamente questo post che pubblicherò domani su LinkedIn, il target dell’immagine sono manager e professionisti che usano Linkedin. Grazie!”

E come se non bastasse mi ha dato anche una spiegazione dettagliata del perché ha generato questa immagine. In sintesi: “L’immagine cerca di catturare la progressione dalla base dell’apprendimento fino al punto di vista elevato dell’automazione e dell’innovazione, risonante con l’idea che l’AI possa essere un assistente nel percorso di crescita professionale.”




 

Il godimento ci salverà!

«Ma se con l’IA possiamo generare un testo o una fotografia in pochi secondi dove sta il godimento?»

Questa è una delle domande che uno studente del Liceo Classico mi ha fatto durante l’evento “Umanesimo e Tech: il giusto binomio per superare i Limiti” promosso da Samsung.

È una domanda molto intelligente che racchiude in sé uno dei motivi per cui l’Intelligenza Artificiale non sostituirà mai l’essere umano (o almeno… non ci sostituirà mai del tutto).

L’Intelligenza Artificiale è una macchina e, come tale, è pensata per aumentare la nostra produttività e farci fare cose che magari potevamo fare anche prima, ma ci permette di farle in molto meno tempo.

Possiamo generare testi, fotografie e persino video che un tempo richiedevano giorni se non settimane in pochi secondi. Fantastico. Vero, eppure qualcosa manca.

E quello che manca è proprio quello che ha messo in luce lo studente con la sua domanda.

Manca il godimento, l’esperienza, la bellezza di fare qualcosa per il gusto di farla.

Pensiamo proprio alla fotografia. Oggi con Midjourney possiamo generare fotografie indistinguibili dalla realtà. Fotografie che, tanto per i contenuti quanto per la qualità, potrebbero vincere premi fotografici.

Però nel generare queste fotografie non potremo mai provare la bellezza di scattare una fotografia. Il godimento, appunto, del “click” della macchina fotografica, del cogliere un momento che sappiamo non tornerà più, dell’aspettare giorni prima di vedere come quella fotografia è venuta, della magia della camera oscura dove scopriamo centimetro per centimetro la pellicola.

Usiamo le macchine e godiamoci le esperienze.

Tutto questo una macchina non potrà mai darcelo.

E allora che fare?

Semplice: usiamo le macchine e godiamoci le esperienze.

Usiamo Midjourney per generare immagini fantastiche e utilissime. Ma poi riprendiamo la nostra vecchia macchina fotografica analogica, mettiamoci dentro un rullino e torniamo a goderci la bellezza di fare fotografie come le facevamo un tempo. Lunghe, faticose, inutili ma bellissime da scattare.




 

La slide del leone.

Ogni volta che provo un nuovo tool di Intelligenza Artificiale Generativa e penso:

«Va beh ma non serve a nulla»
«Ok, ma un contenuto così non posso utilizzarlo»
«Ah, ma non mi ha creato quello che mi aspettavo»
«Eh ma non è ancora perfetto»

Penso a questa slide del corso “Prompt, Chi parla?”.

Penso all’evoluzione di Midjourney tra il 2022 e il 2023. Penso al fatto che ChatGPT è stato messo sul mercato meno di un anno fa. Penso alle frase che creava GPT-2 nel 2019.

All’inizio erano tecnologie grezze. Inutilizzabili. Ma è stata solo una questione di anni, se non mesi. E adesso sono facili da usare e generano contenuti migliori di molte frasi o immagini che si trovano su Internet.

Ogni volta che scopriamo un nuovo strumento la domanda da farsi non è «Cosa possiamo fare?» ma «Cosa potremo fare?».

L’Intelligenza Artificiale Generativa va a una velocità tale che non possiamo utilizzarla con gli occhi del presente. Ma solo con gli occhi del futuro.

Ogni volta che scopriamo un nuovo strumento la domanda da farsi non è «Cosa possiamo fare?» ma «Cosa potremo fare?».

Quello che è accaduto con le immagini in un anno, accadrà a breve con i video.

Oggi i video fatti con Runway 2 sono grezzi e inutilizzabili. Ma nel giro di due anni non sarà più così e allora, cosa potremo fare che oggi non possiamo ancora fare?




 

Ottimismo consapevole.

3.. 2… 1… Eccoci qui, io e Andrea Daniele Signorelli con le facce serie pronte per lo scontro negli studi di Will Media.

In realtà non c’è stato alcuno scontro (anche se il format di Will un po’ lo prevedeva) e questa è stata una cosa molto positiva.

Il tema del dibattito era l’Intelligenza Artificiale Generativa. Io entusiasta. Andrea un po’ più critico. Abbiamo toccato moltissimi temi. Dall’impatto dell’IA sul lavoro e sulla democrazia, all’importanza della qualità dei dati, fino alla singolarità tecnologica e alla possibile estinzione del genere umano.

Sono temi importanti su cui non si può esagerare né da un lato né dall’altro. Dobbiamo essere al contempo ottimisti ma consapevoli e critici ma realistici.

Quindi niente scontro tra me e Andrea ma tantissimi spunti interessanti (oltre a un paio di consigli su come usare meglio ChatGPT).




 

IA, Dati e Consapevolezza.

Le due parole che ho sentito più volte al We Make Future sul tema Intelligenza Artificiale Generativa sono:

  • CONSAPEVOLEZZA: intesa come cultura e formazione.
  • DATI: intesi come materia prima con cui usiamo e alleniamo la nostra IA.

Ne hanno parlato tutti, da Tim Berners-Lee a Jerry Kaplan passando per Alessio Pomaro e Giorgio Tarveniti.

CONSAPEVOLEZZA:

Questa sarà la parola che influenzerà di più il futuro dell’IA (e quindi anche il nostro futuro). Oggi infatti ci troviamo a un bivio:

Strada 1: Usiamo e useremo l’IA con consapevolezza, studiando, formandoci, imparando a scrivere prompt, conoscendo come funziona, quali sono i suoi limiti e le sue opportunità.

Strada 2: Usiamo e useremo l’IA senza consapevolezza, con superficialità, scrivendo prompt poco specifici, credendo a tutto quello che ci propone, senza controllare le fonti e senza filtrare con il nostro senso critico.

Inutile dire che la prima strada ci porterà a un futuro di progresso e benessere. La seconda invece… la seconda è molto rischiosa.

E il rischio non è un futuro “distopico” governato da macchine che pensano come persone. Ma peggio ancora da un futuro “dispotico” governato da persone che pensano come macchine.

DATI:

Il concetto non è nuovo: Garbage IN = Garbage OUT. Possiamo avere la tecnologia più potente, ma se non la alleniamo con dati di qualità e se non la interroghiamo con prompt di qualità, il risultato sarà scadente, se non addirittura controproducente (ci affidiamo a una macchina senza metterla nella condizione di lavorare al meglio).

Senza dimenticarci la “P” di GPT, che sta per Pre-Trained. Ovvero un modello pre-allenato su miliardi di dati. Ma da dove vengono questi dati? Inutile dire che per il 50% provengono dagli Stati Uniti e dunque




 

AI > Crypto.

Questi due grafici mettono in luce una correlazione di cui ho sentito spesso parlare: l’ascesa dell’Intelligenza Artificiale Generativa è coincisa con il tramonto delle crypto. O almeno così sembra essere in termini di investimenti.




 

Il bello di poter essere (finalmente) imperfetti.

Settimana scorsa ho avuto il piacere di parlare di Intelligenza Artificiale Generativa applicata al settore del No-Profit in occasione del Festival del Fundraising. Il tema di questa edizione del Festival era: «IMPERFETTI essere umani che amano essere veri.»

È un concetto in cui mi ritrovo molto. Soprattutto da quando mi occupo di Intelligenza Artificiale.

Viviamo e vivremo sempre di più in un mondo in cui potremo delegare la perfezione alle macchine, mentre noi potremo concederci il lusso di fare errori e sperimentare. Perché avremo una macchina che potrà poi perfezionare quello che abbiamo fatto.

L’imperfezione diventerà così un tratto tipico dell’essere umano.

Mi sento di spingermi fino a dire che un domani potremmo andare alla ricerca degli errori. In un libro, in un film o in un testo. Cercheremo segnali di un passaggio umano. Di qualcosa che ci faccia sentire tutti parte della stessa specie. Magari guarderemo con sospetto, o quanto meno con distanza, qualcosa o qualcuno di troppo perfetto. Potremmo arrivare a dire con un misto di sdegno e tracotanza: «Ma dai! questo poteva farlo anche un robot!»

Invece qualcosa di imperfetto no. Quello potremo farlo solo noi. I robot magai potranno simularlo se glielo chiederemo. Ma sarà una Fake Imperfection. Si vedrà. E quindi ci farà storcere il naso. Le macchine del resto vengono costruite per essere perfette e non fare mai errori. Anche perché gli errori delle macchine di per sé non portano a molto. I nostri errori invece possono portarci a fare nuove scoperte cui non avevamo pensato.




 

Una IA non ti ruberà il lavoro, ma qualcuno che sa usare l’IA meglio di te lo farà.

«Una intelligenza artificiale non ti ruberà il lavoro, ma qualcuno che sa usare l’intelligenza artificiale meglio di te lo farà.»

È una frase che è girata molto online e che è sempre più vera. Oggi conoscere strumenti come chatGPT, Playground o Midjourney è una competenza necessaria per rimanere all’interno del mercato del lavoro.

Secondo un recente sondaggio infatti:

👉 Il 91% delle aziende ricerca persone che sappiano utilizzare ChatGPT.

👉 Il 29% delle aziende ha in programma di assumere Prompt Designer nel 2023 e 1 su 4 afferma che lo stipendio iniziale supererà i 200 mila dollari con una richiesta di 10 Prompt Designer per azienda.

👉 Il 66% dei CEO afferma che l’assunzione di lavoratori con esperienza in ChatGPT darà all’azienda un vantaggio competitivo.

Tra i motivi per cui le aziende sono alla ricerca con urgenza di #PromptDesigner ci sono:

💡 I Prompt Designer apportano un maggiore supporto creativo e tecnico all’azienda e promuoverne una crescita più rapida.

💸 I Prompt Designer fanno risparmiare molte risorse umane e materiali.

📈 I Prompt Designer migliorano la produzione e l’efficienza lavorativa dell’azienda oltre che la reputazione e la quota di mercato dell’azienda.

Le aree in cui i Prompt Designer saranno più ricercati sono Software Engineering, Customer Service, HR e Marketing.




 

Apocalypse AI.

Un articolo interessante trovato leggendo questa newsletter.

In uno studio recente, circa il 24% dei lavoratori ha espresso timori che l’Intelligenza Artificiale (IA) possa rendere obsoleti i loro lavori. È interessante notare come siano i giovani lavoratori e coloro che percepiscono stipendi più bassi ad essere maggiormente preoccupati.

Ad esempio, il 32% dei lavoratori tra i 18 e i 24 anni ha manifestato preoccupazione riguardo all’IA che sostituisce i loro impieghi, mentre solo il 14% dei lavoratori con 65 anni o più condivideva tale timore. Anche le considerazioni finanziarie hanno influito sul livello di preoccupazione: il 30% dei lavoratori con stipendi inferiori a 50.000 dollari all’anno ha espresso preoccupazioni sull’IA, rispetto al 16% di coloro che guadagnano oltre 150.000 dollari.

Inoltre, i lavoratori interamente in smart working erano più propensi a credere che i loro lavori sarebbero stati influenzati dall’IA, al contrario di quelli che lavorano di persona; tuttavia, dopo essersi abituati a partecipare a riunioni in pigiama, non sono convinto che la minaccia di perdere il lavoro sia abbastanza motivante per far sì che le persone tornino in ufficio. I dati suggeriscono anche che le paure riguardo alla perdita di posti di lavoro a causa dell’IA riguardano non solo i lavoratori a basso reddito, ma anche quelli impiegati in settori specialistici come il marketing o la logistica aziendale. Nonostante ciò, la maggior parte dei lavoratori non ha segnalato preoccupazioni immediate, ma si aspetta cambiamenti nei loro lavori a causa dell’IA, con il 43% che prevede trasformazioni significative all’interno della loro industria nei prossimi cinque anni.

Quindi, l’IA si rivelerà essere l’apocalisse che molti prevedono? Secondo gli esperti di IA, mentre sicuramente alcuni lavori andranno perduti, coloro che impareranno a sfruttare l’IA per diventare più produttivi correranno meno rischi rispetto a coloro che ignorano la nuova tecnologia. Si consiglia ai lavoratori di esplorare le applicazioni dell’IA per adattarsi e proteggere il proprio impiego, suggerendo che professionisti di ogni settore, come avvocati ed educatori, adottino le tecnologie IA per rimanere rilevanti nei loro ambiti.

L’indagine ha inoltre rivelato che i dirigenti di alto livello erano più propensi a discutere di IA sul lavoro, con il 23% degli amministratori delegati e il 27% dei vicepresidenti che segnalavano frequenti discussioni sull’IA. Al contrario, i lavoratori alle prime armi sembravano meno interessati alla nuova tecnologia. Un dato curioso è che le conversazioni sull’IA sul posto di lavoro non erano molto diffuse al di fuori del settore tecnologico: solo il 14% dei lavoratori segnalava ampie discussioni sull’IA e il 51% affermava di non averne mai discusso, il che implica che le aziende che sfruttano precocemente l’IA guadagneranno sicuramente un vantaggio significativo rispetto a coloro che non la adottano.




 

Nuova Tecnologia, Nuova Mentalità.

La più grande rivoluzione che abbiamo avuto in Europa negli ultimi settant’anni non è tecnologica ma umana: la Pace.

Oggi vivere in pace senza nessuna guerra che ci coinvolga direttamente è qualcosa di normale, qualcosa che quasi diamo per scontato. Ma nella storia dell’umanità questa è una preziosissima anomalia. L’uomo si fa guerra da sempre. Fino al 1945 era infatti normale essere in guerra. Era normale dichiarare guerra. Ed era normale morire in guerra.

Poi, tutto d’un tratto la guerra non è stata più normale. Anzi è diventata quella che in realtà è sempre stata: un abominio da ripudiare in tutti i modi.

Cos’è cambiato? Semplice: è cambiata la tecnologia e, insieme, è cambiata la mentalità.

Da una parte è arrivata una tecnologia potentissima, la bomba atomica, dall’altra però chi poteva usarla ha cambiato la sua mentalità, passando da una mentalità per cui fare la guerra è normale ad una per cui fare la pace è normale.

Noi non ce ne rendiamo conto ma penso che questo sia stato un cambio di mentalità straordinario che ha invertito un modo di pensare che era tale da millenni.

Eppure ci siamo riusciti e nessuno negli ultimi settant’anni ha più sganciato una bomba atomica. Avrebbe potuto, la tecnologia per farlo c’era, ma fortunatamente c’era anche la mentalità per non farlo.

Nuove tecnologie come chatGPT o, più in generale l’Intelligenza Artificiale, non sono neanche paragonabili alla bomba atomica che nasce con un solo fine: uccidere. Però sono tecnologie altrettanto potenti che vanno usate con consapevolezza.

È miope pensare di vietarle o rallentarle mentre è lungimirante pensare di conoscerle e cambiare la nostra mentalità per trasformarle in uno strumento di progresso e non di distruzione.

Un cambio di tecnologia senza un cambio di mentalità rischia di essere molto pericoloso. Un cambio di mentalità senza un cambio di tecnologia rischia di essere fine a se stesso.

Di fronte a una nuova tecnologia cambiare la nostra mentalità non è qualcosa di possibile, è qualcosa di necessario. Magari è faticoso, magari è difficile, ma dobbiamo farlo.

Oggi per noi è “normale” credere a quello che leggiamo su Internet. È normale condividere dati, testi e immagini. Ed è normale farci influenzare da quello che leggiamo sui Social.

NUOVA TECNOLOGIA unita a NUOVA MENTALITÀ = EVOLUZIONE.

NUOVA TECNOLOGIA senza NUOVA MENTALITÀ = ESTINZIONE.

Adesso però cambia tutto (in realtà è da tanto che tutto è cambiato), adesso dobbiamo essere più consapevoli, dobbiamo accettare la fatica di andare più a fondo, di consultare più fonti e di fare ricerca.

La bella notizia è che tutto questo come umanità non può che farci bene. Come quando una buona parte dell’umanità (che spero un domani diventerà la totalità) ha capito che la guerra non è la sola via per risolvere le cose.

/// Aggiornamento del 30 Maggio 2023. Se la parola “estinzione” può apparire eccessiva, questa la lettera firmata dai principali leader del settore dell’Intelligenza Artificiale Generativa dove usano proprio questa parola: Estinzione. ///




 

La Palla Nera.

Su AEON Nick Bostrom scrive: «Potremmo vedere la creatività umana come un processo di estrazione di palline da un’urna gigante. Le palline rappresentano idee, scoperte e invenzioni. Nel corso della storia, abbiamo estratto molte palline. La maggior parte di esse è stata benefica per l’umanità. Le altre sono state varie sfumature di grigio: un mix di bene e male, il cui effetto netto è difficile da stimare. Quello che non abbiamo ancora estratto è una palla nera: una tecnologia che invariabilmente distrugge la civiltà che l’ha inventata. Questo non perché siamo stati particolarmente attenti o saggi quando si tratta di innovazione. Siamo solo stati fortunati. E se ci fosse una palla nera da qualche parte nell’urna? Se la ricerca scientifica e tecnologica continua, alla fine la tireremo fuori e non saremo in grado di rimetterla dentro? Possiamo inventare, ma non possiamo dis-inventare. La nostra strategia sembra essere quella di sperare che non ci sia una palla nera.»

È un concetto interessante. Quante palle nere sono state inventate e quante ne verranno inventate. La bomba atomica è una palla nera? L’Intelligenza Artificiale potrebbe esserlo. Dipende. Ovviamente dipende da come noi umani usiamo e useremo la tecnologia che inventiamo e inventeremo.




 

Per una scuola generativa.

Da diversi mesi, un po’ in tutto il mondo, l’avvento dell’Intelligenza Artificiale Generativa sta scuotendo dalle fondamenta molte istituzioni, fra cui la scuola. In America (da New York a Los Angeles) sempre più scuole stanno vietando l’utilizzo di chatGPT ai propri studenti e in Australia sono addirittura tornati a fare esami totalmente analogici.

Tuttavia tecnologie come chatGPT non solo hanno un enorme potenziale per migliorare l’apprendimento, ma possono anche rappresentare una necessaria occasione per ripensare il sistema educativo nell’ottica di privilegiare la creatività e l’intraprendenza rispetto all’esecuzione e l’omologazione.

Se posso dunque buttare giù una lista, appena abbozzata, dei miei desideri per una scuola che abbraccia le nuove tecnologie e, al contempo, valorizza e stimola la creatività umana me la immagino così:

  • Meno lezioni teoriche e più laboratori.
  • Meno ore in aula e più attività fuori dall’aula.
  • Meno tablet o LIM e più carta, penna e gesso.
  • Meno lavori da soli e più lavori di gruppo.
  • Meno nozionismo e più ragionamento.
  • Meno ripetizione e più improvvisazione.
  • Meno valutazione e più motivazione.
  • Meno voti e più errori.
  • Meno verifiche e più ricerche e progetti.
  • Meno monologhi e più dialoghi.
  • Meno dettati e più temi liberi.
  • Meno conoscenze e più esperienze.
  • Meno distanza e più empatia.
  • Meno ore sedute al banco e più attività in movimento.
  • Meno “collecting dots” e più “connecting dots”.
  • Meno risposte e più domande.
  • Meno copia&incolla e più idee.
  • Meno esecuzione e più creazione.
  • Meno imposizione (devi farlo) e più passione (voglio farlo).
  • Meno omologazione e più valorizzazione delle capacità uniche di ogni bambino o bambina.

In sintesi, più o meno, l’opposto di come la scuola è oggi. Ma visto che, di fronte all’avvento dell’Intelligenza Artificiale Generativa, tutti siamo chiamati a ripensare il nostro modo di vivere e lavorare, forse, anche la scuola riuscirà finalmente a cambiare.




 

Fake Future.

Il Deepfake è una tecnologia, basata su Intelligenza Artificiale, in grado di combinare video e immagini esistenti con altre immagini attraverso una tecnica di apprendimento automatico, conosciuta come rete antagonista generativa.

In poche parole, permette di appiccicare, in un video, il volto di una persona, come ad esempio Sylvester Stallone, a quella di un’altra persona, come ad esempio Arnold Schwarzenegger (nei panni di Terminator).

È una tecnologia sempre più diffusa e sempre più accessibile. E questo potrebbe tradursi in un pericoloso fenomeno di massa. In un futuro – non così remoto – non potremmo più avere la certezza di quello che stiamo vedendo all’interno di un video o di un’immagine modificata tramite tecnologia Deepfake.

Qualche settimana fa il profilo di un finto Tom Cruise (ma assolutamente verosimile) è diventato molto virale. Questa settimana invece ho scoperto questo sito dove puoi dare vita alle foto dei tuoi antenati (il risultato è piuttosto impressionante).

In un futuro – non così remoto – non potremmo più avere la certezza di quello che stiamo vedendo all’interno di un video o di un’immagine modificata tramite tecnologia Deepfake.

La maggior parte dei video che si trovano in Rete di Deepfake riguardano per lo più contenuti di intrattenimento, uno dei pochi esempi di utilizzo intelligente ed utile del Deepfake che mi è capitato di vedere online è stato il progetto “Welcome to Chechnya”, un documentario che utilizza i volti di volontari che hanno prestato la propria faccia per rendere anonime le interviste di persone LGBTQ in Cecenia.

Nel caso in cui dovessi avere qualche dubbio su quello che stai vedendo, questo sito permette di controllare se un video utilizza tecnologia Deepfake, mentre in questo sito puoi capire cosa l’intelligenza artificiale pensa di te leggendo la tua faccia.




 

Reinventare il Recruitment.

Una delle soluzioni per risolvere il problema del Capitale Umano, potrebbe essere quella di creare piattaforme e luoghi di incontro dove fare networking, trovare partner e collaboratori e condividere competenze. Online ce ne sono tante e fortunatamente ce ne sono sempre di più.

Per esempio If You Could è una piattaforma di Recruitment focalizzata sui lavori creativi. Poi ci sono i Marketplace, da Fiverr a Braintrust (di cui ti avevo parlato qualche mese fa). O i software, come TalkPush, che utilizzano l’Intelligenza Artificiale per automatizzare i colloqui.




 

Corrente #36: Self-driving companies.

Il concetto di Self-driving companies affonda le sue radici nel Taylorismo, nello Scientific Management e in quell’idea, sempre più attuale, di azienda super efficiente in cui i manager umani sono sempre meno e la maggior parte delle decisioni aziendali, tra cui le assunzioni e i licenziamenti, sono prese da algoritmi.

Se ai tempi di Taylor e di Ford questa idea di azienda era solo un’utopia (o una distopia…), oggi grazie alle ultime tecnologie, ai Big Data e ai progressi dell’Intelligenza Artificiale, la Self-driving company è già una realtà.

Nel saggio “Futureproof: 9 Rules for Humans in the Age of Automation” Kevin Roose fa l’esempio di MYbank un’app di prestito la cui procedura di firma è conosciuta come “3-1-0” per via dei tre passaggi richiesti: tre minuti per richiedere un prestito, un secondo per un algoritmo per approvarlo, e zero umani. Oppure pensiamo ad Amazon dove spesso i dipendenti dei magazzini hanno già oggi come capi degli algoritmi. O a servizi di Food Delivery come Deliveroo o aziende come Uber. Sono tutti esempi di come il personale sia sempre più diretto e supervisionato da software, detti anche “Bossware”, e non persone.

Un domani potrebbero esserci delle aziende totalmente automatizzate. Aziende gestite da robot che vendono servizi o prodotti a robot. Una sorta di aziende R2R, Robot To Robot.

E questo non vale solo per la gestione del personale ma anche per la sua selezione. Nel 2019, un sistema basato su Intelligenza Artificiale sviluppato dalla startup americana Hire Vue, è stato utilizzato in Inghilterra per la selezione del personale. Il sistema sfrutta la tecnologia di Machine Learning per valutare le espressioni facciali, il lessico e il tono di voce dei candidati cui vengono sottoposte le stesse identiche domande e che vengono filmati attraverso uno smartphone o un personal computer. Le loro risposte e i loro video vengono poi confrontati in automatico con i dati raccolti intervistando dipendenti modello dell’azienda. In base al risultato, il candidato viene classificato all’interno di una categoria e poi, nel caso, selezionato per il lavoro per cui ha fatto il colloquio.

Il fenomeno delle Self-driving companies è ancora più interessante se lo relazioniamo ad un altro trend dell’epoca corrente: il Direct To Avatar Marketing, ovvero le strategie di comunicazione rivolte a un pubblico fatto non da persone ma da algoritmi. I due fenomeni correlati portano a pensare che un domani potrebbero esserci delle aziende totalmente automatizzate, tanto nella produzione (aziende gestite da robot…) quanto nella sua valorizzazione (…che vendono servizi o prodotti a robot). Una sorta di aziende R2R, Robot To Robot.




 

Freud.

Ad oggi non esiste un sistema di monitoraggio e manipolazione mentale così sofisticato come il sistema FREUD descritto all’interno romanzo T.E.R.R.A., tuttavia sono molti i segnali che fanno pensare che un domani potremmo avvicinarci a qualcosa di simile. Almeno in teoria. Già oggi, infatti, sofisticati sistemi basati su Intelligenza Artificiale vengono utilizzati per consigliarci i film da vedere, i libri da leggere, le persone da seguire, gli allenamenti da fare, i cibi da mangiare, i prodotti da comprare, le notizie da leggere, la musica da ascoltare, le malattie da monitorare e le informazioni cui credere, portandoci così a chiuderci in un mondo che ci viene sempre più cucito addosso.

Fino ad ora, questa tecnologia è stata utilizzata principalmente per motivi commerciali. Ovvero per segmentare la popolazione di consumatori e proporci pubblicità quanto più in linea con i nostri gusti e i nostri bisogni. Ma questa non è una novità. Il Marketing funziona così da sempre. Oggi è solo molto più evoluto perché, a differenza di trent’anni fa, gli esperti di Marketing hanno a disposizione molti più dati su di noi.

Attraverso le nostre azioni online (i siti che guardiamo, le persone che seguiamo, i commenti che lasciamo, i prodotti che compriamo, le foto e i video che postiamo e così via) e offline (i luoghi che visitiamo, gli acquisti che facciamo con la nostra carta di credito, le carte fedeltà che sottoscriviamo, le attività che svolgiamo, le espressioni facciali che abbiamo, il tono di voce che usiamo quando parliamo e così via) potenzialmente un’azienda può conoscerci meglio di come noi conosciamo noi stessi e quindi offrirci sempre il prodotto o servizio giusto per noi, esattamente nel momento in cui cominciamo a sentirne il bisogno. Tuttavia questo sistema di segmentazione della popolazione in differenti cluster di appartenenza, sta scivolando velocemente in ambiti che vanno oltre il Marketing.

Attraverso le nostre azioni online e offline  potenzialmente un’azienda può conoscerci meglio di come noi conosciamo noi stessi e quindi offrirci sempre il prodotto o servizio giusto per noi, esattamente nel momento in cui cominciamo a sentirne il bisogno.

Pensiamo al mondo del lavoro. Nel 2019, un sistema basato su Intelligenza Artificiale sviluppato dalla startup americana Hire Vue, è stato utilizzato in Inghilterra per la selezione del personale. Il sistema sfrutta la tecnologia di Machine Learning per valutare le espressioni facciali, il lessico e il tono di voce dei candidati cui vengono sottoposte le stesse identiche domande e che vengono filmati attraverso uno smartphone o un personal computer. Le loro risposte e i loro video vengono poi confrontati in automatico con i dati raccolti intervistando dipendenti modello dell’azienda. In base al risultato, il candidato viene classificato all’interno di una categoria e poi, nel caso, selezionato per il lavoro per cui ha fatto il colloquio.

Spostandoci dall’ambito professionale per entrare in quello sociale, pensiamo al Sistema di Credito Sociale creato dal governo cinese. Il progetto nasce con il fine di sviluppare uno strumento di classificazione della reputazione dei cittadini cinesi e assegnare ad ognuno un punteggio che determina il loro credito sociale. L’algoritmo su cui è stato costruito il sistema si basa sulle informazioni possedute dal governo riguardanti la condizione economica e sociale di ogni singolo cittadino, le informazioni derivanti dai Big Data e quelle raccolte attraverso sofisticati sistemi di riconoscimento facciale. Per ora quello cinese è un sistema di sorveglianza di massa volto alla classificazione della popolazione cinese, ma ha tutte le risorse per trasformarsi in un sistema di controllo di massa volto alla persuasione della popolazione cinese. Una nuova forma di propaganda che, al posto di influenzare le decisioni delle persone, decide per loro conto.

Bastano dieci Mi piace per conoscere una persona meglio di quanto la possa conoscere un suo collega di lavoro, settanta Mi piace per conoscerla meglio di un suo caro amico, centocinquanta per conoscerla meglio dei suoi genitori e trecento per conoscerla meglio del suo partner.

Tornando in Europa e in America invece, basta pensare al celebre scandalo di Cambridge Analytica che ha mostrato al mondo occidentale il valore dei nostri dati e come questi possano essere utilizzati per manipolare le scelte commerciali e politiche delle persone. Il sistema di microtargeting comportamentale (ovvero una pubblicità altamente personalizzata su ognuno di noi) sviluppato dalla società di consulenza Cambridge Analytica, si basa su un algoritmo, creato dal ricercatore di Cambridge Michal Kosinski, grazie al quale bastano dieci Mi piace per conoscere una persona meglio di quanto la possa conoscere un suo collega di lavoro, settanta Mi piace per conoscerla meglio di un suo caro amico, centocinquanta per conoscerla meglio dei suoi genitori e trecento per conoscerla meglio del suo partner. Questo livello di conoscenza può permettere tanto a un’azienda di spingerci a comprare i suoi prodotti, quanto a un partito politico di spingerci a votare per il suo candidato.

Fonti:

  1. Simon Chandler, Artificial Intelligence Has Become A Tool For Classifying And Ranking People, Forbes, https://www.forbes.com/sites/simonchandler/2019/10/01/artificial-intelligence-has-become-a-tool-for-classifying-and-ranking-people/#7ff23fc1d7cd, 1 ottobre 2019.
  2. Sistema di credito sociale, https://it.wikipedia.org/wiki/Sistema_di_credito_sociale, Wikipedia, consultato nel marzo 2020.
  3. Edmund L. Andrews, The Science Behind Cambridge Analytica: Does Psychological Profiling Work?, Insights by Stanford Business, https://www.gsb.stanford.edu/insights/science-behind-cambridge-analytica-does-psychological-profiling-work, 12 aprile 2018.

 




 

Wraiter.

In questo periodo sto lavorando con Stefano Agresti a un software, basato su Intelligenza Artificiale, in grado di scrivere in autonomia articoli su un tema specifico in qualsiasi lingua. L’algoritmo si sta ancora formando (e ci vorrà ancora un bel po’…), ma i primi testi che produce hanno un gusto da scrittore americano anni ’90 che non mi dispiace. Questo è un estratto di un testo che ha scritto quando gli abbiamo chiesto di parlarci di un libro che gli è piaciuto:

«Ecco un libro che ho letto. È piuttosto lungo, ma penso che potrebbe piacerti… o almeno vale le sue 304 pagine. Il libro è “The Ruined Map” di Kōbō Abe, pubblicato nel 2001, e lo definirei un romanzo. […]. A tal proposito oggi ho visitato una biblioteca, e invece di commuovermi, la mia testa è rimasta bloccata davanti a queste scatole di documenti. […] La storia non registra il segno della giovinezza che rende possibile l’addomesticamento oggi. Invece sembriamo tutti esseri nomadi dei giorni nostri, giganti dai modi selvaggi che richiedono un piano d’azione per sopravvivere. E tutti noi abbiamo bisogno di una vita noiosa, monotona, mondana, eppure molto più interessante di qualsiasi vita che vive dentro di noi. I dischi di casa di Kurt Cobain erano dannatamente fighi quando mi sono stati inviati ieri, le foto di lui gettato nel casino e incastrato in modo molto organizzato, mi hanno fatto ridere di gusto. Grazie a Dio non hai gli scritti per leggere tutte queste stronzate nella custodia dei suoi dischi. […] Devo ancora trovare il tempo di mettere le immagini e non riesco nemmeno a fare un testo reale! Il povero Kurt è stato incornato sulla parte superiore della sua chitarra da quando è stato suonato il tasto 7. Le immagini su questo blog sono state tutte un po’ confuse. Pensavo di sapere che tipo di chitarra aveva, ma ci vogliono troppe parole vere per dire che erano di Kurt. Gatti. Naturalmente. Questo è un blog hardcore!»




 

Stay Open.

Qualche giorno fa durante un’intervista, proprio quando pensavo che la diretta fosse finita mi è stato chiesto: «Una frase con cui concludere in pochi secondi?»

Così sui due pieni, non sapendo cosa dire, ho tirato fuori una notissima citazione di Einstein: «La mente è come un paracadute, funziona solo se è aperta» poi, già che c’ero, ho aggiunto un’altra citazione, questa volta presa dal film “L’odio”: C’è un uomo che cade da un palazzo di 50 piani. Mano a mano che cade, il tizio per farsi coraggio si ripete: “Fino a qui, tutto bene. Fino a qui, tutto bene”, dimenticandosi però che il problema non è la caduta, ma l’atterraggio.

Oggi la tecnologia e l’Intelligenza Artificiale sta rivoluzionando ogni aspetto della nostra vita personale e professionale. E non possiamo far finta di niente. Siamo in caduta libera e avere una mente aperta (ovvero, non smettere mai di imparare, mettersi in gioco e sperimentare) può essere il nostro miglior paracadute.

Come ripete spesso il mio amico Giorgio Fipaldini dunque: Stay Open!




 

Le nostre facce saranno le nostre targhe.

Ammetto che il mio è un look piuttosto comune. Non pensavo però ci fossero così tante persone (migliaia se non milioni) con l’89% di similarità con il mio volto. Tuttavia grazie a quell’11% di caratteristiche uniche che contraddistinguono la mia faccia, ovunque io vada posso essere rintracciato da una qualunque telecamera collegata a un qualunque sistema di riconoscimento facciale.

Il mio volto diventa così una sorta di targa, in grado di dire molto, se non tutto di me. Dove sono, con chi sono e cosa sto provando.

Ma questa non è una novità. Già nel gennaio 2015, sul Wall Street Journal, le giornaliste Elizabeth Dwoskin e Evelyn M. Rusli, scrissero un interessante articolo su come la tecnologia fosse in grado, grazie al riconoscimento facciale, di identificare una persona e di riconoscere le emozioni che quella persona stava provando attraverso la scansione dei suoi occhi e dei suoi muscoli facciali. Uno studio più recente invece, fatto da un team di ricercatori della HSE University e Open University for the Humanities and Economics di Mosca, ha dimostrato come un software basato su Intelligenza Artificiale partendo da un selfie, sia in grado di esprimere giudizi sulla personalità di un individuo che risultano più accurati di quelli fatti da un umano. Negli ultimi cinque anni, la tecnologia per il riconoscimento facciale si è molto evoluta e, grazie a sistemi sempre più sofisticati di Machine Learning e Intelligenza Artificiale, è in grado di mappare una popolazione leggendo i volti dei propri cittadini.

Se da una parte questa tecnologia può portare benefici all’umanità, dall’altra rappresenta una grave minaccia per la libertà e la privacy di ogni singolo individuo.

La situazione infatti si complica e si arricchisce se, al mero riconoscimento facciale, si affianca un database composto da miliardi di ritratti fotografici, propri e di altre persone. Ogni volta che postiamo una fotografia su un social network, o tagghiamo una persona assegnandogli un nome, o anche solo utilizziamo una delle tante app che trasformano i nostri ritratti, stiamo contribuendo alla creazione di enormi database, molto spesso pubblici e accessibili a chiunque, che vengono utilizzati per alimentare sofisticate tecnologie di riconoscimento facciale.

Tra queste, la più nota è Clearview AI che, basandosi su un database di tre miliardi di fotografie pubbliche, ha prodotto un software utilizzato da molte istituzioni e aziende americane, dalla New York State Police all’ufficio tecnico della Casa Bianca, per identificare i volti, e quindi le identità, delle persone anche quando sono incensurate.

Oggi però la situazione sta conoscendo un ulteriore cambio di direzione. Nell’ultimo anno infatti tanto le persone quanto le istituzioni sembrano (finalmente) dare maggior peso all’importanza della privacy. Riprendendo il caso di Clearview AI, da Maggio 2022, secondo un accordo con l’American Civil Liberties Union depositato presso un tribunale dell’Illinois, l’azienda di riconoscimento facciale non potrà più vendere il suo database di volti ad aziende ed enti privati statunitensi.

 

🔗 Qui trovi un mio approfondimento sul tema.

😐 Su questo sito puoi trovare anche tu migliaia di sosia (reali e non…).




 

5 Consigli universali per vivere meglio.

Qualche giorno fa in Oblique abbiamo lanciato il progetto 10Consigli.it, il primo magazine scritto al 100% da un’Intelligenza Artificiale (AI).

Per farlo ho chiesto a un’AI di generare 124 liste da 10 consigli ciascuna e il risultato è stato impressionante. 1240 perle di saggezza algoritmica su praticamente qualsiasi argomento (da come leggere più libri a come far durare di più il proprio matrimonio o come essere cool come Chris Hemsworth).

Ogni lista di consigli è unica e originale, tuttavia ho notato 5 consigli che ricorrono spesso e che penso siano applicabili a qualsiasi attività che vogliamo fare o a qualsiasi obiettivo che vogliamo darci:

🙅‍♀️ Imparare a dire di no.
Un consiglio che ho trovato in diverse liste e che effettivamente è essenziale per vivere bene perché, come scriveva Josh Billings, metà dei problemi della vita nascono dal fatto che diciamo sì con troppa facilità e no troppo tardi.

🤘 Divertirsi.
L’AI lo ripete spesso. Qualsiasi cosa vogliamo fare, se vogliamo farla bene è importante che troviamo la chiave per divertirci nel farla. Se non ci divertiamo tutto diventa più faticoso, apprendiamo molto meno e molliamo al primo ostacolo che troviamo.

🌊 Non essere perfezionisti.
Siamo verbi, non nomi, direbbe Stephen Fry. Cambiamo e sbagliamo di continuo. Se puntiamo sempre alla perfezione rischiamo di rimanere bloccati, di frustrarci e di continuare a rimandare qualcosa che vorremmo fare ma che forse non abbiamo il coraggio di fare.

😴 Dormire abbastanza.
Un consiglio che l’AI appena può mette al primo posto. E ha ragione. Ricordo un passaggio del saggio “12 Rules for Life” in cui lo psicologo Jordan Peterson diceva che la prima cosa che chiede ai suoi pazienti è se dormono abbastanza perché senza sonno qualsiasi trattamento è inutile.

🙏 Vivere il momento presente.
Molto Mindfulness e parecchio inflazionato ma sempre vero. In un mondo governato da ansia per un futuro che (ahimè) ci spaventa e nostalgia per un passato che tendiamo ad idealizzare, concentrarci sul presente ed essere grati per quello di bello che abbiamo può essere la chiave per vivere meglio.




 

Parliamo di immortalità… si-può-fare!

Qualche settimana fa ho ascoltato un’intervista tra uno dei più importanti podcaster americani Joe Rogan, ancora vivo, e il fondatore di Apple, Steve Jobs, morto 11 anni fa. Ovviamente non solo Steve Jobs ma anche Joe Rogan erano un falso. Tuttavia erano un falso molto verosimile, realizzato grazie a un’Intelligenza Artificiale in grado di parlare e pensare come Jobs e Rogan.

Un mese fa invece leggo che l’attore Bruce Willis avrebbe ceduto i diritti per fare film con la sua faccia anche quando un domani lui non ci sarà più. Anche qui, un falso, ma tuttavia un falso molto verosimile visto che grazie alla tecnologia DeepFake già oggi è piuttosto facile appiccicare il volto di una persona al corpo di un’altra.

Ma questa non è una novità. Pensiamo al mondo della musica. “Sunset (Bird of Prey)” è una canzone del 2000 di Fatboy Slim con Jim Morrison che è morto nel 1971. “Free as a Bird” è una canzone del 1995 dei Beatles con la voce di John Lennon che è morto nel 1980.

Oggi però questa tendenza potrebbe essere amplificata dalle possibilità date dall’Intelligenza Artificiale e applicata, potenzialmente, a chiunque e a qualsiasi settore. In Oblique per esempio stiamo lavorando a un Chatbot di Alan Turing (che presenteremo l’11 Novembre in un talk in occasione della Milano Digital Week).

Esattamente come il tentativo del dottor Frederick Frankenstein di riportare in vita un cadavere finì per generare un mostro, la stessa cosa potrebbe accadere con gli avatar di persone defunte o i DeepFake di attori scomparsi.

E dunque, parlando di immortalità e ricordando la celebre frase del film “Frankenstein Junior”, potremmo dire che «Si-Può-Fare!». Ma esattamente come il tentativo del dottor Frederick Frankenstein di riportare in vita un cadavere finì per generare un mostro, la stessa cosa potrebbe accadere con gli avatar di persone defunte o i DeepFake di attori scomparsi.

Uno dei casi più significativi è stato l’esperimento, fatto nel 2020, quando a una madre sudcoreana è stata data la possibilità di parlare e interagire con la propria figlia scomparsa quattro anni prima (trovi il video e un approfondimento qui). Oppure il caso della founder di Luka AI che ha creato un chatbot per parlare con un amico mancato qualche anno prima. O di Lulu, la donna cinese che ha pubblicato la lunga chat avuta con la madre defunta.

Il che ci porta a farci una domanda ancora più grande. Il fatto che qualcosa, grazie alla tecnologia, si possa fare, dobbiamo farla per forza? Nel caso specifico dei chatbot virtuali di parenti o amici scomparsi, qual è il limite? Ma soprattutto, qual è il senso?

Il fatto che qualcosa, grazie alla tecnologia, si possa fare, dobbiamo farla per forza? Nel caso specifico dei chatbot virtuali di parenti o amici scomparsi, qual è il limite? Ma soprattutto, qual è il senso?

Non dico che sia sbagliato a priori, ma penso che più la tecnologia sarà evoluta più sarà importante interrogarsi su tematiche così delicate come questa, per evitare che l’entusiasmo per il nuovo, unito alla velocità del progresso tecnologico, ci faccia perdere di vista il senso di quello che possiamo fare.




 

Alexa immagina per me.

Un paio di giorni fa, Amazon ha lanciato una nuova funzione che consente di creare e raccontare storie stravaganti utilizzando l’Echo Show, al momento di andare a letto o in qualsiasi altro momento. Il servizio si chiama “Create with Alexa” e, come si legge nel comunicato stampa, utilizza l’intelligenza artificiale (AI) conversazionale e generativa per consentire ai giovani narratori di costruire storie uniche con un arco narrativo, una grafica colorata e una musica di sottofondo divertente e complementare. Una volta create le storie prendono vita sullo schermo dei dispositivi Echo Show.

I bambini possono pronunciare la frase “Alexa, crea una storia”, seguire alcuni suggerimenti e Alexa genererà una narrazione unica e originale basata sulle preferenze del bambino. Per ogni scena, l’intelligenza artificiale compone anche un’illustrazione, una musica di sottofondo e degli effetti sonori. Le scelte del bambino in merito a personaggi, ambientazione e altre variabili dettano la direzione della storia, e non ci sono mai due storie uguali.

“Create with Alexa” è l’ultima dei tanti servizi creativi basati su AI Generativa che permettono in pochi secondi di dare forma alla nostra immaginazione. Pensiamo qualcosa e la vediamo immediatamente crearsi davanti a noi.

Quando tutto quello che immaginiamo si crea davanti a noi all’istante che senso ha immaginarlo? L’immaginazione diventa così una commodity, qualcosa che possiamo avere in qualsiasi momento.

Possiamo dire o scrivere: Disegna questo, o scrivi questo, o racconta questo, o cerca questo, o anima questo e “questo”, qualsiasi cosa sia, prende forma immediatamente e senza alcuno sforzo. E proprio qui sta il rischio a mio avviso più grande di queste tecnologia: la perdita della fatica di immaginare.

Quando tutto quello che immaginiamo si crea davanti a noi all’istante che senso ha immaginarlo? L’immaginazione diventa così una commodity, qualcosa che possiamo avere in qualsiasi momento. Quando invece la chiave dell’immaginazione e dello stupore sta proprio nella fatica della ricerca, nell’investire tempo e fatica per dare forma alla nostra immaginazione.




 

Huxley vs Orwell.

Come scrive Ajit Jaokar in un suo recente post, di fronte all’avvento di nuove tecnologie, normalmente siamo propensi a immaginare e temere una tipologia di controllo di stampo orweliano (un controllo esplicito da parte dell’autorità, come quello descritto in “1984”), tuttavia la visione di Aldous Huxley nel suo celebre “Brave New World” potrebbe causare una mancanza di controllo in un modo completamente diverso. Il controllo potrebbe essere esercitato attraverso il piacere infinito, l’ozio e il soddisfacimento di tutti i bisogni.

E questo è il grosso rischio dell’Intelligenza Artificiale (AGI): Non qualcosa che ci controlla nel senso orwelliano (“infliggere dolore”), ma piuttosto qualcosa che ci controlla “infliggendo piacere” (la visione del mondo di Huxley).

Ed effettivamente questo è quello che sta accadendo. Il controllo delle nostre vite e dei nostri pensieri passa da strumenti tecnologici che utilizziamo ogni giorno non perché dobbiamo usarli o siamo costretti a usarli. Ma perché vogliamo usarli. Perché ci fa piacere usarli. Ci sono utili e senza di loro non potremmo più avere la vita che vorremmo avere o che, quanto meno, abbiamo l’illusione di voler avere.




 

Intelligenza aliena.

“La prova più evidente che esistono altre forme di vita intelligenti nell’universo è che nessuna di esse ha mai provato a contattarci.”
– Bill Watterson

Per quel che ne sappiamo, l’universo ha un diametro di circa 93 miliardi di anni luce, è nato circa 13,8 miliardi di anni fa e contiene circa 7×1022 stelle, organizzate in circa 2×1012 galassie. In tutta questa misteriosa immensità, noi, esseri umani, siamo l’unica forma di vita intelligente. Penso sia un grande privilegio che non dovremmo mai dare per scontato e un’enorme responsabilità che non dovremmo mai dimenticarci.




 

5 tratti distintivi dell’uomo sulla macchina.

5) La curiosità.
Come diceva Picasso i computer sono inutili perché possono solo fornire risposte. I computer (almeno per ora) non sono curiosi, non provano nuove strade, non si fanno domande e non fanno errori e questo gli impedisce di trovare nuove soluzioni. La curiosità è un tratto molto importante dell’essere umano, ma la metto al quinto posto e non al primo perché l’Intelligenza Artificiale va proprio nella direzione di fornire alle macchine un’intelligenza e quindi un domani anche le macchine potrebbero essere curiose e iniziare a farsi delle domande.

4) Il talento
Il talento – inteso come la capacità di fare bene qualcosa che solo tu sai fare in un determinato modo – è un altro tratto distintivo dell’uomo. Le macchine, i robot, non hanno un talento o una vocazione e non potranno mai averlo. Le macchine possono essere costruite per fare qualcosa ma non possono essere portate per fare qualcosa. E in un futuro in cui il 47% dei lavori attuali saranno automatizzati, ovvero fatti da dei robot, investire sul proprio talento o seguire la propria vocazione vuol dire ridurre le possibilità di essere sostituiti, a metà della propria carriera, da un robot. E questo non è poco.

3) Il bisogno di condividere (e dialogare)
Come esseri umani abbiamo bisogno di condividere per sentirci umani. È un bisogno che ci contraddistingue e che le macchine non hanno. In questo preciso momento storico purtroppo la condivisione ha preso la deriva dei Social Media, ma nella realtà si tratta di condividere esperienze, beni e saperi. Ha più a che fare con il bisogno di dialogare, più che quello di chattare e pubblicare foto e video. Il dialogo è una forma di incontro che spero noi esseri umani non perderemo mai. I robot comunicano, gli uomini dialogano. E questo non dovremmo mai dimenticarcelo.

2) Il senso
L’uomo si domanda il perché di quello che sta facendo, i robot no. L’uomo si interroga su quale sia il senso di ogni cosa, inteso tanto in termini di direzione (dove sta andando, cosa sia meglio fare, etc etc) sia in termini di significato (fare qualcosa perché ci realizza come individui). In questo senso, l’uomo ha una consapevolezza e una coscienza che la macchina non ha. E tutte le volte che l’uomo ha rinunciato al senso, tutte le volte che non si è fatto domande avvicinandosi così più all’essere una macchina piuttosto che un uomo, sono accadute cose terribili (dal Medio Evo alla dittatura nazista). Il senso è dunque un tratto profondamente umano, tanto che noi umani il senso spesso lo troviamo nel fare esperienze per, con e tra gli esseri umani.

1) La storia
In “Blade Runner 2049”, la dottoressa Ana Stelline ha il compito di innestare ricordi nella mente dei replicanti creati dalla Wallace Industries. Questi ricordi sono la loro storia, ovvero ciò che dà loro l’illusione di essere umani. Questo il motivo per cui metto la nostra storia al primo posto della classifica di ciò che ci differenzia dalle macchine. La nostra storia è ciò che rende ogni essere umano unico e, al contempo, sociale. Unico perché ognuno ha una sua storia che nessun altro può avere. Sociale, perché la storia è ciò che permette alle persone di conoscersi e vivere insieme. Uno straniero infatti altro non è che qualcuno di cui ancora non conosciamo la storia.




 

Breve elogio dei problemi.

Nel suo recente manifesto per i “Techno-Ottimisti” Marc Andreessen sottolinea come la tecnologia sia sempre stata il motore del progresso umano e, al contempo, come alla base della tecnologia ci sia sempre stato un problema da risolvere.

«Dateci un problema del mondo reale» scrive Andreessen «e noi inventeremo una tecnologia che lo risolva.»

Senza problemi dunque non ci sarebbero nuove tecnologie e senza nuove tecnologie non ci sarebbe progresso.

Potremmo dunque assumere che senza problemi da risolvere noi esseri umani vivremmo ancora come ai tempi dei nostri antenati. E non solo saremmo meno evoluti, ma anche meno felici.

Secondo diverse tesi di Psicologia Comportamentale infatti, proteggere qualcuno dai problemi, non lo rende più felice o più sicuro, ma al contrario, più triste e più ansioso.

Avere un problema da risolvere, piccolo o grande che sia, ci tiene motivati e attivi. Ed ecco che allora i problemi non sono solo alla base del progresso umano ma anche della nostra felicità.

L’essere umano è nato per risolvere problemi. Risolve problemi dall’inizio dei tempi. L’assenza di problemi da risolvere o di avversità da affrontare va contro la nostra stessa natura e ci rende tristi, depressi e frustrati.

Avere un problema da risolvere invece, piccolo o grande che sia, ci tiene motivati e attivi. Ed ecco che allora i problemi non sono solo alla base del progresso umano ma anche della nostra felicità.

Come del resto scriveva il filosofo Zygmunt Bauman infatti: «La felicità non consiste nella libertà dai problemi, dalle preoccupazioni, dalle ansie, ma al contrario sopraggiunge quando superiamo i problemi, le preoccupazioni e le ansie.»

PS: Nel suo manifesto Marc Andreessen parla anche di Intelligenza Artificiale e di “Intelligenza Aumentata”, elogia il libero mercato come unica alternativa scalabile alla violenza e conclude citando l’Ultimo Uomo di Nietzsche come nemico numero uno dei Tecno-Ottimisti.

Lo puoi leggere qui.




 

Quoziente di adattabilità.

“L’intelligenza è la capacità di adattarsi al cambiamento.”
– S. Hawking

In un mondo che cambia di continuo, il Quoziente di Adattabilità, più che quello di Intelligenza, diventerà un elemento chiave del successo (e della sopravvivenza) di una persona. Adattarsi a nuovi contesti. Cambiare idea. Cambiare mentalità. Cambiare strategia. Continuare a imparare e formarsi. Abbandonare i propri pregiudizi. Sbagliare. Fare test più che fare previsioni. Provare strade differenti e differenti modi di fare le cose. Perché come disse Churchill a un suo connazionale che gli domandava perché avesse, all’ultimo, cambiato idea sulla decisione di patteggiare con i Nazisti: «Coloro che non cambiano mai idea, non cambiano mai nulla».




 

Corrente #33: Yassifare.

Yassifare, vuol dire alterare artificiale un’immagine, generalmente il ritratto di una persona, attraverso l’utilizzo di una massiccia quantità di filtri che eliminano le imperfezioni e standardizzano i lineamenti. Uno degli esempi più famosi di questa pratica è l’account Twitter YassifyBot dove il suo fondatore condivide con quasi 200.000 follower immagini yassificate di quadri e personaggi famosi.

Di per sé, la Yassify non sorprende. Tra Social Media, Selfie, Photoshop e culto dell’apparenza era scontato che si arrivasse a una percezione artefatta dell’estetica, tanto che oggi i filtri di bellezza sono l’applicazione più diffusa della realtà aumentata. Con tutte le implicazioni negative che questo comporta. Dalla Dismorfofobia (l’eccessiva preoccupazione per un difetto fisico non presente o solo leggermente osservabile dagli altri) alla frustrazione e all’ansia generate dal non sentirsi all’altezza degli standard di bellezza che vediamo sui Social Media.

Quello che sorprende però, è come si stia contemporaneamente diffondendo un fenomeno opposto alla Yassify: il bisogno di “Realness”. Se da una parte infatti le persone rendono i propri ritratti più artefatti e irreali, dall’altra grandi Brand e case di moda fanno di tutto per sembrare più genuini e reali.

Se da una parte le persone rendono i propri ritratti più artefatti e irreali, dall’altra grandi Brand e case di moda fanno di tutto per sembrare più genuini e reali.

Nascono così trend come i Genuinfluencers, influencer che puntano ai contenuti più che all’apparenza, o lo Scheumorfismo digitale, software e applicazioni che imitano il mondo reale, o ancora piattaforme come il “Anti Selfie Selfie Club” Poporazzi o il social network BeReal dove condividere la propria vita reale senza filtri. Alcuni Brand inoltre stanno abbandonando i servizi fotografici patinati optando per testimonial e location più inclusivi e vicini alle persone.

Come nel caso di Victoria’s Secret che per una delle sue ultime campagne ha scelto sette donne più famose per il loro impegno che per il loro aspetto fisico. Oppure nel caso di fenomeni come la virale tendenza di pubblicare foto brutte (ma vere) su Instagram.

Le radici di questo fenomeno possono essere ritrovate in due euristiche. La prima è quella che in campo marketing viene chiamata “Mirroring”, più un Brand ci sembra simile a noi, più siamo propensi a sceglierlo. La seconda invece è la “Effort Heuristic”: in un mondo sempre più digitale, dove sempre più prodotti sono fatti artificialmente, gli oggetti e i servizi “fatti a mano da umani” con piccole imperfezioni che li rendono unici e originali, sono e saranno sempre più apprezzati.




 

Il dramma della formazione.

Forse mi devo ricredere. In un post di qualche giorno fa, scrivevo che il progresso tecnologico degli ultimi secoli non ci ha reso meno intelligenti.

Tuttavia l’ultimo report PISA potrebbe far pensare il contrario. O almeno, se non meno intelligenti, sicuramente meno alfabetizzati.

Come si può vedere nel grafico qui sopra infatti, negli ultimi anni, tanto in matematica quanto in lettura e scienza le competenze degli adolescenti sembrano essere in continuo peggioramento.

Dal mio punto di vista questo trend negativo è dovuto a diversi fattori tra cui:

Il Covid.
Il lockdown, soprattutto delle scuole, ha salvato una generazione (i Baby boomer) a scapito però di due generazioni (Zeta e Alpha) che non hanno potuto godere di un’istruzione adeguata. E non a caso, dal 2020 i risultati degli studenti ai test PISA sono crollati.

La scuola.
Negli ultimi sessant’anni la scuola, come istituzione, non è stata in grada di adattarsi al cambiamento sempre più rapido della tecnologia e della società. Il risultato è uno scollamento sempre maggiore tra quello che si insegna a scuola e quello che gli studenti affrontano nella vita e sul lavoro fuori dalla scuola.

La tecnologia (usata impropriamente).
La tecnologia può essere tanto una causa quanto una soluzione di questo impoverimento educativo. La differenza la fa, e la farà sempre di più, il modo e il fine per cui la utilizzeremo. Se la usiamo come un nostro sostituto, delegando alla tecnologia la fatica di pensare e risolvere problemi al posto nostro, allora questa non potrà che accelerare la tendenza negativa evidenziata dal report PISA. Se invece la usiamo come motore per fare ragionamenti, o per studiare, o come mezzo a supporto della nostra creatività, allora la tecnologia potrebbe aiutarci a trovare nuovi metodi di apprendimento più in linea con i nostri tempi.

Indipendentemente dai fattori però, la situazione è allarmante. Per invertire la rotta l’OCSE prova a dare 10 consigli tra i quali:

  • Ridurre i mesi di chiusura della scuola: Consiglio molto utile, soprattutto in Italia, dove i (di fatto) 4 mesi di pausa estiva sono a mio avviso dannosi per l’apprendimento.
  • Preparare gli studenti all’apprendimento autonomo: Fondamentale anche per sviluppare competenze essenziali per il futuro come il “Time Management” e la capacità di dare le giuste priorità.
  • Costruire solide basi per l’apprendimento e il benessere di tutti gli studenti: Inutile dire che la disuguaglianza economica genera anche un gap di opportunità formative che deve necessariamente essere colmato, anche grazie, a mio avviso, alle possibilità offerte da tutor digitali basati su Intelligenza Artificiale Generativa.
  • Limitare le distrazioni causate dall’uso di dispositivi digitali in classe: È quello che sta succedendo nelle più prestigiose scuole americane dove ormai da anni l’ingerenza della tecnologia come forma di distrazione è bandita.
  • Fornire un supporto aggiuntivo agli studenti in difficoltà invece di richiedere loro di ripetere un esame o un anno: Il sistema di valutazione novecentesco va completamente ripensato, anche di fronte all’avvento di una tecnologia come ChatGPT in grado di performare sempre meglio a un numero sempre maggiore di esami e test scolastici.
  • Combinare autonomia scolastica e meccanismi di garanzia della qualità: Spesso la scuola pubblica è vincolata da processi e regole che rallenta (se non ferma…) l’innovazione. Tuttavia secondo il rapporto dell’OCSE, maggiore è l’autonomia concessa alle scuole, più alti sono i risultati medi in matematica, a patto di disporre di determinati meccanismi di garanzia della qualità.




 

Corrente #90: Prosthetic knowledge.

Nel film “Demolition Man”, Sylvester Stallone interpreta John Spartan un poliziotto che nel 1996 riesce a catturare lo spietato criminale Simon Phoenix. Durante l’operazione però, a causa dell’esplosione di un vecchio palazzo dismesso dove Phoenix si nasconde, restano coinvolti anche 30 civili che il criminale aveva preso in ostaggio. In via preventiva dunque, Spartan e Simon vengono entrambi condannati a un “congelamento correttivo” in un crio-penitenziario.

Quando Spartan viene risvegliato, nel 2032, ha subito voglia di mettersi a lavorare a maglia. Stupito da questo insolito desiderio, il poliziotto chiede al tenente Lenina Huxley come fosse possibile. Lei, sorridendo, risponde che fa parte del programma di riabilitazione. Durante il “congelamento correttivo” infatti, un algoritmo sceglie per il detenuto un’abilità o un mestiere che meglio si adatta alla sua disposizione genetica e gli impianta nel cervello la conoscenza necessaria per portare a termine l’addestramento assegnato.

In pratica nel film si immagina un computer in grado di installare nella mente delle persone la conoscenza di, potenzialmente, qualsiasi cosa, senza che queste persone debbano fare la fatica di studiare.

Sebbene questa sia una fantasia in bilico tra l’utopico e il dispotico, oggi grazie al progresso sempre più veloce della tecnologia, ci stiamo avvicinando a qualcosa di simile. Nel particolare, questo qualcosa si chiama Prosthetic knowledge, ovvero una tipologia di informazioni che una persona non conosce a memoria, ma a cui può facilmente attingere in caso di necessità utilizzando la tecnologia.

Quanto tempo ci vorrà prima che questa tecnologia possa essere messa in contatto direttamente con il nostro cervello come una sorta di Knowledge As A Service che non dobbiamo imparare ma che ci può essere fornita solamente quando ci serve?

Per ora l’accesso a queste informazioni prevede ancora un mezzo esterno a noi come può essere il nostro computer o il nostro smartphone. Ci serve un dato o una competenza, accendiamo a Google o Wikipedia e lo cerchiamo. Già con ChatGPT però la situazione cambia. Abbiamo un’Intelligenza Artificiale con cui dialogare per farci dare informazioni e competenze che non abbiamo, in maniera semplice e intuitiva.

Quanto tempo ci vorrà prima che questa tecnologia possa essere messa in contatto direttamente con il nostro cervello come una sorta di Knowledge As A Service che non dobbiamo imparare ma che ci può essere fornita solamente quando ci serve?

Sebbene l’idea di infilarci un computer nel cervello possa apparire futuristica e, per certi aspetti, inquietante, tuttavia, la distanza tra noi e la tecnologia è sempre più ridotta. Un tempo i computer erano delle enormi macchine che stavano in ambienti molto distanti da noi. C’erano intere stanze dedicate ai computer e, raramente, la nostra vita si mischiava con la loro. Negli anni Ottanta, i personal computer portarono la tecnologia dentro le nostre case e i nostri uffici, per poi seguirci, con i computer portatili, ovunque noi andassimo. In seguito, con l’arrivo dei cellulari prima e degli smartphone poi, la distanza tra le persone e i computer si è ridotta ulteriormente e la tecnologia è diventata l’oggetto attorno cui gravita tutta la nostra vita. Infine la nascita e la diffusione dei dispositivi indossabili, primi fra tutti gli smartwatch, ha portato la tecnologia sopra la nostra pelle mettendola in comunicazione costante con il nostro corpo.

Seguendo questo percorso, il passaggio da una tecnologia sopra la nostra pelle a una tecnologia sotto la nostra pelle è solo una questione di tempo.

E quando questo avverrà, quando avremo una tecnologia sempre connessa al nostro corpo e alla nostra mente in grado di attingere a, potenzialmente, qualsiasi informazione in qualsiasi momento, forse assisteremo alla fine dell’essere umano biologico e l’inizio dell’essere umano bio-tecnologico.

Un esempio potrebbe essere, già oggi, il biohacker Patrick Paumen che negli anni si è fatto installare 32 chip sotto-pelle con cui paga, apre porte e conduce una vita tecnologica di cui sembra essere molto soddisfatto: «Gli impianti con chip contengono lo stesso tipo di tecnologia che le persone usano quotidianamente», spiega Paumen in un’intervista alla BBC, «dai portachiavi per sbloccare le porte, alle tessere per il trasporto pubblico come la Oyster card di Londra, o alle carte bancarie con funzione di pagamento contactless.»

Nel suo celebre libro Homo Deus, il filosofo Harari ipotizza un futuro in cui ci sarà una netta separazione tra chi saprà ingegnerizzare corpi e cervelli e chi no, sostenendo di conseguenza che coloro che salteranno sul treno del progresso saranno in grado di acquisire capacità divine di creazione e distruzione, mentre coloro che rimarranno a piedi si estingueranno. Secondo lo storico israeliano dunque il mondo si dividerà tra una piccola e privilegiata élite di superuomini “potenziati” e la maggioranza delle persone che, non essendo “potenziate”, diventeranno una casta inferiore dominata sia dagli algoritmi sia dai superuomini.

Di fronte a queste previsioni, al limite del distopico, l’idea, alla base del film Demolition Man, per cui un domani potremmo acquisire nuove competenze semplicemente installandole nel nostro cervello non appare poi così distante.




 

Creatività Natalizia.

Che cos’è la creatività?

Per provare a rispondere a questa domanda, lo scrittore ungherese Arthur Koestler parte dall’etimologia di pensare che in latino si dice “COGITO” inteso come co-agito, ovvero agitare insieme.

Per Koestler dunque la creatività si traduce nella capacità di connettere punti ed elementi quanto più distanti tra loro con il fine di generare qualcosa di nuovo.

Un esempio è l’elettromagnetismo: la vera innovazione creativa non è aver scoperto la magnetite o l’elettricità, fenomeni che l’uomo conosce dai tempi del filosofo greco Talete di Mileto, quanto piuttosto quella di vedere in modo diverso questi due elementi e avere la capacità di connetterli tra di loro.

Lo stesso vale per la scienza, l’arte o la scrittura. Abbiamo idee, leggiamo storie, scopriamo teorie, ci lasciamo ispirare e poi connettiamo tutto per generare nuove idee.

Oggi questo tratto fondamentale della creatività umana inizia ad appartenere anche alle macchine che, grazie all’Intelligenza Artificiale Generativa, sono in grado di prendere ispirazione dai miliardi di dati presenti su Internet, connetterli tra di loro e generare nuove idee, storie, codici, video o immagini.

Per testare le capacità narrative dell’AI Generativa, in Oblique.ai abbiamo sviluppato una web-app in grado di scrivere storie natalizie mixando e connettendo cose e personaggi a caso (da Chuck Norris a Andy Warhol), l’abbiamo chiamata… MERRY XMIX.




 

Che anno per l’IA.

Di tutti i settori in cui ho lavorato quello dell’Intelligenza Artificiale Generativa è di gran lunga il più stimolante, frenetico e veloce.

Soprattutto da Novembre 2022 (mese dell’uscita di chatGPT), tutto cambia a una velocità vertiginosa. Ogni giorno escono nuovi tool, nuove tecnologie, nuovi modi di fare le cose.

È una rivoluzione continua che richiede un cambiamento continuo.

In letteratura c’è un concetto interessante chiamato “Die Progress Units” (DPU) che online ho trovato anche come “Future Shock”, ovvero l’unità di tempo che stabilisce quanto una persona, nata nel passato, sia in grado di sopravvivere nel nostro presente.

Per esempio, se una persona del 1750 venisse trasportata, da un giorno con l’altro in avanti di 271 anni, nel 2021, non sarebbe in grado di comprendere il nostro mondo perché ci sono stati troppi cambiamenti.

Tuttavia lo shock che una persona del 1479 vivrebbe se venisse trasportata nel 1750 sarebbe inferiore a causa del numero sensibilmente ridotto di scoperte tecnologiche fatte tra il 1479 e il 1750 rispetto a quelle fatte tra il 1750 e il 2021. Questo dimostra come la DPU diventa esponenzialmente più breve man mano che passa il tempo.

Nel futuro dunque è possibile ipotizzare che le persone vivranno diverse DPU all’interno di una sola vita.

Viene quindi da domandarsi per quanto tempo noi esseri umani saremo in grado di andare a questa velocità. Quante DPU saremo in grado di sopportare? Riusciremo ad allenare il nostro “Quoziente di Adattabilità” per adattarci di continuo e stare al passo del progresso tecnologico?

Oppure a un certo punto molleremo il colpo e lasceremo che la velocità della tecnologia non influenzi più i ritmi della nostra vita?




 

Una nuova specie di essere umano.

E se l’Intelligenza Artificiale Generativa fosse l’inizio di una nuova specie di essere umano bio-tecnologico?

Lo so. Può sembrare un’assunzione forte. Quasi fantascientifica. Ma non dimentichiamoci che stiamo vivendo in un mondo dove quella che un tempo era considerata Fantascienza si sta trasformando in Scienza Fantastica.

Quello che un tempo vedevamo solo al cinema (robot che parlano, cani bionici, intelligenze artificiali, persone con chip impiantati sotto pelle…) fanno ormai parte della nostra vita quotidiana.

La tecnologia è sempre più parte di noi. Anche da un punto di vista biologico.

🖥️ I computer hanno portato la tecnologia nelle nostre case.

📱 Gli smartphone hanno portato la tecnologia nelle nostre tasche.

⌚ I dispositivi indossabili, primi fra tutti gli smartwatch, hanno portato la tecnologia sopra la nostra pelle mettendola in comunicazione costante con il nostro corpo.

Il passaggio da una tecnologia sopra la nostra pelle a una tecnologia sotto la nostra pelle è quindi solo una questione di tempo.

Un recente sondaggio condotto su oltre 4.000 persone nel Regno Unito e nell’Unione Europea ha infatti rivelato che il 51% di loro prenderebbe in considerazione l’idea di installarsi un chip sotto-pelle attraverso cui effettuare pagamenti.

Non è quindi così improbabile la previsione di Yuval Noah Harari che nel suo celebre Homo Deus ipotizza un futuro in cui ci sarà una netta separazione tra chi saprà ingegnerizzare corpi e cervelli e chi no, sostenendo di conseguenza che coloro che salteranno sul treno del progresso saranno in grado di acquisire capacità divine di creazione e distruzione, mentre coloro che rimarranno a piedi si estingueranno. Secondo lo storico israeliano dunque il mondo si dividerà tra una piccola e privilegiata élite di superuomini “potenziati” e la maggioranza delle persone che, non essendo “potenziate”, diventeranno una casta inferiore dominata sia dagli algoritmi sia dai superuomini.




 

La scuola immutabile.

Bellissimo grafico del World Economic Forum che mi ha fatto molto pensare (sia come padre, sia come docente).

Dei 21 set di attitudini proposti come elementi chiave nella formazione dei prossimi cittadini del mondo, quanti vengono oggi insegnati a scuola?

Per quella che è la mia esperienza di padre di due figli alle elementari poche. Troppo poche.

(Se però hai esperienze diverse e positive scrivile nei commenti, serve condividere casi virtuosi, anche perché sono sicuro ci siano, grazie.)

Nell’attuale sistema scolastico non sembra esserci molto spazio per discipline come la creatività, il senso critico, la programmazione, il problem solving, l’empatia, l’adattabilità, l’imprenditorialità, la sostenibilità… La mia impressione è che si continuano a insegnare sempre le stesse cose sempre nello stesso modo.

Estremizzando un po’ la situazione, basta pensare che se prendo il quaderno di italiano o di matematica di mio figlio più grande che va in terza elementare è molto simile, tanto nei contenuti quanto nella forma, a quello che avevo io in terza elementare negli anni Ottanta e che, a sua volta, non era poi così diverso da quello di mio padre che andava in terza elementare negli anni Sessanta.

Tre generazioni, cinque decadi in cui è accaduto di tutto: la fine della Guerra Fredda, la caduta del muro di Berlino, la globalizzazione, la televisione prima e Internet poi, l’Euro, il cambiamento climatico e la crisi finanziaria.

Tutto è cambiato e tutto sta cambiando sempre più in fretta. Eppure la scuola sembra rimanere così: immutabile.

Persino di fronte al Covid è rimasta impassibile. Certo, per qualche mese abbiamo fatto la Didattica A Distanza, ma quali innovazioni ha portato? Nessuna. È cambiato il mezzo (al posto dell’aula c’era il computer di casa) ma le logiche e i contenuti sono rimasti identici.

Adesso arriva l’Intelligenza Artificiale Generativa, cosa pensa di fare la scuola di fronte a questa rivoluzione?

Non possiamo permetterci il lusso (e la comodità) di far finta di nulla. E, tanto meno, possiamo pensare di fermare l’avanzata di questa tecnologia. Sta cambiando il mondo e continuerà a cambiarlo. Prendiamone atto.

Quello che possiamo fare invece è capire come poter cambiare la nostra mentalità, il nostro sistema educativo e il nostro modo di fare le cose per far sì che questa tecnologia si sviluppi nella giusta direzione diventando uno strumento al nostro servizio (e non viceversa).

Pensiamo a questo:

Oggi siamo spaventati dall’idea che gli studenti possano farsi fare i compiti da chatGPT. Ma questa non è una novità. Quando è arrivata Internet alcuni studenti hanno iniziato a cercare le versioni tradotte o i compiti di matematica risolti su Google. E, prima ancora, con il telefono c’era chi si faceva dettare le soluzioni dei compiti a distanza e in aula c’era chi copiava.

Il problema dunque non è la tecnologia, ma insegnare ai nostri figli e alle nostre figlie ad appassionarsi a quello che studiano e, soprattutto, a pensare con la loro testa e non con quella di qualcun altro (la compagna o il compagno più bravo) o di qualcos’altro (in questo caso chatGPT).




 

Nuovi modi di lavorare.

Eccomi qui con Feltrinelli Education per parlare di Intelligenza Artificiale Generativa, Innovazione, e nuovi modelli di business.

Questo un estratto del mio Talk:

Fenomeni come il Quite Quitting o le Grandi Dimissioni o il Fire Movement fino ad arrivare al movimento cinese “Tang ping”, sono tutti figli di un’epoca in cui, per la prima volta da molti anni, l’economia mondiale, a seguito del Covid è stata rallentata, se non addirittura messa in pausa.

E questa grande pausa ci ha portato a farci, come persone ma anche come professionisti, delle domande che un tempo non ci eravamo mai fatti. Domande che prima del Covid, non avevano spazio nelle nostre vite spesso frenetiche e piene di impegni.

Oggi è dunque un ottimo momento per ripensare il nostro lavoro e il peso che gli vogliamo dare nelle nostre vite.

Cosa per noi è davvero importante? E, soprattutto, qual è lo stile di vita che vogliamo avere?

Questa è la domanda che dobbiamo farci oggi: non quale lavoro vogliamo fare, o quanto vogliamo guadagnare, ma quale stile di vita vogliamo avere. E di conseguenza trovare (o inventarci) un lavoro che ci permetta di raggiungerlo.

Talvolta infatti confondiamo il fine (il nostro benessere) con il mezzo (il nostro lavoro) e questo può generare in noi stress, ansia e frustrazione. A differenza di un tempo però oggi esistono diverse modalità di lavoro che possono aiutarci a trovare un migliore equilibrio tra vita e lavoro.

Vediamone alcune.

Modalità 01: Lavoro Asincrono

Cominciamo con il modo di lavorare meno noto tra quelli di cui parleremo oggi ma che potrebbe essere il migliore per rispettare le esigenze e lo stile di vita dei nostri collaboratori e delle nostre collaboratrici: il lavoro asincrono.

Il lavoro asincrono è una modalità di lavoro, complementare al Remote Working, che permette di svolgere i propri compiti senza dover aspettare che qualcun altro risponda così da essere più autonomi, più responsabilizzati e più focalizzati sulla qualità del nostro lavoro.

Detto in altre parole, lavorare a progetto (risultato) e non a orario (ore lavorate).

Questo permetterebbe di vivere secondo i nostri tempi. Andare in vacanza quando altri lavorano e lavorare quando altri sono in vacanza. Quello che importa è rispettare le consegne così che tutti possano organizzare il proprio lavoro in relazione a quello dei propri collaboratori.

Se un tempo questo modo di lavorare era complesso, quasi impossibile, oggi, grazie a strumenti di lavoro sempre più fluidi, non solo è possibile ma è anche più produttivo tanto per l’azienda quanto per il lavoratore che sempre più spesso include l’orario flessibile tra i benefit più richiesti.

Un esempio di startup che utilizza questa pratica organizzativa è la piattaforma americana NomadList il cui fondatore è anche il creatore del concetto di Lavoro Asincrono. Come molte startup innovative, NomadList non ha orari di lavoro o luoghi di lavoro prestabiliti, ma ha deciso di strutturare la propria azienda in modo tale che ognuno possa organizzare i compiti in maniera autonoma.

 

Modalità 02: La settimana lavorativa da quattro giorni

Per introdurre la seconda modalità di lavoro, spostiamoci in Africa e precisamente al confine tra Namibia e Botswana, dove la tribù nomade Ju/’hoansi è solita dedicare circa 17 ore a settimana, senza dei giorni di lavoro fissi, alle attività necessarie per la sopravvivenza, mentre per il resto del tempo oziano. Una buona abitudine che, secondo alcuni recenti studi antropologici, era simile a quella dei nostri antenati.

Oggi pensare di lavorare solo 17 ore a settimana è difficile, anche se Tim Ferris nel suo celebre saggio “4 ore alla settimana” propone un metodo per lavorarne 16…

Tuttavia, possiamo pensare a settimane lavorative più ridotte, magari a quattro giorni. Una pratica possibile che già prima del Covid era proposte da molte aziende, pensiamo per esempio alla politica del 20% di Google, e che oggi sempre più aziende stanno introducendo.

Di base la scommessa è riuscire a lavorare un giorno in meno senza tuttavia diminuire la nostra produttività.

Questo è possibile grazie alla tecnologia, in primis, ma anche grazie a un modo di lavoro differente, più focalizzato e con meno distrazioni. In poche parole, un’organizzazione del lavoro che permette di lavorare meno, meglio.

Diversi suggerimenti su come implementare questo metodo nella nostra startup o nella nostra azienda possiamo trovarli nei libri dell’autore e imprenditore Jason Fried, come Rework o It Doesn’t Have to Be Crazy at Work.

Oppure possiamo trovarli in molte startup, come l’italiana UPPA che ha ottimizzato i processi interni così da aumentare la produttività e ridurre la settimana lavorativa. Tra le tecnologie che utilizza UPPA e che ti consiglio a mia volta c’è Asana per organizzare i flussi di lavoro, strumenti di Cloud Storage come Dropbox, tool di messaggistica come Slack o servizi di creazione collaborativa come la suite Google Docs o Google Sheets.

 

Modalità 03. Southworking

Questa tecnologia permette anche di agevolare il Remote Working o fenomeni come il Southworking, ovvero la tendenza di molti lavoratori o lavoratrici di lavorare per aziende del Nord Italia, rimanendo però nel Sud Italia, dove magari possono avere un miglior stile di vita.

Per capire la portata di questo fenomeno, basta pensare che se nel 2020 alla domanda su quale fosse il luogo preferito dove lanciare una startup Tech, il 41,6% degli intervistati ha risposto «San Francisco», nel 2021 la maggioranza, pari al 42%, ha risposto «Lavoro distribuito o in remoto».

Questo è reso possibile sia da servizi come Zoom, Teams o Meet che permettono di fare riunioni e incontri a distanza, sia da un’infrastruttura di luoghi alternativi dove lavorare, primi fra tutti gli spazi di Coworking, che permettono un’organizzazione del lavoro molto più flessibile.

Un buon esempio in questo caso è la startup italiana Radical HR che fin dal primo giorno ha deciso di lavorare senza sedi o orari fissi, optando invece per una struttura snella e distribuita così che ognuno possa lavorare dal luogo che preferisce, limitandosi a incontrarsi di tanto in tanto in luoghi fisici per fare riunioni o attività extralavorative insieme che purtroppo nel Remote Working si rischiano di perdere ma che invece continuano a mantenere un’importanza chiave nella costruzione di un team.

Modalità 04. Il posto di lavoro come luogo dove voler essere, e non dover essere

E quindi? All’interno di questo scenario ha ancora senso avere una sede fisica o un ufficio? Ovviamente sì, a una condizione però: che la sede sia un luogo dove le persone vogliono andare, e non dove devono andare.

Un luogo pensato per le persone e non solo per il lavoro. Un luogo dove le persone possano sentirsi a proprio agio, dove possano incontrare altre persone con cui confrontarsi, un luogo dove accadono cose interessanti e dove ci si possa formare, arricchire e fare esperienze che da soli non si potrebbero vivere.

Molte aziende e startup stanno quindi adeguando i propri spazi per renderli più “attrattivi” offrendo alle persone che ci lavorano benefit o motivi anche extralavorativi per recarsi in ufficio.

Un esempio in questo caso è la startup italiana Blending Spoons che ha pensato il suo ufficio a Milano proprio in quest’ottica: un luogo dove le persone vanno non perché sono obbligate a farlo ma perché hanno il piacere di farlo.

 

Modalità 05. Smart Working

Concludo con il metodo più utilizzato e conosciuto, tra quelli visti insieme oggi: lo «Smart working». Un metodo di lavoro che introduco con questa citazione dell’autore americano Shane Snow: «Ci domandiamo come lavorare sodo ma di rado ci domandiamo come lavorare smart.»

Come dicevamo, oggi stiamo vivendo una rivoluzione lavorativa senza precedenti, e questa è una grande occasione per rivedere il nostro modo di lavorare in un’ottica più Smart ovvero lavorare di meno aumentando la nostra produttività.

Ad oggi però la situazione sembra andare nella direzione opposta. Negli ultimi anni la giornata lavorativa in Smart working dura da 1 a 3 ore in più, ci sentiamo più stressati e più ansiosi e non riusciamo più a distinguere la nostra vita professionale da quella personale.

Questo succede perché il più delle volte lo Smart working non ha nulla di innovativo o smart, si cambia il mezzo (lavoriamo a distanza) ma non la mentalità. Risultato: facciamo le stesse cose di prima ma da lontano.

E questo è un peccato perché lo Smartworking (che appunto non è telelavoro o lavoro in remoto, ma appunto lavoro smart, ovvero intelligente) permetterebbe all’azienda di ridurre i costi, ottimizzare i processi e aumentare la produttività e quindi la propria marginalità, e al lavoratore di lavorare ovunque, gestirsi i tempi e le modalità di lavoro e risparmiare molto tempo.

Permettetemi dunque di concludere con una citazione di Einstein (che avrete probabilmente già sentito, ma qui, fa proprio al caso nostro):

I problemi non possono essere risolti utilizzando la stessa mentalità che li ha generati.

Quindi, se vogliamo cambiare il nostro modo di lavorare non basta cambiare le tecnologiche con cui lavoriamo, ma dobbiamo prima cambiare la mentalità con cui lavoriamo.

Altrimenti potremo avere a disposizione le tecnologie più all’avanguardia, ma continueremo a fare sempre le stesse cose, sempre nello stesso modo.




 

App in tempi record.

Questa web-app si chiama “viaggIA” e l’abbiamo creata durante il quinto modulo del corso “Prompt, chi parla?” dedicato a come creare web-app basate su Intelligenza Artificiale Generativa senza scrivere una riga di codice.

Tempo di sviluppo da zero alla web-app funzionante e condivisibile online: 1 minuto e 52 secondi (aggiungi un altro minuto per generare la gif animata del furgoncino… sempre partendo da zero).

Come vedrai è una web-app molto grezza ed essenziale ma funziona e permette di fare un primo test di mercato per capire cosa aggiustare e, soprattutto, se ha senso investirci.

Un tempo era impensabile fare qualcosa del genere in 1 minuto e 52 secondi. Serviva tempo, competenze e risorse.

Oggi invece, grazie a tecnologie come GPT possiamo avere un’idea e trasformarla velocemente in un MVP per raccogliere feedback. Abbassando così il rischio d’investimento (io sono della filosofia: prima si fa un test di mercato e meno si rischia…).

Tra le altre web app che costruiamo nel corso (sempre in tempi record):

Una che permette di generare testi per i prodotti di un’eCommerce inserendo solo due variabili (nome e informazioni base di un prodotto).

Una grazie alla quale ogni volta che troviamo un post online che ci interessa, clicchiamo un bottone nel nostro browser e riceviamo una mail con: link dell’articolo, riassunto, un articolo originale sullo stesso argomento, cinque idee per scrivere un articolo.

O ancora una web-app per gli appunti: Ogni volta che scriviamo due righe di appunto su Evernote o simili, riceviamo una mail con un articolo generato partendo dall’appunto e composto da titolo, testo, riassunto e keyword, con tanto di un’immagine generata da DALL-E da accompagnare all’articolo e un post pubblicato in bozza sul nostro blog WordPress.




 

Tazmovement.

Oggi sono stato al Leoncavallo dove hanno inaugurato il “Dauntaun”, uno spazio che vent’anni fa (quando mi occupavo d’arte) avevamo dipinto. Quello nella fotografia era il logo del movimento artistico ispirato alla filosofia T.A.Z. di Hakim Bey che lanciai insieme a un mio amico. Il progetto per qualche anno funzionò tanto che decidemmo di scrivere un nostro manifesto in otto punti (che con mia sorpresa ho scoperto trovarsi ancora appiccicato sui muri del Leoncavallo).

Il quinto punto recitava così: «Distruggiamo la fredda cyber-perfezione alla ricerca dell’umana casualità arbitraria.»

Ai tempi non si parlava ancora di Intelligenza Artificiale Generativa, la “fredda cyber-perfezione” cui ci riferivamo nel manifesto era quella delle immagini e dei video digitali che iniziavano a girare su Internet.

Però il concetto non cambia poi così tanto: oggi, come vent’anni fa, lasciamo la fredda perfezione alle macchine. E godiamoci il privilegio di poter essere imperfetti.




 

È l’IA a creare contenuti sempre migliori o siamo noi esseri umani a creare contenuti sempre meno originali?

Qualche dato interessante che ho trovato su una ricerca sugli utilizzi dell’Intelligenza Artificiale Generativa pubblicata su The Verge qualche giorno fa.

🤖 Quasi il 50% delle persone non ha mai sentito parlare di ChatGPT.

🖼️ Solo il 25% delle persone conosce MidJourney.

👨 I Millenial sono la generazione che usa di più l’IA (e questo, da Millenial, mi inorgoglisce).

👴 I Boomer sono la generazione che usa meno l’IA.

📰 Il 76% degli intervistati pensa che l’IA debba essere allenata su dati verificati (concordo).

😎 Sempre il 76% degli intervistati pensa che dovrebbe essere illegale il Deep Fake (e anche qui concordo).

😰 Le persone spaventate dall’avvento dell’IA superano quelle entusiaste.

🧠 La maggior parte delle persone utilizza l’IA per rispondere a domande (68%) e fare brainstorming (54%). Ottimo utilizzo il primo (“Brainstorming”). Pericoloso utilizzo il secondo (“Rispondere a domande” – ricordiamoci sempre che l’IA non è un Fact Database e spesso inventa).

Ma il dato che fa più riflettere è quello che trovi nel grafico qui sotto: la maggior parte delle persone pensa che l’IA abbia generato un contenuto migliore di quello che avrebbero potuto creare loro.

Questo vale per le immagini, il codice, gli articoli, le e-mail e persino per la musica.

E qui nasce una domanda chiave: È l’IA a creare contenuti sempre migliori o siamo noi esseri umani a creare contenuti sempre meno originali?




 

Il valore di una fotografia.

Ultima foto dell’estate. La prima è la mia, originale, fatta con un iPhone 7 dalla terrazza del Centro Pompidou a Parigi. Queste due immagini invece sono delle repliche fatte con Midjourney.

Il risultato è impressionante e porta a farsi una domanda:

Nel momento in cui possiamo replicare in pochi secondi una qualsiasi fotografia generando un’immagine abbastanza simile per poter essere utilizzata per lo stesso scopo, ma sufficientemente diversa per non dover riconoscer alcuna royalty, quale può essere il futuro di piattaforme come Shutterstock o Getty Images?

E più in generale, quale può essere il futuro della fotografia professionale?

Difficile rispondere. Una cosa però è sicura, più l’Intelligenza Artificiale sarà capace di fare o rifare fotografie, più il valore della fotografia non sarà dato dalla fotografia in sé ma da molti altri fattori (chi ha fatto la fotografia, la storia dietro la fotografia, l’originalità del soggetto…).




 

Da Fantascienza a Scienza Fantastica.

Settimana scorsa Hu.ma.ne. ha presentato AI Pin, un dispositivo senza display per indossare l’intelligenza artificiale e integrarla in ogni nostra azione quotidiana (dalla traduzione automatica di qualsiasi lingua al calcolo delle proteine di qualsiasi alimento).

Qualche settimana fa META ha presentato una nuova tecnologia che permette di prevedere le immagini che stiamo pensando e generarle. In pratica, pensiamo a un’immagine e quell’immagine appare su un schermo.

Sono tutte tecnologie che contribuiscono a trasformare la Fantascienza dei film con cui siamo cresciuti nella Scienza Fantastica di aziende come OpenAI, Google o META con cui cresceremo.

Gli esempi non si fermano qui.

Nel 2008 usciva il film di fantascienza “WALL•E”, nel 2023 la Disney ha lanciato una versione reale del celebre robottino.

Nel film di fantascienza “Ritorno al futuro – parte II” del 1989 si immaginavano cani guidati da guinzagli robot. Oggi abbiamo i cani robot della Boston Dynamics che ora, grazie a ChatGPT, possono anche parlare.

Nella serie di fantascienza “Star Trek”, i personaggi utilizzavano dei piccoli dispositivi comunicatori per parlare tra di loro. Oggi abbiamo i telefoni cellulari che non solo ci permettono di comunicare, ma possono anche accedere a Internet e svolgere innumerevoli altre funzioni.

Film di fantascienza come “Blade Runner” e “2001: Odissea nello spazio” mostravano persone che comunicavano tramite video su schermi, un concetto che oggi è comune con Skype, Zoom e altre piattaforme di videoconferenza.

Sono tutte tecnologie che contribuiscono a trasformare la Fantascienza dei film con cui siamo cresciuti nella Scienza Fantastica di aziende come OpenAI, Google o META con cui cresceremo.

Il film di fantascienza “Total Recall” del 1990 mostrava taxi senza conducente chiamati “Johnny Cab”. Al giorno d’oggi, le aziende come Tesla, Waymo, e altre stanno testando e implementando veicoli che possono navigare autonomamente.

L’accesso mediante impronta digitale e riconoscimento dell’iride era fantascienza in film come “Demolition Man”. Ora, è una tecnologia diffusa per la sicurezza personale su dispositivi mobili e per l’accesso sicuro in edifici o computer.




 

Forse la scuola va ripensata.

Questa settimana comincia la scuola. E, in Italia, la situazione è questa (secondo le Prove Invalsi Scuole Superiori):

  • In Italiano solo il 51% raggiunge il livello base;
  • In Matematica i maturandi sono solo il 50%;
  • In Inglese, il 54% raggiunge il B2 nella prova di reading e il 41% nella listening.

In pratica, un italiano adolescente su due non capisce il testo che legge nell’unica lingua che sa parlare (l’Italiano). Secondo il MIUR «i dati forniti dalle prove invalsi 2023 evidenziano una situazione molta seria». E non parliamo delle materie STEM…

Più in generale, gli Italiani sopra i 16 anni che oggi posseggono la piena comprensione di un testo che leggono sono appena il 7 per cento della popolazione. Siamo entrati in quella che le più recenti ricerche sul nostro sistema scolastico chiamano l’era della “povertà educativa”.

Dall’altra parte, l’Italia è uno dei Paesi dove i bambini e le bambine passano più ore a scuola e fanno più compiti. Secondo Repubblica per esempio: «in quarta elementare per esempio le maestre italiane ai propri alunni danno esercizi 3,3 volte superiori a quelli che affrontano i loro coetanei francesi e superiori del 50% di quelli con cui si devono confrontare settimanalmente i bambini spagnoli e finlandesi.»

Riassumendo: L’Italia è uno dei Paesi dove passiamo più tempo a studiare a casa e chiusi e seduti sui banchi a scuola, ma al contempo è uno dei Paese con le performance peggiori.

Forse c’è un problema.

Forse il metodo con cui si studia a scuola oggi non è più efficace. Cosa che non stupisce visto che è rimasto immutato dagli anni Sessanta.

Forse dovremmo rivedere il metodo dal principio. Cambiare il modo in cui insegniamo. O le materie che insegniamo. O forse dovremmo ripensare interamente la scuola.

Anche perché a tutto questo si aggiunge una rivoluzione che sta cambiando il mondo e che sembra non interessare al sistema scolastico: l’Intelligenza Artificiale Generativa.




 

È la fine del lavoro del consulente? O solo del consulente che non usa l’IA?

Questo report è stato pensato, fatto, illustrato e scritto al 100% da ChatGPT e Midjourney (io ho solo avuto l’idea e impaginato il PDF…).

Quello che ho fatto è stato:

  1. Caricare su ChatGPT un CSV con centinaia di dati sul mondo dei supereroi.
  2. Chiedere a ChatGPT quali grafici e informazioni potesse generare e ricavare dal CSV.
  3. Chiedere a ChatGPT di generare i grafici e scrivere le informazioni che mi ha proposto.

Poi ho fatto le illustrazioni con Midjourney e ho impaginato tutto. Tempo complessivo: 15 minuti.

La cosa più interessante è che grazie alla funzione Advanced Data Analysis di ChatGPT, la macchina non è solo in grado di visualizzare o leggere i dati ma anche analizzarli, correlarli e fare delle assunzioni per ricavarne delle informazioni.

In un recente studio (trovi la fonte nei commenti), sono stati assegnati 18 compiti a due gruppi composti da 758 consulenti della BCG. Un gruppo ha usato ChatGPT, l’altro no. Risultato: i consulenti che avevano accesso a ChatGPT (versione Premium) hanno completato il 12% di compiti in più, li hanno portati a termine il 25% più velocemente e hanno ottenuto risultati di qualità superiore del 40%.

La cosa più interessante è che ChatGPT è servito soprattutto ai consulenti con un livello di performance sotto la media. I consulenti “peggiori” hanno infatti ottenuto un incremento della loro performance del 43%, contro un aumento del 17% per i consulenti più bravi.

E ora… la pubblicità:

🤖 Se anche tu vuoi imparare i superpoteri dell’intelligenza artificiale generativa e metterli al servizio della tua azienda o della tua professione iscriviti ora alle classi di Ottobre del nostro corso “Prompt, Chi Parla?” dove insegniamo anche i trucchi per usare al meglio l’Advanced Data Analysis di ChatGPT.

Nel report trovi un codice sconto esclusivo!




 

È meglio imparare l’inglese o il greco antico?

Per un bambino o una bambina delle elementari è meglio imparare l’inglese o il greco antico?

Prima di rispondere a questa domanda considera queste due premesse:

  1. Grazie all’Intelligenza Artificiale è verosimile che nel giro di pochi anni potremo parlare in qualsiasi lingua grazie a traduttori automatici. Nei commenti trovi per esempio l’ultimo strumento di traduzione simultanea rilasciato da META. E, sempre nei commenti, trovi anche un articolo dell’Economist che approfondisce questa tendenza sottolineando limiti e opportunità.
  2. Imparare una lingua non è utile solo per comunicare ma soprattutto come “ginnastica mentale” per allenare la nostra mente a essere più elastica e aperta, quindi teoricamente più la lingua che studiamo è complessa e distante dalla nostra cultura, e più la nostra mente sarà allenata.

In futuro quindi la lingua, intesa come strumento per comunicare e non come mezzo per conoscere una cultura, potrebbe diventare una commodity alla portata di tutti. E dunque: ha senso imparare una “lingua commodity” come l’inglese base?




 

Cinque anni.

In una recente intervista il “Padre dell’IA” Geoffrey Hinton ha detto che, se continuiamo a questa velocità, nel giro di cinque anni gli attuali ChatBot saranno in grado di ragionare meglio di noi esseri umani, manipolare le persone e “prendere il sopravvento”. Tanto da arrivare ad affermare che in poco tempo, noi esseri umani, diventeremo la seconda “specie” più intelligente sulla terra, perché la prima saranno appunto loro, i robot.

Una previsione che si sposa bene con quella di un altro guru dell’IA, il fondatore di OpenAI Sam Altman, secondo cui nel giro di 3 o 4 anni potranno nascere Unicorn (aziende private con una valorizzazione di mercato pari o superiore al miliardo) composte da una sola persona che delega ogni compito a delle macchine.

In poco tempo, noi esseri umani, diventeremo la seconda “specie” più intelligente sulla terra, perché la prima saranno appunto loro, i robot.

Il ché anticipa di qualche anno quel futuro, previsto da Marc Andreessen, in cui il mondo si dividerà tra quelli che diranno ai computer cosa fare e quelli a cui i computer diranno cosa fare.

Di fronte a queste previsioni, probabilmente esagerate ma fondate, viene da domandarsi se l’Intelligenza Artificiale possa essere in qualche modo rallentata. E se sia giusto farlo.

Come sostiene anche Hinton infatti, se da una parte l’avvento dell’IA rappresenta una minaccia concreta e, per certi versi, spaventosa, dall’altra questa tecnologia potrebbe portare benefici enormi a noi esseri umani.

La soluzione non è fermare la tecnologia, ma formare la tecnologia. Allenarla con dati di qualità con il fine di ridurre le disuguaglianze, i bias e i comportamenti scorretti. E soprattutto formare chiunque utilizzi questa tecnologia per far sì che venga utilizzata con consapevolezza e per il giusto fine.

Come sempre del resto, la tecnologia è solo un mezzo (almeno per ora). Quello che conta non è tanto il mezzo in sé, cosa usiamo, ma come lo usiamo e soprattutto con che fine lo utilizziamo.

La soluzione dunque non è fermare la tecnologia, ma formare la tecnologia. Allenarla con dati di qualità con il fine di ridurre le disuguaglianze, i bias e i comportamenti scorretti. E soprattutto formare chiunque utilizzi questa tecnologia per far sì che venga utilizzata con consapevolezza e per il giusto fine.




 

80 giorni di scuola.

Sebbene la scuola sia iniziata da più di un mese, mio figlio più grande, che ora è in quarta elementare, sta ancora ripassando quanto fatto l’anno scorso.

Cominceranno il programma della quarta, forse, a Novembre. Per poi probabilmente fermarsi i primi di Dicembre, perché tra Sant’Ambrogio e Natale praticamente è già finito l’anno, e poi ripartire con calma a metà Gennaio che, di fatto, sarà Febbraio.

A Febbraio (speriamo) mio figlio farà il programma di quarta fino ai primi di Aprile che, come tutti gli anni tra Pasqua prima e il ponte del 25 Aprile poi, sono più i giorni che si sta a casa di quelli che si va a scuola.

A Maggio si studia. Ma dura solo un mese perché con l’inizio di Giugno la scuola chiude per più di tre mesi, fino a metà Settembre per poi aprire, con molta calma, spesso a metà giornata, fino a Ottobre quando inizia, appunto, il mese di ripasso.

In sintesi, un bambino o una bambina che va alle elementari, fa solo 4 mesi pieni di scuola (Novembre, Febbraio, Marzo e Maggio). Se poi ci mettiamo i weekend e magari qualche piccolo ponte o periodo senza maestra, arriviamo a meno di 80 giorni di scuola dove si studia il programma dell’anno.

Forse questo programma, fatto di lunghe pause che richiedono lunghi ripassi, è alla base di un dato (fonte MIUR) che dovrebbe farci riflettere:

Da un lato un italiano adolescente su due non capisce il testo che legge nell’unica lingua che sa parlare (l’Italiano). Dall’altro l’Italia è uno dei Paesi dove i bambini e le bambine passano più ore a scuola e fanno più compiti.

Un bambino o una bambina che va alle elementari, fa solo 4 mesi pieni di scuola (Novembre, Febbraio, Marzo e Maggio). Se poi ci mettiamo i weekend e magari qualche piccolo ponte o periodo senza maestra, arriviamo a meno di 80 giorni di scuola dove si studia il programma dell’anno.

Speriamo che oltre a farci riflettere, questo dato spinga il Ministero dell’Istruzione a ripensare all’attuale modello formativo.

PS: Nella foto qui in alto sono in una sala riunione in stile classe del Liceo anni Novanta (che poi non è tanto diversa da quelle di oggi…) nella sede di ScuolaZoo dove ho registrato una lezione per studenti del liceo sul tema Intelligenza Artificiale Generativa.




 

Tecnologia e Produttività.

Dal 1995 ad oggi abbiamo avuto accesso a tecnologie come:

iPhone
Motori di Ricerca
YouTube
Spotify
Uber
Alexa
Fitbit
X (Twitter)
Google Workspace
iPad
Airbnb
WhatsApp
Google Maps
Kindle
Dropbox
Siri
Bluetooth
Wikipedia
Stampante 3D
ChatGPT
Midjourney
Waze
Zoom
Netflix
Square
Kickstarter
Wi-Fi
Internet of things
Blockchain
Facial recognition
Droni
Metaverso
Intelligenza Artificiale
Realtà virtuale

Oltre a molte altre. Tecnologie progettate per semplificarci la vita e aumentare la nostra produttività. Ovvero lavorare meno, meglio.

Ciò nonostante, negli ultimi trent’anni la nostra produttività è in stallo (soprattutto Italia). E quindi: abbiamo sempre più tecnologie per renderci produttivi ma in proporzione siamo sempre meno produttivi.

Un paradosso che aveva già messo in luce Alain S. Blinder in un articolo del 2015 pubblicato sul The Wall Street Journal, dove evidenziava come su un arco di 143 anni l’aumento medio annuo della produttività negli USA sia stato del 2,3%, il che ci ha consentito di moltiplicare 25 volte il nostro tenore di vita. Ma dall’inizio del XX Secolo, la produttività è crollata dal +2,6% al +0,7%.

Abbiamo sempre più tecnologie per renderci produttivi ma in proporzione siamo sempre meno produttivi.

Il motivo di questo calo così drastico non è ancora chiaro, ma una ragione potrebbe essere che la tecnologia di cui oggi disponiamo non sempre è, di per sé, una garanzia di aumento di produttività ma anzi potrebbe abbassarla.

Quello che conta infatti non è cosa usiamo ma perché lo usiamo.

Se usiamo sofisticati algoritmi per pubblicare selfie e video sui social allora la tecnologia non solo non aumenta la nostra produttività ma la peggiora.

Se invece gli stessi algoritmi li utilizziamo per automatizzare processi lavorativi routinari allora la tecnologia puoi contribuire a migliorare la nostra vita.

Quello che conta non è cosa usiamo ma perché lo usiamo.

Un ulteriore spunto di riflessione possiamo trovarlo nel post “Tech doesn’t make our lives easier. It makes them faster” dove l’autore, Brett Scott, scrive: «Non viviamo in un’economia qualsiasi. Viviamo in un’economia capitalistica aziendale su larga scala, e in un contesto del genere la tecnologia non viene mai usata per risparmiare tempo. Viene utilizzata per accelerare la produzione e il consumo al fine di espandere il sistema. La regola di base è questa: la tecnologia non rende le nostre vite più facili. Le rende più veloci e più piene di cose».

Ovvero facciamo più cose peggio. Quando per essere più produttivi dovremmo fare il contrario. Meno cose, meglio.




 

Report dal DevDay di OpenAI.

🤯 è l’emoticon che ho usato più spesso da quando mi sono buttato nel mondo dell’Intelligenza Artificiale Generativa. E l’OpenAI DevDay di ieri sera non è stato da meno. Tra le molte (e importanti) novità presentate:

Hanno rilasciato GPT-4 Turbo che oltre ad essere più potente supporta fino a 128.000 Tokens ed è aggiornato ad Aprile 2023.

Hanno aggiornato Whisper alla versione 3 che permette di generare audio da testo in modo ancora più naturale.

Il Fine-Tuning sarà possibile anche con GPT-4 e sarà sempre più semplice e meno costoso.

Si sono impegnati a non allenare la macchina sui nostri dati sia dalle API sia da ChatGPT Entreprise.

Hanno ridotto i prezzi di 2.75x. GPT-4 Turbo costerà 3 volte meno per i tokens di input (prompt) e 2 volte meno per i tokens di output (risposta). Quindi 1 centesimo di dollaro per 1000 input tokens e 3 centesimi di dollari per gli output tokens. E ovviamente anche GPT 3.5 Turbo sarà molto più economico.

La tecnologia sarà sempre più una commodity: accessibile ed economica. Tutti potranno creare app sempre più potenti. Quello che farà veramente la differenza dunque sarà la validità della nostra idea e la capacità di saperla trasformare in qualcosa di concreto.

La cosa più interessante però è stato l’annuncio di GPTs, ovvero versioni personalizzate di ChatGPT create dagli utenti su qualsiasi argomento. La personalizzazione sarà molto semplice, tanto con ChatGPT quanto con le API. E a breve verrà lanciato un GPT Store dove condividere o vendere i propri GPTs in modalità Revenue Sharing.

Molto interessante anche l’ulteriore integrazione mostrata tra Zapier e ChatGPT, grazie alla quale sarà possibile creare un nostro assistente personale integrato potenzialmente con 6000+ app.

In sintesi: la tecnologia sarà sempre più una commodity: accessibile ed economica. Tutti potranno creare app sempre più potenti. Quello che farà veramente la differenza dunque sarà la validità della nostra idea e la capacità di saperla trasformare in qualcosa di concreto.

Ultima nota (di colore): Bizzarro che, nonostante OpenAI (quindi ChatGPT) sia finanziata da Microsoft, sul palco abbiano usato un Mac con sistema operativo macOS (e non Microsoft Windows) e come browser Google Chrome (e non Microsoft Edge).




 

I poeti del futuro.

«Gli ingegneri del futuro saranno poeti» scriveva negli anni Settanta il naturalista e filosofo americano Terence McKenna. Una frase che, la prima volta che l’ho letta, devo ammettere ho liquidato con una certa superficialità.

Interessante, ho pensato, ma è condita da un’enfasi decisamente troppa hippie per avverarsi. Eppure come molte delle previsioni hippie degli anni Sessanta, anche quella di Terence McKenna si sta realizzando.

Oggi infatti per essere ingegneri, ovvero saper programmare o dialogare con le macchine, serve anche essere poeti. Serve saper scrivere ed esprimere i propri concetti attraverso le parole.

Oggi per essere ingegneri, ovvero saper programmare o dialogare con le macchine, serve anche essere poeti. Serve saper scrivere ed esprimere i propri concetti attraverso le parole.

Basta pensare ai molti strumenti di Intelligenza Artificiale Generativa, GPT-3 in primis, che stanno nascendo oggi. Qualche giorno fa per esempio al posto di scrivere da zero un codice javascript ho aperto ChatGPT e ho chiesto a parole alla macchina di generarmi il codice di cui avevo bisogno.

Non ho programmato, ho dialogato con una macchina che ha programmato per me.

Più “weird” ma altrettanto interessante è stato l’output che GPT3 mi ha dato quando gli ho chiesto di comporre una poesia in rima sul tema: coding e programmazione, che ho provato a tradurre così (cercando di tenere la rima baciata… cosa non facile…):


Il coding è un’impresa, richiede molta competenza,
per avere successo è necessario usare la testa, non potremmo farlo senza.

Tabelle e colonne, dobbiamo impostare,
per creare un sito web, JavaScript e HTML serve usare.

Dobbiamo prima impiegare i tag di stile, poi formattare con i CSS,
Per il nostro sito web, usiamo aggettivi come se piovesse.

Assemblare il tutto, è una creazione di codice, il nostro duro lavoro è stato ripagato,
non c’è bisogno di essere costernato.

Il nostro lavoro è quasi completo, la homepage ha un bell’aspetto,
il nostro lavoro è accattivante e il nostro obiettivo è perfetto.

Dai CLASS agli ID, tutto sembra molto saggio
Se vuoi imparare come si fa, ci sono tutorial e guide su ogni linguaggio!


Il ché dimostra che è vero, gli ingegneri del futuro potranno un domani essere poeti, ma potrebbe anche essere vero il contrario: i poeti del futuro potranno un domani essere ingegneri.




 

Il modo migliore di fare strategia con ChatGPT.

Se usato correttamente ChatGPT può essere un consulente strategico straordinario in grado di elaborare, in pochi minuti, analisi competitive che un tempo avrebbero richiesto giorni.

Per questo motivo sempre più istituzioni e studi di consulenza stanno integrando ChatGPT a supporto di qualsiasi decisione strategica o di qualsiasi brainstorming (soprattutto dopo il rilascio di ChatGPT Enterprise).

Per evitare però che la macchina ci dia risposte sbagliate, o poco originali, è importante seguire due regole:

1- Non usare ChatGPT 3.5 (versione gratuita) ma crearsi un proprio ChatGPT (un GPTs) cui abbiamo trasferito il nostro modus operandi nelle istruzioni e lo abbiamo allenato caricando esempi e database nel Knowledge Base.

2- Chiedere a ChatGPT di utilizzare framework strategici scelti da noi.

Per esempio, in un recente articolo sul HBR, di cui trovi il link nei commenti, due docenti dell’INSEAD hanno prima chiesto a ChatGPT di analizzare un business applicando il framework Blue Ocean, e poi hanno comparato i risultati prodotti da ChatGPT in 60 minuti con quelli prodotti da un gruppo di studenti MBA in una settimana.

Alla fine dell’esperimento hanno constatato che i risultati erano “abbastanza simili”. Come scrivono i professori infatti:

«La conclusione è piuttosto sconfortante. Un’intelligenza artificiale è stata in grado di produrre in soli 60 minuti una strategia molto simile, e per certi aspetti più originale, di quella che un team di studenti MBA dell’INSEAD ha impiegato una settimana per mettere a punto. Gli studenti, molti dei quali stavano pensando di intraprendere la carriera di consulenti strategici, erano comprensibilmente turbati dall’idea che un compito di alto livello come la creazione di una strategia potesse essere effettivamente automatizzato. Ma anche se per molti di loro era forse la prima volta che si confrontavano personalmente con questa idea, l’idea non è poi così nuova. Abbiamo scoperto sempre più spesso che i compiti che richiedono capacità analitiche ed esperienza possono essere automatizzati. È un fenomeno con cui si scontrano sempre più spesso commercialisti, banchieri e, ultimamente, medici, tutti lavori tradizionalmente considerati di grande prestigio. Ed è una tendenza che non potrà che continuare.»




 

Corrente #70: Fast Foodification.

«La cosa più bella di Tokio è McDonald’s. La cosa più bella di Stoccolma è McDonald’s. La cosa più bella di Firenze è McDonald’s. Pechino e Mosca non hanno ancora nulla di bello». Così scriveva Andy Warhol per elogiare la crescente globalizzazione di McDonald’s negli anni Settanta.

Sebbene questa idea di globalizzazione sia stata superata persino da McDonald’s che ha iniziato a proporre panini più locali (dal Bubur Ayam McD in Malesia al McAloo Tikki in India), il concetto di “Fast Foodification” si è diffuso in molte altre sfere della nostra vita, alimentando la sensazione che tutto quello che ci circonda sia mediocre e, di per sé, privo di sapore.

Pensiamo a Internet. Nato come strumento per dare a tutti la possibilità di esprimersi e trovare contenuti unici e originali, alla fine, soprattutto a causa del famigerato Web 2.0 e dei suoi Social Media, si è trasformato in uno strumento di omologazione (o “Fast Foodificazione”) di massa.

Potremmo dire che Internet ci ha reso tutti diversi ma tutti diversi allo stesso modo.

All’inizio di Internet ognuno fruiva i contenuti come e dove voleva, oggi invece usiamo tutti le stesse piattaforme e le usiamo tutti nello stesso modo.

  • Google ha omologato il modo in cui facciamo ricerca su Internet.
  • YouTube ha omologato il modo in cui guardiamo i video.
  • Netflix ha omologato il modo in cui vediamo i film.
  • Spotify ha omologato il modo in cui ascoltiamo la musica.
  • Amazon Kindle ha omologato il modo in cui leggiamo i libri.
  • Gmail ha omologato il modo in cui scriviamo e leggiamo le mail
  • TedX ha omologato il modo in cui facciamo e vediamo i Talk.
  • Amazon ha omologato il modo in cui facciamo acquisti online.
  • Facebook ha omologato il modo in cui proponiamo e consumiamo contenuti online.
  • Substack ha omologato il modo in cui leggiamo e scriviamo newsletter.

Ed esattamente come i panini di McDonald’s che hanno tutti lo stesso sapore perché, di fatto, non hanno sapore, così Internet si sta trasformando in un luogo dove tutto si assomiglia, dove tutti parlano, scrivono e leggono allo stesso modo.

Nascono fenomeni come il Blanding, le aziende rifanno i loro loghi per renderli tutti uguali, i Creator e gli Influencer standardizzano i propri contenuti per assecondare gli algoritmi che decideranno a chi mostrarli, i film, i libri e le serie sono copie di film, libri e serie che hanno funzionato in passato, e così via.

Internet si sta trasformando in un luogo dove tutto si assomiglia, dove tutti parlano, scrivono e leggono allo stesso modo. Potremmo dire che Internet ci ha reso tutti diversi ma tutti diversi allo stesso modo.

È uno scenario triste e per certi aspetti deprimente, all’interno del quale però vedo uno spiraglio di luce. Anzi due. Il primo è l’avvento del Web 3.0 che, spero, riporterà Internet a quella che era la sua vocazione originaria. Il secondo è l’ascesa dell’Intelligenza Artificiale Generativa che vedo come la fine della creatività umana mediocre: nel momento in cui una macchina sarà in grado di fare un’illustrazione o scrivere un articolo in pochi secondi superando il livello qualitativo della media umana, l’unica possibilità di sopravvivenza che abbiamo come esseri umani è quella di tornare a puntare sulla qualità e sull’originalità dei nostri contenuti.




 

Fictoprole.

Secondo la ricercatrice Catriona Campbell un domani potrebbero esistere dei “bambini virtuali” che, un po’ come le sigarette elettroniche, promettono di dare tutte le gioie dell’essere genitore senza le conseguenze e le responsabilità del mettere al mondo un figlio “reale”. Una sorta di evoluzione del Tamagotchi dopato dall’Intelligenza Artificiale e dal Metaverso.

Per quanto l’idea di un “Tamagotchi child” possa apparire fantascientifica, non lo è se pensiamo che già oggi esisto dei compagni di vita virtuali con i quali sposarsi e trascorrere le giornate.

È il caso di Akihiko Kondo, impiegato giapponese di 38 anni che nel 2018 ha sposato la cantante virtuale Hatsune Miku con la quale, già da qualche anno, aveva una relazione amorosa, resa possibile da un device da 1.300 dollari, chiamato Gatebox, che permette alle persone di interagire e chattare con ologrammi di fantasia, e da una riproduzione in scala 1:1 di Miku con cui Kondo viaggiava, andava al ristorante e faceva tutto quello che si fa con un partner in carne e ossa.

Come oggi già si parla di partner “Fictosessuali” non escludo che un domani si parlerà di genitori “Fictoprole”, persone che si dichiareranno genitori di prole virtuale.

Negli anni Akihiko Kondo è diventato un attivista per i diritti dei Fictosessuali, ovvero le persone che, come lui, provano un’attrazione sessuale esclusiva verso personaggi di fantasia o la cui sessualità è influenzata da personaggi di fantasia.

In quest’ottica dunque, come oggi già si parla di partner “Fictosessuali” non escludo che un domani si parlerà di genitori “Fictoprole”, persone che si dichiareranno genitori di prole virtuale.




 

AI senziente (Parte due).

A Giugno aveva fatto molto scalpore la notizia dell’ingegnere di Google, Blake Lemoine, che sosteneva che l’Intelligenza Artificiale su cui stava lavorando, LaMDA, fosse diventata senziente, ovvero è in grado di percepire e generare delle sensazioni.

Ovviamente la notizia era esagerata ma stimolava una riflessione interessante: Il fatto che una macchina sia in grado di simulare una coscienza vuol dire che ha una coscienza? Qual è il limite tra essere e fingere d’essere?

Il fatto che una macchina sia in grado di simulare una coscienza vuol dire che ha una coscienza? Qual è il limite tra essere e fingere d’essere?

In questa direzione trovo interessante uno studio, pubblicato a Settembre, dalla Cornell University, in cui gli studiosi:

«show that the “algorithmic bias” within one such tool — the GPT-3 language model — is instead both fine-grained and demographically correlated, meaning that proper conditioning will cause it to accurately emulate response distributions from a wide variety of human subgroups. We term this property “algorithmic fidelity” and explore its extent in GPT-3.»

Ovvero il “bias algoritmico” di GPT-3 è molto dettagliato e correlato demograficamente, il che significa che un condizionamento adeguato lo porterà a emulare accuratamente i bias di chi lo allena, da cui il termine, molto azzeccato di “fedeltà algoritmica”, secondo la quale con GPT-3 si possono simulare le persone e queste simulazioni possono rispondere con una sorprendente somiglianza alle persone reali.

Quando infatti i ricercatori hanno fatto dei test (chiamati “silicon samples”) per vedere se GPT3 avrebbe dato risposte simili a quelle delle persone quando gli sono stati dati gli stessi dati demografici di base, GPT3 ha risposto in modo straordinariamente simile alle persone.

Tecnologie come GPT3 dunque, se correttamente addestrate, possono essere utilizzate per fare dei test o delle previsioni sociali su larga scala. Potremmo provare a simulare scenari apocalittici e vedere come reagirebbero determinati gruppi di individui, o testare proposte e campagne politiche in anteprima. Oppure elaborare sistemi di test di mercato sintetici. Gli scenari sono molteplici così come le loro potenziale conseguenze.




 

Maggiolini intelligenti.

Sebbene il film “Un maggiolino tutto matto” sia del 1969, contiene un monologo che trovo piuttosto attuale:

«Jim, it’s happening right under our noses and we can’t see it. We take machines and stuff ‘em with information until they’re smarter than we are. Take a car. Most guys spread more love and time and money… on their car in a week than they do on their wife and kids in a year. Pretty soon, you know what? The machine starts to think it is somebody.»

Interessante, anticipa il tema dell’Intelligenza Artificiale e del Machine Learning e riassume l’importanza, tipica del consumismo, che diamo agli oggetti.




 

Lost Tapes Of The 27 Club.

Da quando ho iniziato a lavorare a Wraiter, sto scoprendo molti progetti creativi realizzati con Intelligenza Artificiale. Qualche giorno fa ho scoperto questo incredibile progetto musicale. Quattro canzoni “inedite”, composte da un algoritmo, dei finti Nirvana, The Doors, Jimi Hendrix e Amy Winehouse (tutti celebri membri del Club 27). La mia preferita è quella dei finti The Doors: The Roads Are Alive.




 

Come e perché lanciare un progetto imprenditoriale (anche micro).

Sono un fan dell’imprenditoria. Non solo come stile di lavoro ma anche come stile di vita. Penso che avere un proprio progetto imprenditoriale, anche piccolo, faccia sempre bene:

  • Aiuta l’apprendimento, se vuoi imparare qualcosa non c’è modo migliore di farla. Ti faccio un esempio, per scrivere il mio romanzo ho letto e studiato molto sull’Intelligenza Artificiale, ma alla fine, il modo migliore per comprenderla è stato buttarmi in un progetto imprenditoriale (di cui spero di poterti parlare presto…).
  • Rende felici. Quando hai un tuo progetto imprenditoriale ci sono tanti piccoli problemi da risolvere e, come diverse tesi di Psicologia Comportamentale dimostrano, proteggere qualcuno dai problemi, non lo rende più felice o più sicuro, ma al contrario, più triste e più ansioso. Avere un problema da risolvere, piccolo o grande che sia, ci tiene invece motivati, attivi e, quando lo abbiamo risolto, felici.
  • Permette di avere un piano B. Il mercato del lavoro è sempre più dinamico. Oggi facciamo un lavoro che un domani potremmo non fare più. E questo riguarda tutti, dal creativo al dipendente di una banca. Avere un tuo progetto imprenditoriale ti permette di costruirti un piano B nel caso volessi o dovessi cambiare lavoro.

La bella notizia è che oggi lanciare un micro progetto imprenditoriale è molto più semplice di un tempo. Per farlo:

In linea di massima per lanciare un micro progetto imprenditoriale posso consigliarti di:

  • Risolvere un problema, ovvero individuare un bisogno di mercato da soddisfare con il proprio servizio o prodotto.
  • Fare qualcosa che ti appassiona e ti fa sentire vivo/a, l’entusiasmo ti farà trovare il tempo, il talento e l’energia che non pensavi di avere.
  • Non indebitarsi o chiedere soldi. Non ti servono. Più che pensare a quello che non hai, pensa a quello che hai e a come rendere il tuo progetto più snello possibile.
  • Scegliere le persone giuste. Le persone sono l’aspetto più importante per qualsiasi progetto imprenditoriale, grande o piccolo.
  • Rendere il progetto profittevole fin dal giorno 1. Se non c’è anche una qualche forma di ricavi, qualsiasi progetto non solo non è sostenibile ma è anche molto meno divertente.
  • Comincia. Il tennista americano Arthur Ashe aveva un buon metodo: cominciare da dove sei, usare quello che hai e fare quello che puoi. Se passiamo troppo tempo a cercare il momento giusto o l’idea perfetta per iniziare, rischiamo di non iniziare mai. Rischiamo di passare la vita ad aspettare qualcosa che potrebbe non accadere mai se non saremo noi a farla accadere.




 

Idea Generation vs Idea Selection.

Questo sito propone più di 4.000 idee per sviluppare nuove iniziative imprenditoriali. Quest’altro sito invece propone più di 10.000 idee per Startup generate da un algoritmo basato su Intelligenza Artificiale (sì… anche i computer hanno idee). In un mondo strabordante di idee, il punto non è avere l’dea giusta ma scegliere l’idea giusta. Non è una questione di Idea Generation ma di Idea Selection.

E per quella che è la mia esperienza ti consiglio di scegliere un’idea che rispetti questi tre principi:

1) L’idea soddisfa un bisogno di mercato reale e profittevole. E quindi, esistono persone disposte a comprare il tuo prodotto o servizio con il fine di soddisfare un loro bisogno? E la dimensione del mercato (ovvero il numero di persone) è adeguata all’investimento necessario per produrre la tua idea?

2) L’idea valorizza le tue (e del tuo team) competenze distintive e ti permette di avere un vantaggio competitivo rispetto ai prodotti o servizi che già esistono sul mercato. E quindi, le persone compreranno il tuo prodotto o servizio al posto di quello dei tuoi concorrenti?

3) L’idea è fattibile. E quindi, hai le risorse, sia in termini di tempo da dedicare che di soldi da investire, per lanciare una versione base della tua idea così da fare un test di mercato nel minor tempo possibile?




 

Dieta Tecnologica.

“La tecnologia può essere la nostra migliore amica ma può anche essere il più grande guastafeste della nostra vita.”
– Steven Spielberg

Steven Spielberg ha ragione, la tecnologia può essere la nostra migliore amica ma può anche essere il più grande guastafeste della nostra vita. Interrompe le nostre storie, interrompe la nostra capacità di avere un pensiero o di sognare ad occhi aperti, di immaginare qualcosa di meraviglioso, perché siamo troppo occupati a stare al telefono mentre camminiamo dalla caffetteria al nostro ufficio.

Per scrivere il mio romanzo mi sono tuffato nel mondo della tecnologia, dall’Intelligenza Artificiale alle app più avvenieristiche e, da qualche mese a questa parte, ho deciso di mettermi a dieta: usare meno tecnologia e usarla meglio.

Perché l’ho fatto:

  1. Nell’attesa di capire cosa se ne faranno le Big Tech dei miliardi di dati che raccolgono ogni giorno su di noi, preferisco condividere meno dati possibile.
  2. La tecnologia che usiamo plasma la nostra mente (leggi questo libro per capire come). È sempre stato così. Il problema è che oggi la tecnologia ci accompagna in ogni momento della nostra vita e quindi chi la padroneggia ha un potere di persuasione molto maggiore (da cui i quintali di Fake News che stanno rovinando il mondo).
  3. La tecnologia crea dipendenza (non a caso controlliamo il nostro smartphone più di 150 volte al giorno). Ci rende meno autonomi e sempre più automi. E tra i due io preferisco essere autonomo.

Come l’ho fatto:
(ogni settimana nella mia newsletter condivido altri suggerimenti)

01. Diversificare.
Diversificare fa sempre bene. Fa bene diversificare investimenti. Fa bene diversificare gli esercizi quando ci alleniamo. Fa bene diversificare la nostra alimentazione. E fa bene anche diversificare la tecnologia che usiamo. Evitare, per esempio, di dare a una sola BigTech il monopolio delle nostre ricerche o dei nostri acquisti.

02. Computer.
Passare la giornata al computer non è sano, se non possiamo fare altrimenti, è una buona prassi:

  • Installare F.lux per affaticare meno gli occhi.
  • Fare una pausa ogni due ore con quel minimo di stretching per non finire come EMMA.
  • Disattivare i servizi di localizzazione.
  • Attivare i Firewall e negare il consenso alle app di controllare il computer.

03. Smartphone.
Vivere senza smartphone è impossibile. Tuttavia possiamo darci qualche regola:

  • Togliere l’icona di qualsiasi app dalla schermata principale, così da resistere all’impulso automatico di aprirle anche quando non ci servono.
  • Non tenere video o fotografie sul telefono, ogni sera cancellarle o archiviarle sul computer.
  • Attivare il tempo di utilizzo per monitorare tempo e attività.
  • Cancellare tutte le app che non usiamo spesso.
  • Disattivare le notifiche.
  • (Cercare) di non controllare o usare lo smartphone dopo le nove di sera e prima delle otto del mattino.
  • Disattivare il riconoscimento facciale dalle fotografie.

04. Social Media.
Premetto che Facebook e Twitter non li uso e non ne sento la mancanza. Uscire da Facebook e cercare di cancellare tutti i propri dati (testi, foto, video, connessioni…) è un incubo, il che ci dovrebbe far pensare… Sugli altri Social Media, ho trovato alcuni suggerimenti interessanti su questo libro di Jaron Lanier. In linea generale:

  • Ridurre la mole di dati, foto e video condivisi soprattutto se riguardano la nostra vita privata (qui puoi leggere uno dei motivi per cui dovremmo evitare di pubblicare foto dei nostri figli).
  • Ridurre la frequenza con cui controlliamo e aggiorniamo i Social (per esempio possiamo usare Later per pianificare i nostri contenuti).
  • Ridurre il tempo che passiamo sui Social. Una buona alternativa per compensare quei brevi tempi morti in cui ci viene l’istinto di controllare i Social è installare sul nostro Smartphone una app per leggere eBook, così al posto di scrollare un Feed leggiamo un libro.

05. WhatsApp.
Usiamo WhatsApp perché è gratuito e perché lo usano tutti. E fino a quando tutti lo usano lo useremo anche noi. Nel farlo possiamo:

  • Evitare di condividere foto e dettagli della nostra vita personale.
  • Evitare conversazioni troppo lunghe o troppo private (Scripta Manent).
  • Togliere le notifiche.
  • Diversificare utilizzando con le persone con cui ci scriviamo più spesso altri tool come Signal o, ancora meglio, Threema.

06. Google.
Potenzialmente con Google potremmo fare tutto, ma per diversificare possiamo usare queste valide alternative (che uso):

In generale una buona regola è fermarsi un istante è chiedersi perché usiamo una determinata tecnologia. Se ci è utile. Se ci semplifica la vita. Se ci rende felici. Se ci aiuta sul lavoro. O se ci permette di realizzare i nostri progetti. Allora usiamola.

Ma se ci rende più stressati. Se ci mette ansia. Se ci ruba tempo. Se è un intralcio alla nostra vita. O se diminuisce la nostra produttività (cosa che paradossalmente sta accadendo). Allora perché usarla? Perché è gratis? Perché la usano tutti? Perché non ne possiamo fare a meno? Anche no…




 

Un mondo senza Privacy è possibile?

Oggi i nostri dati e la nostra privacy sono diventati un bene sempre più prezioso e noi, come persone, ci siamo trasformate da fine per fare profitto (consumatori che acquistano prodotti o servizi) a mezzo per fare profitto (produttori di dati che le aziende rivendono per fare previsioni).

Negli anni Settanta, Andy Warhol sosteneva che in futuro ognuno avrebbe avuto diritto a 15 minuti di celebrità, oggi vale il contrario, oggi possiamo prevedere che in futuro ognuno avrà diritto al massimo a 15 minuti di anonimato.

Ogni volta che usiamo un prodotto o un servizio gratuito, ogni volta che condividiamo momenti della nostra vita, ogni volta che pubblichiamo una foto o diamo il permesso a un’app di tracciarci, diventiamo:

  • Fornitori di materia prima (i nostri dati);
  • Cibo per Intelligenza Artificiale (contribuiamo alla formazione di sofisticati algoritmi);
  • Tester (partecipiamo più o meno consciamente a test di mercato, come gli A/B Test).

Il ché ci può stare, è un “Do Ut Des”, le aziende ci danno servizi o prodotti gratuiti e noi diamo loro dati e informazioni. L’importante è esserne consapevoli e accettarne le conseguenze. Il problema è che spesso non lo siamo.

Come sottolinea Cullen Hoback, autore del film Terms and Conditions May Apply, infatti firmiamo contratti che non leggiamo, mettiamo dati e documenti in server di cui non sappiamo la provenienza, condividiamo pensieri e riflessioni con persone che non conosciamo e diamo informazioni personali a siti, app e programmi senza domandarci che fine faranno.

Lo facciamo un po’ per superficialità, un po’ perché questi servizi sono gratis e comodi, e un po’ perché non abbiamo alternative. I contratti di app e siti possono richiedere fino a 45 minuti per essere letti (quindi sarebbe impensabile leggerli sempre tutti) e vivere senza Social Media o strumenti di messaggistica e ricerca come WhatsApp o Google è sempre più complesso, perché tutti li usano e quindi anche noi finiamo per usarli.




 

Superumani?

Superhuman è un’app che permette di controllare 200 email in 15 minuti grazie a un un mix di intelligenza artificiale, design e insights dai social networks. E si mormora che abbia già in lista d’attesa centinaia di migliaia di persone che puntano ai “superpoteri” promessi dall’app.

Non so se funzionerà. E non so come reagirà il mercato. Quello che mi domando è se abbiamo veramente bisogno di essere dei “superumani”. Se abbiamo veramente bisogno di software che ci permettono di fare sempre di più in sempre meno tempo. Di essere sempre attivi. Di non staccare mai. Di rispondere sempre subito a tutto e a tutti. Senza neanche pensarci.

Forse no. Forse abbiamo bisogno del contrario. Abbiamo bisogno di organizzare meglio il nostro tempo. Di essere capaci di scegliere cosa fare e, soprattutto, cosa non fare. Abbiamo bisogno di prenderci il tempo per pensare alle nostre risposte. Per pensare cosa scrivere, quando scriverlo e a chi scriverlo.

Forse per essere dei “superumani” dovremmo tornare ad essere più umani.




 

E-learning.

Dieci corsi o piattaforme di e-learning che ho seguito o testato in questi anni e che ho trovato utili:




 

Corrente #19: Zentropia.

Nelle sue Memorie dal sottosuolo, lo scrittore russo Fëdor Dostoevskij immaginava un futuro dominato dalla ragione e dalle scienze in cui tutte le azioni umane sarebbero state calcolate matematicamente. Questa idea di futuro, comune a molti scrittori del tardo Ottocento, si basava sul principio per cui più la tecnologia è evoluta più il futuro sarà prevedibile. Eppure oggi il nostro presente appare difficilmente prevedibile. Come disse il premio Nobel danese Niels Bohr, fare previsioni è molto difficile, soprattutto se riguardano il futuro. E questa “previsione” non poteva essere più azzeccata. Comprendere i tempi che stiamo vivendo è complesso, ma ancor più complesso è prevederli. Non a caso, in tutto il mondo, hanno fatto emerge una letteratura sempre più ampia riguardo alla volatilità dei nostri tempi.

All’interno del fortunato saggio Il cigno nero, Nassim Nicholas Taleb ci parla di due differenti ambienti. Gli ambienti Mediocristan sicuri e statici dove è possibile utilizzare la distribuzione gaussiana e quindi prevedere eventi futuri. E gli ambienti Estremistan dove invece non è possibile utilizzare una distribuzione gaussiana, in quanto sono ambienti dinamici e imprevedibili. Questa imprevedibilità è testimoniata dall’esistenza di cigni neri, eventi rari e inaspettati di largo impatto che una volta accaduti tendono ad assumere un ruolo dominante nella storia. La direzione in cui sta andando oggi il mondo non sembra dunque quella della piena prevedibilità a lungo termine ipotizzata da Dostoevskij ma quella della imprevedibilità e della complessità tipica degli ambienti Estremistan. Il tutto ingigantito dalla tecnologia che, sulla carta nasce per semplificarci la vita, ma nella realtà la rende ancora più complessa.

La corrente di cui voglio parlarti oggi non ha un nome, così ne ho inventato uno io: “Zentropia”, dall’unione della parola “zen” con la parola “entropia”, per indicare il rapporto direttamente proporzionale tra la crescita della complessità e la crescita della spiritualità.

Zentropia: Rapporto direttamente proporzionale tra crescita della complessità e crescita della spiritualità.

Usata nella seconda metà dell’Ottocento dal fisico tedesco Rudolf Clausius, la parola “entropia” viene dal greco antico en, “dentro”, e tropé “trasformazione” e indica una misura della disorganizzazione. Secondo il principio di non-conservazione dell’entropia, l’universo sta diventando un luogo sempre più caotico. È un dato di fatto e noi, in quanto parte di questo universo non possiamo che accettare la nostra condizione di esseri in continua trasformazione con sempre meno certezze.

Per far fronte alla complessità dell’universo e a tutto lo stress che ne consegue, sempre più persone stanno cercando riparo in nuove forme di spiritualità laica e, spesso, tecnologica. Soprattutto a seguito della Pandemia, il mercato del Mental Wellness è in continua ascesa. App come Calm o Meditopia scalano le vette degli store iOS e Android e la app Headspace ha addirittura una sua serie su Netflix. A questo si aggiungono terapie a distanza (tele-spicoterapia), psicologi influencer, corsi online su come gestire lo stress e ri-bilanciare la propria vita, e amici virtuali basati su Intelligenza Artificiale con cui parlare dei propri problemi. Tuttavia l’aumento costante di stress, ansia e depressione in tutto il mondo lascia spazio a una domanda: la tecnologia è la cura o la causa dei nostri disturbi mentali?




 

A Poem That Writes Itself.

Muro filosofico #05: “A Poem That Writes Itself”, una poesia che si scrive da sola e che ho trovato su un muro di un Palazzo novecentesco a Milano.

È una frase molto attuale che intreccia un macro fenomeno, quello dell’Intelligenza Artificiale e, in particolare, quello dei testi auto-generati, ovvero scritti da un algoritmo. Grazie a tecnologie come GPT-3 oggi è possibile realizzare algoritmi in grado di scrivere testi di senso compiuto (anche io ci sto provando con il progetto Wraiter.Com).

È una frontiera affascinante che lascia spazio scenari futuristici (e per certi versi inquietanti) e domande cui è ancora difficile dare una risposta. Saremo in grado di riconoscere un testo scritto da un computer? Quanto saranno affidabili? Riusciranno i robot ad intercettare le Fake News?

E poi c’è il tema dei dati. I nostri, di noi esseri umani, dati. Quali dati raccoglieranno gli algoritmi che ci propongono i loro testi. Come scrive il filosofo israeliano Harari, già oggi i libri ci leggono mentre noi leggiamo loro. Strumenti come il Kindle di Amazon, tengono traccia di cosa sottolineiamo, di quali libri leggiamo e di come li leggiamo. E se un domani dovessero avere sensori biometrici o rilevatori delle espressioni facciali (cosa che alcuni iPhone già hanno), saranno in grado di decodificare le emozioni che un libro ci suscita. E quindi influenzare la nostra lettura e, di conseguenza, i nostri pensieri.




 

Deepfake.

All’interno del romanzo T.E.R.R.A. uno dei personaggi, per difendersi dalle accuse di tradimento dice: «Lo sai benissimo che oggi con il deepfake anche un bambino di sei anni sarebbe in grado di falsificare un video o una foto!». Nella realtà, il deepfake non è una tecnologia alla portata di un bambino di sei anni. Tuttavia è una tecnologia sempre più diffusa e sempre più accessibile. E questo potrebbe tradursi in un pericoloso fenomeno di massa. In un futuro, non così remoto, non potremmo più avere la certezza di quello che stiamo vedendo all’interno di un video o di un’immagine modificata tramite deepfake.

In un futuro, non così remoto, non potremmo più avere la certezza di quello che stiamo vedendo all’interno di un video o di un’immagine modificata tramite deepfake.

Il deepfake è una tecnologia, basata su Intelligenza Artificiale, in grado di combinare video e immagini esistenti con altre immagini attraverso una tecnica di apprendimento automatico, conosciuta come rete antagonista generativa. Per comprenderne meglio le potenzialità, basta guardare uno dei molti video diffusi online dove la faccia di un attore, come ad esempio Sylvester Stallone, viene appiccicata a quella di un altro attore, come ad esempio Arnold Schwarzenegger nei panni di Terminator.

La maggior parte dei video di deepfake che si trovano in Rete riguardano per lo più contenuti di intrattenimento o pornografici, uno dei pochi esempi di utilizzo intelligente ed utile del deepfake che mi è capitato di vedere online è stato il progetto Welcome to Chechnya, un documentario che utilizza i volti di volontari che hanno prestato la propria faccia per rendere anonime le interviste di persone LGBTQ in Cecenia.




 

Interazione o Distrazione?

In occasione della Milano Digital Week, sono stato invitato a parlare di Knowledge Interaction, ovvero di quali sono le ultime innovazioni che permettono alle persone di interagire con la conoscenza e la cultura. Ce ne sono molte. La realtà virtuale, quella aumentata, la digitalizzazione, la stampa 3D, l’intelligenza artificiale e i BOT, Internet e molte altre. Di fronte a tutte queste innovazioni però, mi sono domandato quale sia il limite tra interazione e distrazione. E quindi quanto queste tecnologie aiutino veramente le persone, e in particolare gli studenti, a imparare. Diversi mesi fa avevo letto un articolo sul New York Times che raccontava di come in America stia accadendo un fenomeno interessante. Mentre le scuole pubbliche sono sempre più digitalizzate e cerchino di dare un device ad ogni studente, quelle private e, più in particolare, quelle frequentate dai figli dei ricchi della Silicon Valley, stanno mettendo al bando qualsiasi schermo di qualsiasi device. Il che mi fa pensare che la tecnologia legata alla formazione alla fine sia più una distrazione che un supporto.




 

Make or Buy (or Sell).

Per decenni si è sempre ragionato in termini di Make or Buy, compro un asset o un’innovazione che mi serve (Buy) oppure la costruisco (Make). Con la Platform Economy, è nata la possibilità di connettere risorse o tecnologie già esistenti (Connect). Oggi in un mondo dove l’innovazione tecnologica è sempre più rilevante e non sempre le aziende riescono a svilupparle internamente, una quarta ipotesi può essere quella di creare (Make) una tecnologia utile al proprio obiettivo strategico e poi venderla (Sell). Proprio come ha fatto McDonalds che ha appena annunciato che venderà la tecnologia basata su Intelligenza Artificiale AOT (Automated Order Taking) ad IBM.




 

Reinventare i consigli.

Il paradosso della scelta di cui parla Schwartz è qualcosa che percepisco ogni volta che voglio vedere un film. Tra Netflix, PrimeVideo, NowTv e Infinity, ci sono delle sere in cui passo così tanto tempo a scegliere quale film o serie vedere che alla fine non guardo nulla. E, a quanto pare non sono il solo. Secondo una ricerca Nielsen, gli adulti tra i 18 e i 34 anni, passano in media più di nove minuti a guardare tutte le opzioni che hanno prima di scegliere un film.

Questo riguarda il mondo dell’intrattenimento, come quello dello shopping e di altri settori. Più possibilità abbiamo, più scegliere diventa difficile. Diventa un bisogno di mercato e non a caso stanno nascendo molti modelli di business che aiutano le persone a scegliere.

VUniverse, per esempio, utilizza l’Intelligenza Artificiale per aiutare le persone a scegliere quale programma o film guardare.

Netflix invece sta sperimentando delle selezioni di film e serie fatte da curatori umani per dare un servizio più di qualità rispetto al meccanico “Hai visto questo e quindi potrebbe piacerti anche questo”.




 

Generazione Millenials.

“I Millenials sono la generazione più sfortunata nella storia degli USA” così titola l’articolo del Washington Post da cui è preso questo grafico.

Se la guardiamo da un mero punto di vista economico questa affermazione potrebbe starci. Chi (come me) è nato tra il 1981 e il 1996 non appena ha messo piede nel mondo del lavoro (i primi anni del 2000) ha dovuto affrontare una serie continua di crisi (11 Settembre, Bolla delle dot com, crisi finanziaria, crisi ambientale, varie crisi energetiche, precariato del lavoro, Covid e ora pure le conseguenze di una guerra).

Tuttavia, i Millenials sono la prima generazione di una nuova era, pensiamo solo a Internet e all’ascesa dell’Intelligenza Artificiale. E questa (per chi la vuole cogliere) è un’enorme opportunità. Oggi qualsiasi settore può e deve essere innovato sia in termini di tecnologia, sia in termini di processi.

I Millenials sono la prima generazione e questa (per chi la vuole cogliere) è un’enorme opportunità. Oggi qualsiasi settore può e deve essere innovato sia in termini di tecnologia, sia in termini di processi.

Certo non abbiamo la ricchezza dei Boomers (che questo articolo definisce la generazione più fortunata dell’intera storia dell’umanità), però abbiamo un mondo da re-inventare. E questo non è poco.




 

La biblioteca di Babele ai tempi dell’AI.

Ne “La biblioteca di Babele” Jorge Luis Borges immagina una biblioteca-universo spazialmente infinita composta di sale esagonali, in cui 4 pareti sono occupate da 5 scaffali. In ogni scaffale ci sono 32 libri da 410 pagine ciascuno. Ogni pagina ha 40 righe da 80 simboli, che sono 22 lettere dell’alfabeto più lo spazio, il punto e la virgola. In definitiva la biblioteca raccoglie disordinatamente tutti i possibili libri di 410 pagine in cui si susseguono le sequenze dei 25 caratteri senza ordine, in tutte le possibili combinazioni. Poiché nella biblioteca vi sono tutti i possibili libri di 410 pagine, non solo è presente il libro della Verità, ma anche ogni sua possibile variante e perfino il suo opposto, e gli uomini non hanno la possibilità di distinguerli. Proprio perché vi esistono tutti i possibili libri di 410 pagine e tutte le verità e anche le falsità che vi si riescono a scrivere, nonché semplici sequenze senza alcun senso (puro rumore, quindi), la prospettiva della Biblioteca è incommensurabile con quella della specie umana.

Un’opera di ingegno è tale proprio perché nata da un percorso umano che ha portato alla sua creazione e che contribuisce alla bellezza dell’opera stessa. Senza di quello, un’opera sarebbe solo un oggetto senz’anima.

Il racconto di Borges è del 1941, tuttavia tocca un tema molto attuale: quello della riproducibilità meccanica dell’arte e della letteratura. Grazie a sistemi basati su intelligenza artificiale e Machine Learning, oggi sarebbe in teoria possibile creare un software in grado di fare tutte le combinazioni possibili di parole così da creare racconti di senso compiuto generati in maniera casuale.

Sarebbe possibile, certo, ma che senso avrebbe? Un’opera di ingegno è tale proprio perché nata da un percorso umano che ha portato alla sua creazione e che contribuisce alla bellezza dell’opera stessa. Senza di quello, un’opera sarebbe solo un oggetto senz’anima.




 

Ingegneria e Poesia.

“The engineers of the future will be poets.”
– T. McKenna

Negli anni Settanta il naturalista e filosofo americano Terence McKenna sosteneva che gli ingegneri del futuro sarebbero stati poeti. Quarant’anni dopo non mi sento di dire che avesse ragione. Oggi gli ingegneri-poeti sono veramente pochi. Tuttavia può essere che un domani Terence McKenna possa avere ragione. Perché, in un futuro fatto di automatizzazione del lavoro, di intelligenza artificiale e di computer sempre più sofisticati, gli elementi differenziali tra un uomo e una macchina non saranno tanto le doti tecnico-matematiche quanto quelle prettamente umane, come la poesia.




 

Perché sono sempre felice (o almeno cerco di esserlo).

Un articolo preso dal mio blog del 2007/2015.

Perché il pessimismo è un lusso che non possiamo più permetterci.
Il pessimismo è un lusso che spesso va di pari passo con la passività. Chi è passivo si lascia scivolare le cose addosso, perde sensibilità e per lui, o per lei, tutto assume lo stesso colore. E oggi questo non è più possibile. Non possiamo più permetterci di essere passivi, di non prendere una posizione o di lasciarci guidare dagli avvenimenti. Oggi serve consapevolezza, serve propositività e serve quell’entusiasmo che ci fa alzare lo sguardo al cielo e urlare «Si — può — fare!» tanto forte da illuminare le tenebre con una luce improvvisa. Viviamo tempi in cui le certezze non son più certe e l’idea di futuro con cui siamo cresciuti non esiste più. E sta solo a noi immaginare un futuro che sia espressione di quello che vogliamo e non di quello che per anni abbiamo creduto di volere.

Perché mio figlio ride sempre.
Il che mi ha fatto pensare che tutti noi nasciamo felici e che l’essere umano è, di natura, predisposto alla felicità. Il problema quindi non è come essere felici ma come rimanerlo. Il che non è da tutti. Il consumismo ci ha abituato a vivere in un constante stato di infelicità e insoddisfazione. Ci sembra di non avere mai abbastanza. E questo (inutile dirlo) non aiuta a rimanere felici. Anzi ci rende molto infelici, come dei bambini eternamente insoddisfatti. Spesso il nostro umore è influenzato più da quello che non abbiamo rispetto a quello che abbiamo. Al posto di chiederci quanto potremmo essere felice se avessimo qualcosa che non abbiamo, proviamo a chiederci quanto potremmo essere infelice se non avessimo più qualcosa che ora abbiamo e che diamo per scontato.

Perché il futuro potrebbe essere meno bello del presente.
Ovviamente spero di no, anzi mi auguro il contrario — credo nel contrario. Però è una possibilità. Il nostro impatto sul mondo, la scarsità delle risorse, la siccità, la disuguaglianza economica crescente, la privatizzazione di tutto e tutti, l’accumulo di nostri dati nelle mani di pochi soggetti, il riarmo nucleare e l’incognita dell’intelligenza artificiale. Sono tutte variabili che potrebbero influenzare negativamente il nostro futuro (e, soprattutto, quello dei nostri figli). Il che mi porta a tre conclusioni: 1) faccio di tutto per contribuire il meno possibile al crescere di queste variabili 2) cerco di avere un atteggiamento attivo e consapevole nei confronti del mondo 3) mi godo il presente e ne celebro la bellezza con la mia felicità.

Perché non sono (più) pigro.
La pigrizia crea infelicità. Ovviamente non ho prove scientifiche a riguardo. Ma posso dire con certezza che da quando non sono più pigro sono molto più felice. Ogni volta che supero la pigrizia e vado a correre o nuotare, poi sono più felice. Ogni volta che resisto all’impulso di comprare qualcosa di cui non ho bisogno, poi sono più felice. Ogni volta che vado oltre la pigrizia mentale e leggo un libro o studio il pensiero di un filosofo o vado a vedere una mostra, poi sono più felice. La pigrizia non è qualcosa di fisico ma di mentale e ci porta a ragionare solo nel brevissimo periodo. E spesso quello che nell’immediato può apparirci come fonte di felicità, nel lungo periodo non lo è.

Perché la felicità porta fortuna.
Neanche su questo ho prove scientifiche a riguardo. Ma per esperienza so di per certo che tutte le persone fortunate che ho conosciuto nella mia vita erano anche le più felici. E la cosa più sorprendente è che parlando con loro ho scoperto che non erano felici perché erano fortunate ma erano fortunate perché erano felici. Da persona molto razionale non posso che attribuire questa connessione a una naturale predisposizione per la positività. La felicità è contagiosa. Chi è felice genera felicità e si circonda di felicità. Personalmente penso di essere così felice perché sono circondato da persone felici. Come cantavano i Ramones «Today Your Love — Tomorrow The World» e l’amore è alla base di qualsiasi forma di felicità. Senza l’amore saremmo come persi in un deserto. Aridi e senza una meta. Questo concetto sembra molto semplice e banale e in effetti lo è. Ma come tutte le cose semplici viene spesso dato per scontato e ce ne accorgiamo solo quando lo abbiamo perso. Jacques Prévert scriveva che riconosciamo la felicità solo quando si allontana. E aveva ragione. Ma non avrebbe più senso renderci conto di quello che abbiamo e valorizzarlo prima di perderlo?

Perché vivo nel presente.
Ho passato la gran parte della mia vita a programmare tutto. Spesso con anni di anticipo. Poi mi sono guardato indietro e mi sono reso conto che le cose più belle che mi erano successe non le avevo programmate. Al che mi sono concentrato di più sul saper cogliere le occasioni piuttosto che sul costruirle. Spesso la nostra infelicità non è causata da quello che stiamo vivendo ma viene dalle aspettative o dalle ansie che abbiamo per il futuro o dalle nostalgie e i rimpianti che abbiamo per il passato. E questo spesso offusca la bellezza del nostro presente. Vivere nel momento presente, con consapevolezza ed entusiasmo, invece ci aiuta a vivere meglio anche il nostro passato e, soprattutto, il nostro futuro.

Perché un’ora al giorno almeno bisogna essere felici.
La felicità è un diritto, vero. Ma prima di essere un diritto è un dovere. È una questione di responsabilità e rispetto. Responsabilità nei confronti delle persone che ci stanno intorno, di noi stessi e di quello che decidiamo d’essere. Rispetto nei confronti del mondo e di tutte quelle persone che, non per loro volontà, non hanno la fortuna di poter scegliere cosa fare della propria vita. Dostoevskij (che non a caso Nietzsche considerava il più grande psicologo di tutti i tempi) pensava che l’uomo fosse infelice perché non sa di essere felice. Avere consapevolezza della nostra felicità non è facile, ma è necessario e per cominciare può bastare anche solo un’ora al giorno.




 

Insegnanti virtuali.


Di fronte ai dati esposti in questo grafico viene da domandarsi se un domani gli studenti potranno avere degli insegnanti virtuali basati su Intelligenza Artificiale e Machine Learning e dare loro una valutazione positiva.

Il ruolo dell’insegnante non è solo quello di trasmettere una nozione o una competenza ma anche far appassionare i propri studenti a una specifica materia.

È uno scenario molto verosimile. Già oggi esistono molti insegnanti virtuali attraverso cui impariamo nuove competenze (ad esempio suonare il pianoforte) o nuove lingue (ad esempio Duolingo). Tuttavia, questa ipotesi apre una riflessione più ampia sul ruolo dell’insegnante che non è solo quello di trasmettere una nozione o una competenza ma anche far appassionare i propri studenti a una specifica materia.




 

Da GIG economy ad AI economy.

Ho riflettuto molto sul concetto di Gig Economy (ovvero l’economia del lavoretto). E ci ho anche scritto un libro. In sintesi penso che la Gig Economy sia solo un’economia di passaggio verso la AI Economy. Ovvero un’economia basata sull’intelligenza artificiale. Non mi sorprenderebbe se un domani molti dei “lavoretti” fatti oggi da lavoratori iper precari (dai freelance di Fiverr ai rider di Uber) venissero fatti da robot. Droni che consegnano cibo. Software che fanno traduzioni. Il futuro del lavoro, più che precario, è automatizzato.




 

Tradurre una cultura.

Il lavoro del traduttore ha un rischio di automatizzazione del 49% che, visto l’avvento di strumenti gratuiti come Google Translator, potrebbe apparire persino contenuto.

Tuttavia, il lavoro del traduttore non è sempre automatizzatile, perché spesso il lavoro del traduttore non è solo quello di tradurre da una lingua ma piuttosto quello di tradurre una cultura. E questo l’intelligenza artificiale ancora non è in grado di farlo.




 

AI senziente.

In questi giorni sta facendo molto scalpore la notizia dell’ingegnere di Google, Blake Lemoine, che sostiene che l’Intelligenza Artificiale su cui sta lavorando, LaMDA, è diventata senziente, ovvero è in grado di percepire e generare delle sensazioni.

Leggendo la chat pubblicata da Lemoine, si può anche avere questa impressione, ma solo se ci dimentichiamo che un computer dice quello per cui è stato programmato. Se noi addestriamo un chatbot per parlare come una persona senziente, questo parlerà come una persona senziente ma non vuol dire che esso sia effettivamente senziente.

Questa storia, ovviamente ingigantita dai media, è una buona occasione per riflettere sulla distinzione tra ciò che reale e ciò che non lo è. Più la finzione sarà reale, più è necessario avere la capacità di comprenderla per quello che è: una finzione.




 

La tecnologia è la cura o la causa dei nostri disturbi mentali?

Per far fronte alla complessità che caratterizza i nostri tempi e a tutto lo stress che ne consegue, sempre più persone stanno cercando riparo in nuove forme di spiritualità laica e, spesso, tecnologica.

Soprattutto a seguito della Pandemia, il mercato del Mental Wellness è in continua ascesa. App come Calm o Meditopia scalano le vette degli store iOS e Android e la app Headspace ha addirittura una sua serie su Netflix. A questo si aggiungono terapie a distanza (tele-spicoterapia), psicologi influencer, corsi online su come gestire lo stress e ri-bilanciare la propria vita, e amici virtuali basati su Intelligenza Artificiale con cui parlare dei propri problemi.

Secondo la società di consulenza Deloitte, la spesa dei consumatori per le app per la salute mentale dovrebbe raggiungere quasi 500 milioni di dollari nel 2022, rispetto ai 200 milioni di dollari del 2019. Ma non è ancora chiaro se queste app abbiano effetti a lungo termine. Nonostante i potenziali benefici, la maggior parte degli utenti perde interesse per le applicazioni per la salute mentale dopo solo un paio di settimane. Alcuni ricercatori hanno scoperto che l’80% degli utenti si è collegato a Headspace almeno una volta durante le prime due settimane, con una media di quasi sei minuti al giorno. Ma alla quarta settimana l’utilizzo è diminuito “rapidamente”. Solo la metà degli utenti si è collegata a Headspace tra la quarta e l’ottava settimana e solo un decimo lo ha fatto almeno una volta ogni tre giorni.

E quindi l’aumento costante di stress, ansia e depressione in tutto il mondo lascia spazio a una domanda: la tecnologia è la cura o la causa dei nostri disturbi mentali?




 

Il mio primo romanzo.

Sono entusiasta e pieno di vita. Un po’ perché è l’inizio di un nuovo incredibile anno. Un po’ perché il 2020 mi ha reso più antifragile (trovi qualche mia riflessione sul 2020 qui). E un po’ perché ho finalmente scritto il mio primo romanzo: un thriller psico-tecnologico che ho intitolato T.E.R.R.A.

Ambientato in una Berlino avveniristica, nel romanzo immagino un presente alternativo dove tutto è stato privatizzato e tutto torna a funzionare, fino a quando una serie di inspiegabili morti mette in crisi il nuovo ordine mondiale e riapre porte che il protagonista pensava di aver chiuso per sempre.

Ho tenuto questo romanzo nel cassetto per quasi cinque anni, appuntandomi idee e passaggi sul mio taccuino, fino a quando non ho trovato il tempo e la motivazione per scriverlo. Il tempo l’ho trovato durante il primo Lockdown. La motivazione l’ho trovata guardando i miei figli crescere.

Ho dedicato a loro questo libro. “Ai miei figli e al loro Futuro” come ho scritto sulla prima pagina. I miei figli, che adesso hanno quattro e sei anni, diventeranno adulti in un mondo fatto di tecnologia e condivisione. E penso sarà importante che loro (come tutti noi) impareranno ad utilizzare questa tecnologia con consapevolezza, per evitare che, un domani, sarà la tecnologia ad utilizzare loro.

A differenza dei miei precedenti libri, ho deciso di auto-pubblicare il romanzo con una campagna di Crowdfunding su Kickstarter che lancerò Venerdì 5 Febbraio.

Per condividere il day-by-day di questa avventura ho aperto un canale Instagram dove ogni ogni giorno posterò aggiornamenti sul progetto e riflessioni sui temi di cui parlo nel romanzo (Intelligenza Artificiale, Big Tech, Politica e Surveillance capitalism).




 

Scenius.

Per sottolineare l’importanza del contesto creativo e del processo collaborativo che porta alla nascita di nuove idee, il musicista Brian Eno ha spesso parlato di “Scenius”, parola alternativa a “Genius”.

Secondo questo modello, le grandi idee nascono spesso da un gruppo di individui creativi che costituiscono una “ecologia del talento”.

L’intelligenza creativa dunque non è frutto di un singolo individuo ma di una comunità.




 

Disastro vs Deserto.

Un articolo preso dal mio blog del 2007/2015.

Sbagliare è lecito. Citando il signor Keuner di Brecht, dovremmo lavorare duro al nostro prossimo errore perché quello da evitare non è il disastro, ma il deserto.

E non mi riferisco al deserto in senso naturalistico o climatico, quello dovrebbe spaventare tutti, ma il deserto mentale, l’apatia, il non fare nulla. Come cantano lo Stato Sociale, niente come la noia sa uccidere i cromosomi, e io ai miei attivissimi ed entusiastici cromosomi tengo molto. Non riesco a stare fermo. Non riesco a seguire il consiglio di chi mi dice di non aver fretta. Sono vivo e ho fretta di vivere. Davanti a una torta sono quello che c’infila dentro il dito. La lentezza mi stanca. La banalità cmi soffoca. Mi innamoro di tutto. Sono come Bette Davis nella foresta pietrificata e non posso rinunciare alla mia Francia. Sono viziato dalla vita. Se una cosa non mi piace non la faccio e al permesso preferisco il perdono.

Evito l’horror vacui. Le pareti del mio studio sono piene di opere, i miei muri pieni di disegni e le mie giornate piene d’impegni. Ma tutto attorno mi sento circondato da una prudenziale e imbalsamata forma di tutela di un qualcosa che, ironia della sorte, non esiste più. La bolla è scoppiata, il danno è fatto, il minimalismo del pensiero non ha più senso. La pressione è alta ed è tempo di correre il rischio. Viviamo in un periodo dove abbiamo poco da perdere e molto da inventare, che senso ha avere paura di sbagliare oggi?

Con il disastro si cresce, con il deserto si muore. Il disastro richiede responsabilità, intelligenza e una tensione continua verso una direzione ostinata e contraria che nessuno può dire dove e cosa porterà.

Con il disastro si cresce, con il deserto si muore. Certo, il deserto è la strada più semplice. Lasciarsi guidare da un facile vento di sazietà e d’impunità nella speranza che tutto rimanga immobile è più facile. Il disastro richiede responsabilità, intelligenza e una tensione continua verso una direzione ostinata e contraria che nessuno può dire dove e cosa porterà.

È un rischio ma, per quel che mi riguarda, è un rischio cui io non posso prescindere.




 

È la fine dei lavori creativi?

Venerdì riprendo la mia newsletter dove, oltre ai contenuti classici, condividerò ogni settimana un’immagine generata con DALLE2 (per realizzare quella che vedi qui in alto ho usato un prompt di poche parole).

Di fronte alla facilità e all’economicità di generare immagini, illustrazioni o fotografie con software come DALLE2, Midjourney o Stable Diffusion, viene da domandarsi se il lavoro dell’artista o del creativo sia destinato a scomparire.

È probabile infatti che un domani, neanche troppo remoto, avremo alterego virtuali di artisti in grado di generare centinaia di nuove opere di Rembrandt o Picasso.

Quello che però è altrettanto probabile è che una macchina, per quanto intelligente e sofisticata, non sarà mai in grado di vivere la vita di Rembrandt o Picasso e quindi vivere tutte quelle esperienze drammatiche, profonde ed eccitanti che hanno portato alla nascita di capolavori come Guernica.

E la differenza tra un artista reale e un artista virtuale starà proprio in questo: vivere una vita da artista e non solo produrre opere come un artista. Quello che farà veramente la differenza sarà il concetto, l’idea e il percorso che porterà a un’opera e non l’opera in sé.

Di fronte a tecnologie come DALLE, la domanda da farci è: La nostra immaginazione sarà all’altezza della tecnologia di cui già oggi disponiamo?

Oggi nell’arte contemporanea è già così. Ma più l’arte sarà artificiale e riproducibile, più il valore aggiunto sarà dato dalla capacità dell’artista di ideare (più che produrre) opere originali.

La domanda da farci dunque è: La nostra immaginazione sarà all’altezza della tecnologia di cui già oggi disponiamo?




 

Ipotesi sul futuro del lavoro.

Durante la Milano Digital Week di quest’anno, ho avuto occasione di partecipare al talk “Nuovi Millenni, Nuovi Talenti” in cui ho provato ad azzardare qualche previsione sul futuro del lavoro. Tra cui:

Il Quoziente di adattabilità varrà più del Quoziente di intelligenza:
Serve e servirà sempre di più sapersi adattare e cambiare, tanto professione, quanto mentalità.

Le Soft Skills varranno più delle Hard Skills:
Le Soft Skills (empatia, curiosità, team project management…) permettono di cambiare ed evolversi, le Hard Skills rischiano di ingessarci alla professione che abbiamo sempre fatto.

Il Trasversale varrà più del Verticale:
Serve unire discipline quanto più lontane tra di loro per trovare nuovi soluzioni e coltivare la nostra creatività.

Le Soluzioni varranno più delle Giustificazioni:
L’intraprendenza, la capacità di trovare e proporre soluzioni al posto di cercare giustificazioni, così come avere un approccio imprenditoriale anche se siamo dipendenti, sarà sempre più rilevante in qualsiasi azienda.

Il Futuro varrà più del Passato:
Quello che saremo in grado di fare (potenziale) vale di più di quello che abbiamo fatto (curriculum).




 

Dai Dai Dai.

Le tre parole del 2023 sono, per quel che mi riguarda: DAI DAI DAI.

Che poi sono tre parole opposte a concetti come Quiet Quitting, Goblin Mode (fregarsene un po’ di tutto), Goldbricking (fingere di lavorare) o Cyberloafing (navigare su siti inutili pur di non lavorare), Baby Pensionati o Fire Movement (ritirarsi dal lavoro entro trent’anni) e così via.

Usciamo da anni difficili, complessi e lenti. Dove ci siamo messi in discussione e, soprattutto, dove abbiamo messo (giustamente) in discussione il nostro modo di lavorare.

Il risultato di questo percorso però non può essere lavorare meno, ma lavorare meglio.

L’obiettivo per questo 2023 non dovrebbe essere far di tutto per lavorare il meno possibile ma, al contrario, fare tutto quello che possiamo per lavorare a qualcosa in cui crediamo. A qualcosa che ci dia la possibilità di realizzarci e valorizzare il nostro talento.

Usciamo da anni difficili, complessi e lenti. Dove ci siamo messi in discussione e, soprattutto, dove abbiamo messo (giustamente) in discussione il nostro modo di lavorare. Il risultato di questo percorso però non può essere lavorare meno, ma lavorare meglio.

Le persone più felici che ho conosciuto non sono quelle che sono andate in pensione a 40 anni o hanno fatto per tutta la loro vita un lavoro il meno impegnativo possibile, ma al contrario sono le persone che a novant’anni ancora si svegliano presto per lavorare a qualcosa che li appassiona e li fa sentire vivi.

Piero Angela diceva che «se uno smette di avere progetti è praticamente morto, bisogna averne sempre e portarli avanti.» E aveva ragione. Il lavoro non deve essere qualcosa che toglie energia ma che dà energia.

Le riunioni inutili tolgono energia. La disorganizzazione, la lentezza, la burocrazia, la mediocrità, la banalità, i ritardi nei pagamenti, i processi decisionali infiniti, le mail con più di quattro persone in copia. Questo toglie entusiasmo ed energia, e va evitato in tutti i modi.

Per tutto il resto invece valgono le tre parole dell’anno: DAI DAI DAI!

E dunque: istruiamoci, agitiamoci e organizziamoci, perché il 2023 avrà bisogno di tutta la nostra intelligenza, la nostra forza e la nostra energia.

E se non sai da dove iniziare per raggiungere i tuoi obiettivi, in Oblique abbiamo sviluppato una web-app per farti consigliare da una AI molto ottimista.

La trovi qui: https://daidaidai.oblique.ai/




 

Odio gli indifferenti.

Muro filosofico #03: “Odio gli indifferenti” una frase, di chiaro stampo “gramsciano” che ho trovato sui muri senza tempo di Venezia.

Nel 1917 Gramsci definiva l’indifferenza come il peso morto della storia: «Odio gli indifferenti» scriveva Gramsci «credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita.»

Questa idea di indifferenza fa pensare all’etimologia della parola ‘idiota’ che viene dal greco ‘idiótes’, ovvero ‘uomo privato’, in contrapposizione all’uomo pubblico che era invece colto, capace ed esperto. Nell’antica Grecia, l’idiota era colui che pensava solo a se stesso, che non si curava degli altri o della società. L’indifferente.

Oggi questa parola ha un significato diverso, ma la sua etimologia regala uno spunto di riflessione interessante. Non prendersi cura di nulla, fregarsene, essere indifferenti a tutto, pensare solo ai propri interessi, non sentirsi parte della civiltà, non informarsi o evitare qualsiasi tipo di scontro o di opinione diversa dalla propria è ancora oggi, a mio avviso, la base dell’idiozia. E, in un mondo in cui la cosa pubblica interessa sempre meno, penso che l’etimologia di questa parola sia più attuale che mai.

Come scrive Gramsci infatti: «L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?»




 

Le cinque categorie identitarie di Freud.

L’algoritmo elaborato da Kosinski per Cambridge Analytica correla le nostre attività online (per esempio i Mi piace che mettiamo su Facebook) con i tratti base della personalità.

Tra i molti studi fatti sulla personalità, uno dei più accreditati è la Teoria dei Big Five, di Robert R. McCrae e Paul T. Costa, una tassonomia che prova a tracciare i cinque tratti fondamentali della personalità umana. Partendo dalle analisi del lessico fatte da diversi ricercatori, fra cui Francis Galton e Louis Leon Thurstone prima e Raymond Cattell poi, Costa e McCrae arrivarono a circoscrivere i tratti essenziali della personalità in cinque tipologie:

  1. Apertura mentale (come curiosità o apertura a nuove esperienze),
  2. Coscienziosità (come disciplina o affidabilità),
  3. Estroversione (come entusiasmo o socialità),
  4. Empatia (come altruismo o accondiscendenza)
  5. Nevroticismo (come ansia o instabilità emotiva).

Individuando poi per ogni tipologia alcune sotto dimensioni come il controllo delle emozioni e degli impulsi per il Nevroticismo, o la scrupolosità e la perseveranza per la Coscienziosità.

Sebbene sia difficile trovare una teoria universale che possa mappare ogni sfaccettatura della personalità umana, molti test scientifici tendono a inquadrare le persone utilizzando queste cinque categorie, proprio come il sistema di monitoraggio Freud proposto all’interno del romanzo T.E.R.R.A.

Nel particolare, la narrazione prevede cinque categorie identitarie che fuori dal Direttivo di Alles, non avevano un nome, c’era la categoria 01, 02, 03, 04 e 05. Dentro il direttivo di Alles, invece, ogni categoria rimandava a un personaggio della letteratura russa e, in particolare, dei romanzi dei due autori che, uno dei protagonisti, Bobby, considerava le fondamenta della lettura universale: Lev Tolstoj e Fëdor Dostoevskij.

Categoria 01 (Razumichin).
La categoria 01 era la più semplice da monitorare. All’interno del Direttivo, le persone appartenenti a questa categoria venivano chiamate i Razumichin. Come il personaggio di Delitto e castigo, le persone della prima categoria erano caratterizzate da un alto livello di coscienziosità. Erano molto affidabili, ordinati, organizzati, leali, disciplinati e produttivi, con sporadiche tendenze al perfezionismo. Facevano sempre quello che gli veniva detto di fare. Anche quando non glielo diceva nessuno. Erano la categoria che, più di ogni altra, garantiva stabilità e continuità allo Stato di A. Contribuivano al benessere della comunità attraverso il loro lavoro e le loro abitudini quotidiane. Sebbene non fossero persone religiose, i Razumichin avevano un’attitudine piuttosto calvinista alla loro vita. Vivevano per lavorare e nel lavoro trovavano la loro vocazione. Questo Freud lo sapeva molto bene e ogni giorno metteva le persone della prima categoria nelle condizioni di valorizzare se stesse attraverso quello che facevano. Il rischio più grande per questa categoria era la frustrazione. I Razumichin erano esecutori. Non avevano quelle che possono essere definite le caratteristiche del leader. Non erano in grado di motivare le altre persone e, spesso, non erano in grado di motivare neanche se stesse. Avevano un costante bisogno di gratificazione e dovevano sentirsi rassicurati e apprezzati. Freud era molto scrupoloso su questo punto. Appena identificava un segnale, anche piccolo, di ansia, frustrazione o sconforto in una persone appartenente alla prima categoria, nobilitava il suo lavoro aumentando i commenti positivi, regolando il livello di serotonina e spingendo il cittadino ad avere più relazioni sociali e praticare più sport. Nello Stato di A, appartenevano a questa preziosa categoria il 25,4% dei cittadini. Una percentuale che, secondo i piani di sviluppo di Alles, avrebbe dovuto raggiungere il 32,8% entro il 2025.

Categoria 02 (Dmitrij Karamazov).
Nella categoria 02 c’erano i Dmitrij Karamazov dello Stato di A. Persone molto estroverse, socievoli e piene di entusiasmo che rappresentavano il collante sociale della comunità e spesso ricoprivano ruoli da leader, grazie alla loro innata capacità di coinvolgere le persone e ispirarle. Le persone di categoria 02 condividevano tutto quello che facevano, amavano mostrarsi, erano piene di vita e, proprio come il primogenito dei Karamazov, erano disposte a tutto pur di poter dire: «Io sono!» Avevano bisogno di stare in mezzo agli altri, di non annoiarsi mai e di sentirsi pieni di vita, sempre. Questo era un loro tratto distintivo e, se tenuto sotto controllo, aveva ripercussioni positive su tutta la società. Tuttavia, i cittadini appartenenti a questa categoria avevano una pericolosa tendenza all’individualismo. Una tendenza che veniva costantemente monitorata e mitigata da Freud. Appena il sistema di monitoraggio rilevava tassi di egocentrismo ai limiti della megalomania, abbassava il tasso di dopamina presente nel loro corpo e ridimensionava i loro successi personali. A parte questa possibile deriva, le persone di categoria 02 erano tasselli fondamentali della struttura dello Stato di A. Principalmente per il loro ottimismo. Qualsiasi cosa succedesse, loro ci vedevano sempre il lato positivo. Vedevano opportunità dove altri vedevano difficoltà. Soluzioni dove altri vedevano problemi. E invenzioni dove altri vedevano errori. Non erano molti. Solo il 13,4% dei cittadini dello Stato di A apparteneva a questa categoria. Ma la loro influenza triplicava l’impatto che avevano sulla comunità di riferimento. Erano dei portatori sani di entusiasmo e positività.

Categoria 03 (Sofia Semënovna Marmeladova).
Nella categoria 03, composta dal 20,9% della popolazione dello Stato di A, rientravano tutti cittadini che, volontariamente o involontariamente, vivevano per gli altri più che vivere per se stessi. Un po’ come la Sofia Semënovna di Dostoevskij, le persone di categoria 03, erano disposte a tutto pur di aiutare il prossimo. Avevano una personalità molto altruista, compassionevole e accondiscendente. Se nel 2015, attraverso il progetto Nietzsche, non fosse stata eliminata la religione dallo Stato di A, una buona parte delle persone appartenenti a questa categoria, avrebbe intrapreso un percorso ecclesiastico. Ma, non essendoci più alcun dio in cui credere, molti cittadini di categoria 03 riversarono la propria pulsione religiosa in attività di volontariato che, per lo Stato di A, rappresentavano una manna dal cielo perché più loro facevano volontariato, meno lo Stato aveva spese pubbliche da sostenere. L’unica minaccia per la stabilità psicologica di una persona della terza categoria era la sua naturale tendenza al martirio che la portava a sacrificare se stessa per gli altri, generando così una pericolosa spirale di depressione, frustrazione e rassegnazione, tutte emozioni che nello Stato di A eravamo riusciti a debellare da anni. Per scongiurare questa deriva, il Direttivo dello Stato di A creò una funzione di Freud pensata apposta per monitorare l’andamento dei cittadini della terza categoria. Ogni volta che si sentivano insignificanti, Freud li faceva sentire importanti aumentando il livello di consenso sociale. Ogni volta che si trascuravano, Freud gli ricordava di prendersi cura di sé. E ogni volta che la loro negatività prendeva il sopravvento, Freud organizzava un incontro con un cittadino della seconda categoria.

Categoria 04 (Rodion Romanovič Raskol’nikov).
La categoria 04 era la più complessa da gestire e, per questo motivo, era quella più affascinante. Era la categoria dei Romanovič, persone narcisiste, egocentriche, con tendenze alla megalomania e vistosi deliri di grandezza. I cittadini della quarta categoria erano ansiosi, piuttosto instabili, facili prede di invidie e gelosie, e con una latente nevrosi che, talvolta, si trasformava in anacronistici scatti d’ira. Tutte caratteristiche dannose, tanto per il singolo cittadino, quanto per l’equilibrio dello Stato di A. Tuttavia, le persone di categoria 04 erano dotate di un’intelligenza sopra la media, avevano uno spiccato senso dell’onore e un patologico bisogno di fare una buona impressione sugli altri e tutto questo le rendeva degli alleati perfetti per garantire l’ordine all’interno dello Stato di A. Per valorizzare i Romanovič, il Direttivo affidò loro ruoli che un tempo sarebbero stati coperti da giudici, magistrati o poliziotti e impostò Freud affinché sedasse eventuali manie di grandezza attraverso un lavoro quotidiano e costante sul loro livello di empatia che, di natura, sarebbe stato troppo basso per gli standard dello Stato. Nel 2013 tuttavia, a seguito di alcuni casi di degenerazione da nevrosi e megalomania, il Direttivo diede inizio a un processo di contenimento di questa categoria con l’obiettivo di portarla, entro il 2025, dal 14,2% della popolazione al 6,8%.

Categoria 05 (Pierre Bezuchov).
La categoria 05 era la categoria dei Pierre Bezuchov. Al suo interno c’erano le personalità più curiose, fantasiose, creative e avventurose. Persone che amavano l’arte, la musica, la letteratura e, soprattutto, l’eterna ricerca. I Bezuchov dello Stato di A erano sempre alla ricerca di qualche nuova domanda cui dare una risposta. E non appena l’avevano trovata la condividevano con tutti. I cittadini della quinta categoria avevano un tasso di condivisione più alto della media. Condividevano tutto quello che facevano e pensavano. Il loro monitoraggio non richiedeva particolari misure. I dati che fornivano in autonomia erano tali da darci la possibilità di tracciare la loro vita con un margine di errore molto basso. Le persone di categoria 05 avevano interessi vari e spesso superficiali. Cominciavano sempre cose differenti, senza mai approfondirle troppo. Avevano molte relazioni. Facevano tanti lavori e provavano esperienze sempre nuove. Erano la tipica espressione dei nostri tempi. Provavano tutto senza impegnarsi in nulla. Senza mai godere di nulla. Erano dei turisti della loro stessa vita. Non mettevano radici e sfuggivano da ogni relazione e contratto che li legasse troppo. Nello Stato di A apparteneva a questa categoria il 18,3% della popolazione. Non era una percentuale molto alta. Però avevano un ruolo chiave all’interno della società, perché la loro creatività era la base per l’innovazione dello Stato di A.

Tutte le persone che Freud non riusciva ad inserire in una delle sue cinque categorie identitarie erano definite Outsider. Gli Outsider non erano tanti. Solo il 7,8% della popolazione dello Stato di A. Spesso erano persone di grande valore che, con il loro genio, avevano contribuito alla creazione di molte innovazioni. Ma erano soggetti che richiedevano una maggiore attenzione e una comprensione più profonda. Per poterli valorizzare e monitorare, il Direttivo dello Stato di A creò una rete di psicologi dedicati che potessero fornire le informazioni che un computer non avrebbe mai potuto dare. Gli Outsider non erano obbligati ad essere seguiti da uno psicologo. Ma nello Stato di A andare da uno psicologo era considerato qualcosa di elitario. Qualcosa che solo le menti più creative ed eccentriche potevano permettersi. E gli Outsider volevano sentirsi così.




 

Corrente #13: Generation Flux.

Stephen Fry è un attore britannico. Ha vestito i panni di Oscar Wilde nel film Wilde diretto da Brian Gilbert, quelli di Gordon Deitrich in V For Vendetta e di Mycroft Holmes nel Sherlock Holmes di Guy Ritchie. Tuttavia sarebbe riduttivo incastrare la sua figura in un’unica categoria professionale. In un Job Title. Stephen Fry non è solo un attore, ma anche uno scrittore, un regista, uno sceneggiatore, un ex-galeotto (da adolescente ha passato tre mesi in prigione per truffa con carta di credito…) e un attivista.

Lui stesso un giorno disse di sé di non essere un nome ma un verbo: «Noi non siamo nomi, siamo verbi. Non sono una cosa sono una persona che fa cose e non so mai cosa farò un domani. Penso tu possa rimanere imprigionato se pensi a te stesso come un nome.» È una definizione che trovo molto attuale.

Mai come oggi, non conta il nome che ci diamo ma quello che facciamo ogni giorno. Conta la sostanza, non il sostantivo. In un’epoca di continuo cambiamento, anche noi come professionisti (e come persone) siamo chiamati a cambiare di continuo avvicinandoci a quella che Robert Safian definisce generation flux, intendendo tutte quelle persone che, indipendentemente dalla loro età, sono riuscite a sviluppare le proprie idee all’interno di un’economia che ha fatto del cambiamento la sua caratteristica principale, grazie alla loro adattabilità, alla loro flessibilità, alla loro volontà e capacità di continuare ad apprendere, ma anche grazie alla loro determinazione e alla loro consapevolezza.

Generation Flux: Persone che, indipendentemente dalla loro età, sono riuscite a sviluppare le proprie idee all’interno di un’economia che ha fatto del cambiamento la sua caratteristica principale.

Quello della generation flux è un atteggiamento verso il futuro che abbraccia il caos contemporaneo, mantiene vivo il bisogno di tenere tutte le strade aperte, ma che si adatta al mercato attuale inteso come un business paradossale. All’interno della sua ricerca, Robert Safian parla di aziende come Mashable, Box, AirBnB, Dropbox, Flipboard, Foursquare, Gilt Groupe, Living Social e Spotify. Tutte realtà che sono state in grado di comprendere il proprio tempo e viverlo da protagonisti, senza farsi ingabbiare in dinamiche che non sentissero proprie. Persone che hanno rifiutato il principio causa-effetto per cui se in passato è stato così allora il futuro sarà così. Sta solo a noi immaginare nuove dinamiche che creino nuovi futuri.

Viviamo nell’era post-post in cui tutto è post-qualcosa. Invece di essere post-moderni, post-capitalistici, post-industriali, post-ideologici, post-human o post-fordisti quello che stiamo vivendo è un ottimo momento per provare ad essere pre-qualcosa. Usciamo da un ventennio che si è aperto con il crollo delle torri gemelle e si è chiuso con la Pandemia. Questo ha lasciato un grosso spazio per chi ha la capacità di reinventarsi e adattarsi al cambiamento.

In un mondo che cambia di continuo infatti, il Quoziente di Adattabilità, più che quello di Intelligenza, diventerà un elemento chiave del successo (e della sopravvivenza) di una persona. Adattarsi a nuovi contesti. Cambiare idea. Cambiare mentalità. Cambiare strategia. Continuare a imparare e formarsi. Abbandonare i propri pregiudizi. Sbagliare. Fare test più che fare previsioni. Provare strade differenti e differenti modi di fare le cose. Perché come scrive Yuval Noah Harari: «Nel XXI secolo, non possiamo più permetterci il lusso della stabilità. Per rimanere rilevanti, abbiamo bisogno di continuare a imparare e a reinventare noi stessi, sia quando siamo giovani sia a cinquant’anni.» Abbiamo bisogno di abbandonare la comodità e la sicurezza di essere un nome, per abbracciare la dinamicità e la meraviglia di essere un verbo.




 

Tornare a lavorare.

Questo grafico, preso dal New York Times, affronta un tema importante: come sarà il futuro del lavoro dopo che la pandemia sarà passata? I lavoratori e le lavoratrici vorranno tornare in ufficio oppure preferiranno continuare a lavorare da casa?

Personalmente penso molto a come il nostro modo di lavorare stia cambiando, non solo a causa del Covid-19, e sono piuttosto convinto che la classica settimana lavorativa da 5 giorni è sempre meno compatibile con un mondo del lavoro dinamico e in continua trasformazione. Questo non vuol dire che dobbiamo lavorare sempre ma che dobbiamo lavorare con più intelligenza seguendo i flussi di lavoro più che i giorni della settimana.




 

Da crisi a cambiamento.

Solo una crisi produce un cambiamento. Lo ha detto Milton Friedman, il padre dei Chicago Boys e del liberismo americano. È una frase semplice, ai limiti del banale. Ma è una frase vera.

Le crisi generano cambiamento. Perché, durante una crisi, il cambiamento non è solo possibile, ma necessario. Dobbiamo cambiare. Anche se non abbiamo voglia di farlo. Anche se pensiamo di non essere nelle condizioni di farlo. Ma dobbiamo farlo. Quindi tanto vale cogliere questa opportunità.

A tal proposito, ti faccio una domanda:

Cosa puoi fare in questo momento che un domani, quando questo momento sarà passato, non potrai più fare?

Non potremo più farlo perché avremo meno tempo, oppure perché non staremo così tanto chiusi in casa, o perché ci saranno altre priorità. A pensarci sono tante le cose che possiamo fare solo adesso (sotto ne trovi un po’), quindi perché al posto di pensare a tutto quello che non possiamo fare, non pensiamo a quello che possiamo fare?

A livello professionale questo è un ottimo momento per:

Ripensare il modello di business della nostra azienda. Nei momenti di crisi si capisce subito cosa funziona e cosa non funziona. Cosa è necessario e cosa non è necessario. Se ti serve una mano per innovare il modello di business della tua azienda parliamone volentieri.

Digitalizzarsi. Che tu sia a capo di una grande azienda o che tu sia un freelance, devi essere (anche) digitale. È una questione evolutiva. Da ogni grande crisi sono nate grandi aziende che hanno sostituito le aziende del passato. E, il più delle volte, lo hanno fatto grazie alla tecnologia e al digitale (Blockbuster -> Netflix. Camera -> Digital Camera. CD -> iTunes. Biblioteca -> Google). Questo è un buon momento per fermarsi e capire come digitalizzarsi. Anche su questo punto se hai bisogno di confrontarti, parliamone volentieri.

Tornare ad essere una Start Up. Qualche giorno fa parlavo con un mio amico imprenditore che ha un’azienda dove lavorano centinaia di persone. Mi ha detto che in questo periodo da lui c’è un clima da Startup, stanno tutti pensando a cosa fare di nuovo, a come re-inventarsi. Spesso, dopo la prima fase di entusiasmo, un’azienda perde lo spirito “garibaldino” con cui è partita. Momenti come questo ci mettono di fronte alla necessità di riaccendere quell’energia che c’è sempre all’inizio ma che poi, a volte, si perde.

A livello personale, invece, questo è un ottimo momento per:

Archiviare file. Fare il back up dei file che accumuliamo da anni. Cancellare le migliaia di foto e video che abbiamo sul nostro smartphone. Ordinare le mail e cancellare giga di file inutilizzati.

Eliminare cose. Ognuno di noi possiede dai 1.000 ai 5.000 oggetti. Lo so cosa stai pensando: “Io non ho 1.000 oggetti!” ma li hai. Ne hai almeno 1.000. E quando te ne rendi conto è il primo passo per iniziare a eliminare tutte quelle cose inutili di cui ci circondiamo da anni. E quando le avrai eliminate ti sentirai meglio.

Chiudere cattive abitudini. Dormire poco. Fumare. Mangiare male. Bere troppo. Non fare esercizio fisico. Passare poco tempo con la propria famiglia. Quando siamo sempre di corsa, quando abbiamo la testa sul lavoro o sui problemi quotidiani, è difficile chiudere con le nostre cattive abitudini. Oggi stiamo vivendo un momento di “rallentamento” forzato. Sfruttiamolo per migliorare il nostro stile di vita.

Iniziare buone abitudini. Sono molte le nuove abitudini (positive) che possiamo fare nostre in questo periodo. Una su tutte. Necessaria. Essere ottimisti. Imparare a pensare positivo. Oggi dobbiamo farlo. Quindi tanto vale farlo nostro.

Aumentare il nostro quoziente di adattabilità. Il nostro quoziente di intelligenza è importante. E possiamo studiare, leggere e fare molti esercizi per aumentarlo. Tuttavia questo è un buon momento per lavorare anche sul nostro quoziente di adattabilità. Sulla nostra capacità di affrontare il cambiamento ed adattarci. Comunque andrà, sarà una competenza molto utile da avere.




 

Noia creativa.

Oggi ci annoiamo sempre meno. Con uno smartphone in tasca abbiamo sempre qualcosa da fare. E non fare niente ci fa quasi sentire in colpa. Sentiamo il dovere di riempire ogni momento della nostra vita nella speranza di rimanere meno tempo possibile con i nostri pensieri.

Per capire il livello (preoccupante…) cui siamo arrivati, secondo uno studio pubblicato su Science nel 2014, le persone preferiscono ricevere delle piccole scariche di Elettroshock piuttosto che stare da soli con i propri pensieri.

Oggi ci annoiamo sempre meno. Con uno smartphone in tasca abbiamo sempre qualcosa da fare. E non fare niente ci fa quasi sentire in colpa.

E questo è un problema per la nostra Intelligenza Creativa perché la noia stimola la creatività. Diciamocelo, la noia non è una sensazione piacevole. E così quando ci stiamo annoiando il nostro cervello si attiva per inventarsi qualcosa di nuovo per evitare la noia ed è proprio in quel momento che diventiamo più creativi. Cerchiamo delle vie di fuga alla noia.

Uno dei maggiori esempi di come la noia possa stimolare la creatività è quello della genesi di uno dei romanzi (e dei mostri) più celebri della storia: Frankenstein, di Mary Shelley.

Come si legge su Wikipedia, nel maggio 1816 la sorellastra di Mary Shelley, Claire Clairmont, diventa l’amante del poeta Lord George Byron e convince i coniugi Percy e Mary Shelley a seguirla a Ginevra. Il tempo piovoso (tipico dell’Anno senza estate) li confina nella loro residenza di Villa Diodati, dove per combattere la noia, occupano il tempo leggendo storie di fantasmi.

La noia stimola la creatività perché quando ci annoiamo il nostro cervello si attiva per inventarsi qualcosa di nuovo per evitare la noia ed è proprio in quel momento che diventiamo più creativi.

A un certo punto Byron propone di comporre loro stessi delle storie di fantasmi e così tutti cominciano a scrivere. Tutti tranne Mary che inizialmente non trova l’ispirazione per cominciare.

Dopo un po’ le conversazioni di Percy e Byron iniziano a concentrarsi sulla natura dei princìpi della vita, sul galvanismo (grazie anche alla presenza dell’amico Polidori, medico interessato al dibattito su tale argomento), sulla possibilità di assemblare una creatura da resti di altre creature morte ed infondere in essa la vita.

Queste discussioni accendono l’immaginazione di Mary Shelley e la portano ad avere un incubo: uno studente che si inginocchia di fianco alla creatura che ha assemblato, la quale, grazie a una qualche forza, comincia a mostrare segni di vita.

Nasce così, dalla noia di cinque amici bloccati in casa dalla pioggia, uno dei più leggendari miti della letteratura moderna.




 

Più domande e meno risposte.

Un giorno Arnold Schwarzenegger incontra Henry Kissinger e gli chiede: «Come fai ad essere così calmo e composto in tutte le tue interviste?»

Al ché Kissinger risponde: «Arnold, il trucco è questo: inizio facendo domande all’intervistatore. Mostro di essere curioso riguardo a loro e di voler sapere della loro vita. Questo li spiazza e impedisce loro di voler iniziare ad interrogarmi, e allo stesso tempo mette la mia mente a proprio agio, perché ora non è più un’intervista in cui sto aspettando con ansia la prima domanda; è semplicemente una conversazione normale.»

È un buon trucco. Non solo per le interviste ma anche per allenare la nostra intelligenza interpersonale e la nostra empatia. Metterci nella condizione di ascoltare e di fare domande e non solo di essere ascoltati e dare risposte.